Negli anni ’80 il basket stava diventando sempre più popolare, durante il dominio di Boston Celtics e Los Angeles Lakers. Non fosse stato per un sesto uomo di nome Michael Cooper, però, i libri di storia oggi sarebbero molto più verdi…

Questo contenuto è tratto da un articolo di Josh Cornelissen per The 94 Feet Report, tradotto in italiano da Davide Corna per Around the Game.
In questo articolo esploreremo il concetto di “giocatore perno” (hinge player), con cui ci riferiamo a giocatori che hanno segnato una svolta per la storia dell’NBA. Per parlare di uno di essi, forse il più sottovalutato degli Anni ’80, dobbiamo prima iniziare da Larry Bird.
Bird non è assolutamente un “perno”; piuttosto, è la porta di ingresso in legno di quercia deglli Anni ’80. L’ala da French Lick, Indiana, è uno dei migliori giocatori di sempre e ha dominato lungo tutta la decade. È stato All-Star per 12 volte, guadagnandosi la chiamata in ogni anno in cui ha giocato più di sei partite. Ha vinto il premo di MVP per tre volte; solo Jabbar, Chamberlain, Russell, Jordan e LeBron ne hanno di più.
Bird era quasi immarcabile, essendo forse il miglior tiratore della lega ai suoi tempi, e di certo il miglior realizzatore fino all’ascesa di Michael Jordan. Poteva mettere la palla nel canestro da qualunque posizione – e in effetti lo faceva spesso, a prescindere dalle contromisure prese dalla difesa.
I Celtics hanno vinto il titolo nel 1981, 1984 e 1986. Con un frontcourt composta da Bird, Kevin McHale e Robert Parish, erano impossibili da fermare, soprattutto in una Lega in cui le regole e i giocatori presenti rendevano molto difficile contrastare i lunghi di talento. E questo ci porta a una domanda: per quale motivo Bird ha vinto “solamente” tre titoli, e mai consecutivamente? La risposta è rappresentata dal “perno” Michael Cooper, maestro del gioco in difesa.
Nascita di una rivalità
“Coop” fu scelto dai Lakers al terzo turno del Draft 1978, e mai una volta nella sua carriera è stato un titolare fisso. Non ha mai giocato un’All-Star Game, né ha mai avuto una media superiore a 12 punti a partita. E allora, come può aver avuto un impatto notevole su un intero decennio della storia della lega? Semplicemente (più o meno), perché è stato in grado di marcare Bird.
I Los Angeles Lakers degli Anni ’80 sono diventati un fenomeno culturale, grazie alle personalità carismatiche, come quella di Magic Johnson, e uno stile offensivo spettacolare, con corse su e giù per il campo e schiacciate in transizione. Questa tendenza ha portato molti a definire erroneamente quei Lakers una squadra soft, che cercava di giocare in contropiede perché non avrebbe potuto resistere contro difese schierate.
Pat Riley, head coach di quei Lakers (e uno dei migliori di tutti i tempi), era personalmente contrario a questo credo. Da giocatore, era un difensore tenace e tutt’altro che soft, che cercava di buttarsi su ogni palla vagante per consegnarla alla sua squadra. Come coach, pretendeva l’eccellenza in difesa dai suoi giocatori; cosa che non ha mai ottenuto del tutto, considerando la composizione di quel roster, ma che ha sempre avuto ad un livello piuttosto buono. Considerata la loro incredibile pericolosità offensiva, è facile capire perché i Lakers hanno lottato per il titolo per tutta la decade.
I Lakers raggiunsero le NBA Finals nel 1980, 1982 e 1983, vincendo due titoli. I Celtics vinsero invece nel 1981, ma non riuscirono ad arrivare alle Finals per affrontare i Lakers nelle due stagioni successive. Finalmente, nel 1984 i Celtics erano la miglior squadra dell’NBA e stavano per giocare le finali contro i Lakers, per la resa dei conti che l’intera lega stava aspettando.
