Questo contenuto è tratto da un articolo di Josh Cornelissen per The 94 Feet Report, tradotto in italiano da Riccardo Pilla per Around the Game.


I cinque migliori giocatori di una squadra non sempre iniziano da titolari. Molti grandi campioni si sono costruiti la carriera sulla loro capacità di incidere subentrando dalla panchina. 


Gli Anni ’80 sono stati il decennio dell’esplosione del talento. Parliamo di un periodo in cui si esibivano contemporaneamente giocatori del calibro di Magic Johnson, Larry Bird, Moses Malone e Kareem Abdul-Jabbar. I quintetti delle squadre erano stracolmi di talento (e quindi, necessariamente, di straordinari difensori deputati ad arginarlo).

In questo stesso periodo, una pratica già inaugurata dai Celtics negli anni ’60 e ’70 trovò maggiore diffusione e si impose in diverse squadre: l’impiego del sesto uomo. Le squadre decidevano sempre più spesso, nella progettazione del roster e per favorire una migliore gestione del minutaggio, di far sedere uno dei propri migliori giocatori in panchina, così da poterlo sfruttare a partita in corso. Il primo premio come Sixth Man of the Year fu assegnato al termine della stagione 1982/83 e ad aggiudicarselo fu Bobby Jones, di Philadelphia.

Il ruolo si è evoluto nel corso degli anni, ma nel suo primo decennio le squadre si servirono di quest’arma in modi molto diversi tra loro: alcuni sesti uomini erano guardie offensive forti sia in penetrazione che al tiro, profili molto simili a quelli che dominano la nostra epoca. Altre squadre invece optarono per specialisti difensivi o per un terzo lungo.

Chi sono stati, dunque, i migliori Sixth Man of the Year degli Anni ’80? Questa è un’ottima domanda, in un decennio che ha visto ex MVP uscire dalla panchina delle contendenti al titolo, ma anche giocatori che si sono costruiti il loro ruolo nella lega proprio partendo tra le riserve. Senza ulteriori indugi, a voi la squadra.

G: Vinnie Johnson, Detroit Pistons

I “Bad Boys” furono una delle grandi squadre degli Anni ’80, una delle poche in grado di ritagliarsi un paio di titoli in un’epoca segnata dal dominio assoluto dell’asse Bird-Magic (e poi Jordan). Erano guidati da due stelle come Isiah Thomas e Joe Dumars, ma ogni capitolo della loro storia vide sempre in prima linea il nostro Vinnie Johnson.

Conosciuto come “The Microwave” per la sua capacità di diventare caldo all’istante, Johnson usciva dalla panchina per garantire fiumi di punti. Pur non essendo un specialista da tre, era a suo agio nel prendersi jumper da qualsiasi punto all’interno dell’arco. Il suo tiro più famoso è quello che ha permesso a Detroit di conquistare il secondo titolo consecutivo, contro Portland:

Johnson fu una presenza costante, giocando 485 su 492 partite di Regular Season nei suoi anni a Detroit. Era il naturale sostituto di Thomas o Dumars quando questi erano seduti (o indisponibili), e la sua capacità di comparire dalla panchina e fare a pezzi la difesa avversaria era ossigeno per i Pistons. 

G: Ricky Pierce, Milwaukee Bucks

Don Nelson, una delle più grandi menti della storia del basket, portò innovazione e originalità anche in quei Milwaukee Bucks. Uno dei suoi contributi più interessanti fu quello di spostare il maestro offensivo Ricky Pierce in panchina, da cui prosperò per molti anni.

La squadra era forte e non a caso in quel periodo raggiunse i Playoffs per 14 stagioni consecutive, con Pierce che si impose come uno dei migliori realizzatori del roster. La nota dolente era la sua debolezza difensiva, che lo metteva in difficoltà contro molte delle migliori guardie del campionato, e per questo coach Nelson decise di cambiargli ruolo, facendolo entrare dalla panchina. In questo modo, la squadra si garantì un maggior equilibrio su tutti i 48 minuti.

Pierce tenne una media di 16.5 punti a partita in otto anni in maglia Bucks, partendo titolare in meno del 10% delle partite. Da ricordare la stagione 1989/90 in cui la sua media scollinò i 23 punti a partita, guidando la classifica dei migliori marcatori di squadra senza iniziare mai una singola partita. La sua produzione gli valse il premio come Sesto Uomo dell’Anno, non una ma due volte, sia nel 1987 che nel 1990.