Larry Legend era l’MVP in carica, con 24.2 punti, 10.1 rimbalzi e 6.6 assist, contribuendo alle 62 vittorie stagionali di Boston. Aveva spianato la strada verso le Finals, sbarazzandosi di avversari forti con prestazioni al tiro inarrestabili. Dopo aver segnato con il 49% in Regular Season, toccò il 54% nei primi tre round di Playoffs: lui e i Celtics erano decisamente “on fire”. E ciò costrinse Riley a cercare un modo per frenare Bird, altrimenti la serie sarebbe stata ingiocabile per i giallo-viola.
Questa sfida – LA contro Boston, Magic contro Bird, Showtime contro il duro lavoro dei Celtics – era ciò che la squadra stava aspettando. Ma cosa fare contro Larry? I Lakers di Riley avevano tra le proprie carte una zona 1-3-1, che in passato aveva spiazzato gli avversari e li aveva condotti al titolo del 1982; contro i Celtics e contro un tiratore come Bird, però, la zona sarebbe stata fatta a pezzi, e quindi era necessario rimanere su una difesa a uomo.
Tutta la NBA, ai tempi, si stava chiedendo se esistesse un modo per fermare Larry Bird. Non solo segnava quanto voleva, ma lo faceva anche in modo umiliante. A volte, indicava una zona del campo, dicendo al difensore che sarebbe andato a segnare da lì. Poi, nel possesso successivo, andava effettivamente in quella zona, da dove realizzava un jumper in faccia all’avversario. Chiedeva spesso a chi lo marcava qual era il record di punteggio in quel palazzetto, e poi provava a batterlo (e a volte ci riusciva).
Nel documentario di ESPN “Basketball: A Love Story”, il giornalista Jackie MacMullan riferì del seguente scambio. In una partita contro gli Utah Jazz, Bird era in gran forma, e stava segnando di continuo. A un certo punto, urlò a Frank Layden, coach dei Jazz: “Ehi Frank, non hai nessuno lì in panchina che mi può marcare? Di sicuro qui in campo non c’è nessuno in grado di farlo”. Layden aveva guardato la sua panchina, e poi aveva risposto a Bird: “No, non c’è nessuno”.
A differenza delle altre squadre, Riley aveva effettivamente il miglior giocatore possibile per difendere su di lui: il sesto uomo di lusso, Michael Cooper. Qui sotto, un estratto dall’ottimo libro di MacMullan “When the Game was Ours”, che parla di Magic e Bird. A proposito dei Lakers che si preparavano a difendere su Bird, diceva:
Riley aveva un’arma nel suo arsenale: l’impavido Michael Cooper. (…) Cooper guardava videocassette di Bird prima di addormentarsi, mentre era a letto con la moglie Wanda; e guardava videocassette di Bird la mattina, mentre si lavava i denti. Quelle videocassette erano sempre con lui, anche in vacanza. “Il mio obiettivo era semplicemente rendere più difficile ogni singola cosa che avrebbe fatto”, raccontò Cooper.
Jackie MacMullan
Questo, comunque, non era una un rapporto a senso unico. Bird sapeva che avrebbe affrontato l’unico giocatore in grado di marcarlo in ogni posizione del campo, e anche lui guardava videocassette di Cooper, in cerca di punti deboli nella sua difesa che potevano essere sfruttati. Avvicinandosi alle NBA Finals 1984, Larry Legend era intenzionato a far vacillare Cooper, in qualunque modo.
Quella serie fu decisa da diversi fattori: Magic che si fece influenzare da pressioni esterne, il fallo di McHale su Kurt Rambis che portò a una rissa che coinvolse anche le panchine, Byron Scott che ci mise sicuramente del suo… ma non dal fatto che Bird fosse in grado di segnare quando e come voleva, e questa era una notizia.
In Gara 1, vinta dai Lakers a Boston, Cooper tenne Bird a un 7/17 al tiro (41.2%). In Gara 2, vinta di poco dai Celtics, segnò solo 8 tiri su 22 (36.4%); Cooper era dappertutto, costringeva Bird a tiri difficili e palle perse (9 in totale nelle prime due gare). E dopo una larga vittoria dei Lakers in Gara 3, Boston era aggrappata a Gara 4.
Con 30 secondi sul cronometro dell’ultimo quarto, i Celtics disegnarono una giocata per Bird. La loro strategia? Un doppio blocco su Cooper, che avrebbe portato Magic Johnson in marcatura su Larry. Il risultato? Un tiro perfetto (non il primo, anzi, in situazioni del genere), la palla ha a malapena toccato la retina.
La serie finì poi in Gara 7, con i Celtics trionfanti sul loro campo di casa nonostante una brutta partita di Bird in fase realizzativa (6/18), limitato da Cooper in modo egregio. I Lakers, e lo stesso Cooper, tornarono a casa esausti e ansiosi di una rivincita. Bird tornò a casa esausto dopo sette gare di torture da parte di Cooper.
La breccia
La rivincita arrivò proprio l’anno successivo, con la nuova resa dei conti fra le due squadre migliori della lega. Nel 1985 Bird fu di nuovo l’MVP della Lega, a capo di una Boston da 63 vittorie, rispetto alle 62 dei Lakers. I Celtics affrontarono dei Lakers più ostici, di nuovo con Cooper in entrata dalla panchina per prendersi cura di Bird.
Questa volta i Lakers erano più pronti, e misero in campo performance offensive decisamente migliori. A far la differenza in difesa fu ancora Cooper, che tenne Bird relativamente sotto controllo. L’MVP aveva tirato con il 52.2% in stagione, per una media di 28.7 punti a partita, ma fece registrare solo 25.5 punti a partita con il 41.4% nelle Finals.
I Celtics di quell’anno si affidavano al loro MVP per guidare l’attacco, ma i Lakers forzavano gli altri giocatori a produrre qualcosa. Anche quando Bird non era il miglior scorer della partita, agiva spesso da facilitatore, con una media di 6.6 assist a partita in stagione.
Nella post-season dell’anno precedente, Bird era arrivato quattro volte in doppia cifra con gli assist, con una media di 6.9 a partita; nelle Finali dell’84, invece, sprofondò a 3.4 assist per gara, dato che Cooper permetteva ai Lakers di evitare raddoppi su di lui, e quindi di non lasciare liberi altri giocatori. Gli altri Celtics erano riusciti a fare abbastanza per vincere la serie, ma i Lakers avevano trovato una sicurezza da cui ripartire.
La differenza fu meno pronunciata, ma non meno evidente, nel 1985. Bird ebbe una media di 6.0 assist nei Playoffs, prima delle Finals. Dopo una larga vittoria di Boston in Gara 1, i Lakers vinsero quattro delle cinque partite successive, chiudendo la serie 4-1 e tenendo Bird a soli 4.2 assist a partita.
In quelle cinque gare, Larry non riuscì a segnare con efficienza e nemmeno a coinvolgere i compagni, i quali non furono in grado di tenere in piedi la squadra. Le difficoltà di Bird portarono durante la serie all’emergere di voci che sostenevano che il gomito, che lo aveva tormentato per mesi, si fosse nuovamente infortunato. Alla domanda se fosse stato Michael Cooper o il gomito a creargli problemi, Bird rispose “direi Cooper più di qualsiasi altra cosa”. Ancora una volta, la difesa di Coop aveva raggiunto l’obiettivo.
Battendo i Celtics, quei Lakers fecero ciò che altre otto versioni dei giallo-viola non erano riuscite a portre a compimento fino ad allora nelle NBA Finals. Boston infatti aveva battuto Los Angeles per otto volte consecutive, prima che Magic, Cooper e compagni interrompessero la striscia nel 1985. Vincendo al Garden, si assicurarono un titolo dove nessuno a parte i Celtics ci era mai riuscito prima. Avevano scritto la storia, e provato che lo Showtime poteva portare alla vittoria.
Lo spareggio
Nel 1986, i Lakers inciamparono sulla strada per le Finals, perdendo contro gli Houston Rockets e consentendo a Boston di vincere il titolo senza doverli affrontare. I Celtics del 1986 sono descritti da molti come la miglior squadra della storia dell’NBA, in grado di vincere 67 partite, con il terzo titolo consecutivo di MVP per Larry Bird.
Houston credeva di avere in Rodney McCray un giocatore in grado di marcarlo… à la Cooper, e i media parlavano molto di questo matchup. Bird però fece a McCray ciò che aveva fatto a Robert Reid, Bobby Jones e ogni altro giocatore che, in teoria, avrebbe dovuto limitarlo: lo incenerì.