F: Michael Cooper, Los Angeles Lakers

Qualsiasi lista dedicata ai migliori sesti uomini della storia deve includere Michael Cooper. Forse il più grande difensore nel ruolo di ala del decennio, Cooper diede un enorme contributo uscendo dalla panchina per quasi tutta la sua carriera.

Nonostante non fosse nel quintetto iniziale, Cooper ha sempre fatto parte delle migliori lineup dei Lakers. Durante la carriera, poi, migliorò molto il tiro da fuori e si affermò come giocatore temibile in transizione e come opzione affidabile nei finali di partita. Cooper è stato il perfetto archetipo di role player che per tutta la carriera è riuscito a garantire un impatto complessivo da top player.

F: Bobby Jones, Philadelphia 76ers

Se Michael Cooper non si adatta al modello tradizionale di sesto uomo – almeno nel senso moderno del termine – lo stesso vale per Bobby Jones. La NBA tra la fine degli Anni ’70 e l’inizio degli Anni ’80 vedeva moltissime squadre impiegare due lunghi contemporaneamente in campo, e nessuna di queste era meglio equipaggiata dei 76ers. Primo in assoluto a vincere il premio 6MOY, Jones è stato per tutta la carriera uno dei migliori giocatori difensivi del campionato.

Per diversi anni i 76ers schierarono Jones insieme ad Erving e Moses Malone, ma la svolta arrivò quando Bobby fu spostato in panchina. Anche grazie al suo impatto a partita in corso, Phila raggiunse le NBA Finals per due volte in tre anni, vincendo il titolo nel 1983.

Su dodici anni di carriera, Jones fu incluso nel miglior quintetto difensivo per undici volte: grazie alla sua stazza era in grado di giocarsela con i centri più possenti della lega, e a questo aggiungeva la capacità innata di rallentare giocatori molto più veloci di lui.

La vittoria del titolo nel 1983 fu il giusto riconoscimento della sua disponibilità ad accettare un ruolo minore in uscita dalla panchina, mettendo in condizione la squadra di farlo rendere al meglio delle sue possibilità.

F/C: Kevin McHale, Boston Celtics

Ascoltare il nome di Kevin McHale evoca subito immagini di grandezza, essendo stato un membro chiave della Boston che vinse tre titoli negli Anni ’80. Il frontcourt composto da Parish, McHale e Bird potrebbe essere stato il migliore nella storia della NBA. Eppure, quello che molti fan di basket sotto i 50 anni potrebbero non sapere è che McHale iniziò la sua carriera uscendo dalla panchina.

Molti giovani giocatori sono chiamati a mettersi alla prova, prima di entrare nella lineup di partenza; e mentre Boston si aggiudicava il primo titolo del decennio, McHale con la stessa maglia conquistava spazio come rookie, una partita dopo l’altra. Rapidamente diventò una stella, ma per molto tempo continuò a partire dalla panchina, abbattendo i secondi quintetti delle squadre avversarie. Nel 1983/84, ad esempio, mandò a referto 18.4 punti e 7.4 rimbalzi di media in uscita dalla panchina, vincendo sia il titolo NBA che quello come Sesto Uomo dell’Anno.

La stagione successiva andò anche meglio: la media si alzò a 19.8 punti e 9 rimbalzi, e McHale contribuì ad un ottimo record da 63 vittorie in stagione. E, naturalmente, un altro Sesto Uomo dell’Anno, diventando il primo a vincerne due di seguito. L’anno successivo vide l’addio di Cedric Maxwell, che si unì ai Clippers lasciando a McHale il suo posto nel quintetto titolare.

Sesto uomo: Bill Walton, Boston Celtics

Con McHale e Parish titolari, non c’era spazio nella starting lineup per un altro lungo, nemmeno per un ex MVP come Bill Walton. Quando si unì alla squadra nel 1985, Walton non era alla ricerca di un ruolo da protagonista, ma piuttosto di un’opportunità di redenzione. Gli infortuni avevano devastato la sua promettente carriera e quella che voleva era solo una chance in una grande squadra.

Ottenne questo ed altro, eccellendo nel 1985/86 come terzo lungo della squadra. Il suo corpo collaborò a dovere e gli permise di prendere parte a ben 80 partite in stagione regolare, con una media di 7.6 punti e 6.8 rimbalzi in 19.3 minuti per gara. Quell’anno vinse sia l’anello che il premio come Sesto Uomo dell’Anno, entrando insieme a McHale nella storia della lega.