Segnò 31 punti in Gara 1, con 12/19 al tiro, per mettere le cose in chiaro fin da subito. Senza un Cooper per fermarlo, i Rockets gli mandarono contro diversi difensori e molti raddoppi. Sebbene le percentuali di Bird non siano state di altissimo livello (48.2%), furono notevolmente migliori rispetto a quelle contro i Lakers nelle due stagioni precedenti; e soprattutto, Larry fece regolarmente pagare dazio contro i raddoppi, registrando 9.5 assist a partita e riuscendo a mettere in ritmo i compagni per tutta la serie.
Più che limitare la stella di Boston, Houston deviò solamente il modo in cui dominava le partite. E nella conclusiva Gara 6, Bird fu dominante: 29 punti, 11 rimbalzi, 12 assist, vittoria del titolo e dell’MVP delle Finals. Senza Cooper a fronteggiarlo, Bird era semplicemente inarrestabile.
Nel 1987, i Lakers e i Celtics si preparavano per lo spareggio, dopo l’1-1 nelle due sfide precedenti nelle Finals. Bird condusse un’altra magnifica stagione, la prima da 50/40/90 (percentuali dal campo, da tre, in lunetta) nella storia NBA. Sull’altra costa, Magic Johnson conquistò il titolo di MVP, mentre Cooper continuava a dare il solito contributo.
Coop diventò il primo giocatore in uscita dalla panchina a vincere il premio di Defensive Player of the Year. La sua reputazione come difensore di squadra e in uno contro uno era ai massimi storici, e ciò derivava dal riconoscimento del suo impatto globale in difesa, ma anche dal fatto che fosse l’unico in grado di difendere sul miglior realizzatore esistente.
La strada per le Finals non fu facile come nelle stagioni precedenti per i Celtics. A Est stava nascendo la generazione di Pistons che sarebbe arrivata al titolo (sì, i Bad Boys), che costrinse i Celtics a una dura serie in sette gare, prima di avere la meglio. Incapaci di fermare Bird sul campo, i Pistons cercarono di influenzarlo fuori dal rettangolo di gioco: Dennis Rodman e Isiah Thomas dichiararono ai giornalisti che, se Bird fosse stato nero, sarebbe stato considerato solamente “un buon giocatore”, e che veniva idolatrato solamente perché, in quanto bianco, era un’eccezione. La tempesta mediatica che ne seguì servì a coprire il fatto che nemmeno una squadra ostica e solidissima in difesa come Detroit aveva qualcuno in grado di fermare Bird in single coverage.
Los Angeles era l’unica squadra ad avere la soluzione. E Cooper fu di nuovo magnifico, tenendo Bird a 24.1 punti a partita con una percentuale di tiro del 44.5% nella serie. Dopo aver fornito 7.6 assist a partita in Regular Season e 7.8 nei Playoffs della Eastern Conference, grazie alle attenzioni del DPOY la media si abbassò a 5.5.
Cooper fu protagonista, oltretutto, di un’ottima serie anche a livello offensivo, sopratutto in Gara 2, quando fu decisivo nel secondo quarto, segnando o fornendo assist in un parziale di 20-10 per i Lakers. Chiuse la gara con 6/7 da tre punti, e le sue 6 triple segnate erano un record per le Finals. I giallo-viola vinsero in sei gare, arrivando al loro quarto titolo nella decade, contro i tre di Boston.
Il fisico di Bird da allora iniziò a dargli problemi, e con l’ascesa prima dei Pistons e poi dei Bulls, i Celtics tramontarono. Non sarebbero ritornati alle Finals fino al 2008, per un altra sfida (vinta) contro i rivali di Los Angeles. Cooper e i Lakers, invece, tornarono alle Finals nel 1988, sbarazzandosi dei Pistons in sette gare, per il quinto ed ultimo titolo dell’era Showtime.
Se Cooper non fosse mai arrivato ai Lakers – se, ad esempio, fosse stato scelto alla 58 o alla 59 nel Draft del 1978, o se si fosse dedicato a un altro sport, o se fosse stato scambiato – allora Bird sarebbe potuto uscire vittorioso dalla sfida con la sua nemesi Magic Johnson, in termini di spareggi vinti. In modo piuttosto semplicistico, si può affermare che Bird ha un record di 1-2 nelle serie finali contro Cooper e i Lakers, e 2-0 contro qualunque altro avversario.
Più sfumato è, invece, il punto di vista supportato dalle prove raccontate sopra. Bird era il miglior realizzatore della lega negli Anni ’80, e aveva attorno una squadra talentuosa. Fra il 1984 e il 1987 i Celtics andarono alle Finals per quattro volte consecutive, uscendone con due titoli. Senza Cooper, i Lakers non avrebbero avuto una risposta per Bird (come non l’aveva nessun’altra squadra nella lega), e non è folle pensare che i Celtics avrebbero potuto vincere tre se non quattro anelli.
Con cinque titoli, tra l’altro, Larry Bird verrebbe considerato in parte sotto un’altra luce. Un Magic Johnson con tre titoli avrebbe avuto un impatto diverso sul suo lascito. E più in generale, lo Showtime sarebbe stato così altamente considerato, se avesse vinto solo tre volte in nove anni? E forse considereremmo diversamente anche i Pistons, se fossero stati loro a interrompere la striscia di Boston nel 1988, invece dei Lakers nel 1987?
Combinando atletismo, istinto, intelligenza e preparazione in un modo unico, Michael Cooper è diventato l’arma perfetta contro Larry Bird, e così facendo ha cambiato il destino di un’intera era di basket NBA.
L’eredità
Questo articolo si è concentrato soprattutto sulla difesa individuale di Cooper su Bird, ma il suo contributo ai Lakers è stato decisamente più ampio.
Come compagno di squadra e amico, innazitutto è stato decisivo nello sviluppo di Magic Johnson come leader di una squadra da titolo. Offensivamente, poi, era un atleta dinamico che si esaltava come terminale offensivo in transizione. Chick Hearns, commentatore di lunga data dei Lakers, aveva coniato l’espressione “Coop-a-loop”, quando Cooper concludeva un alley-oop alzato da un compagno – che spesso, come prevedibile, era Magic Johnson. È anche diventato uno dei primi specialisti da tre dell’NBA, uno dei soli tre giocatori prima del 1987 a tentare più di 250 triple in una stagione.
Cooper non partì mai stabilmente in quintetto nei Lakers, ma entrava sempre quando ce n’era bisogno, e quasi sempre era in campo nei finali di partite punto a punto. In Gara 6 delle Finals del 1980, è famoso il fatto che Johnson giocò da centro al posto dell’infortunato Kareem Abdul-Jabbar, ma fu Cooper a fare un passo avanti e a prendere il posto di Magic in quintetto. Dal 1981 al 1988 fece parte di un All-Defensive Team in ogni stagione, comprese quattro scelte nel primo quintetto. Nel 1984 prese parte alla prima gara delle schiacciate dell’NBA, e tre anni più tardi affrontò Bird nel Three Point Contest.
La reputazione di Cooper a Los Angeles era talmente alta che, anni dopo essersi ritirato, difese su un giovanissimo Kobe Bryant durante un workout, e Kobe andò bene a sufficienza da convincere la dirigenza dei Lakers che avrebbe dovuto assolutamente trovare un modo per sceglierlo al Draft.
Nessun altro giocatore mai chiamato a un All-Star Game ha avuto un impatto così grande sui titoli NBA degli Anni ’80. Bill Simmons, nel suo rifacimento della Hall of Fame nel libro “Book of Basketball”, lo ha incluso come parte del gruppo “migliori role player di tutti i tempi”.
Cooper non era e non è un giocatore sconosciuto, anzi. Ha fatto parte dello Showtime, e ha giocato sette serie finali in carriera, con un ruolo determinante. Ma non è molto conosciuto al di fuori di chi si intende di basket, non viene ricordato come i suoi compagni Hall of Famers. Eppure, ha avuto un impatto importante, anzi cruciale, al massimo livello.
Senza Cooper, la storia degli Anni ’80 sarebbe potuta essere completamente diversa. Le eredità lasciate da Larry Bird, Magic Johnson e tanti altri sono state fortemente condizionate dalla sua difesa. Sì, è stato il giocatore “perno” per antonomasia, e merita di essere lodato per l’impatto che ha avuto sull’NBA.