Un percorso – rigorosamente orale – attraverso gli innumerevoli aneddoti legati al trash talking di Larry Bird, maestro di quest’arte in via d’estinzione. Il tutto tramandato da compagni e avversari di una vita.

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“Larry giocava a scacchi mentre il resto della Lega giocava a dama.”

Tom Heinsohn

Nelle rituali interviste alle vecchie glorie del passato, una delle domande che ricorre maggiormente è chi fosse il più grande trash talker della Lega. Il perché è presto detto: tutti amano i retroscena dei duelli accesi tra gli atleti, quel balletto verbale fatto di provocazioni che rendeva memorabili i momenti di estrema competizione.

In tutte le ideali classifiche stilate tra i migliori in questa peculiare skill, un nome solo svetta su tutti: Larry Joe Bird. Larry Legend è cresciuto in un epoca in cui il trash talking era di fatto una conditio sine qua non per giocare tra i pro, un biglietto da visita che diceva molto delle proprie abilità: una pratica quasi incoraggiata e non multata e osteggiata come nella NBA omologata dei giorni nostri.


Il 33 ha elevato il concetto. Se per la maggiora parte dei giocatori le provocazioni servono a minare la sicurezza degli avversari e assorbire energia per migliorare le proprie prestazioni, per Bird il trash talking è uno stile di vita, un modo di sentirsi vivo e sfidare continuamente la propria superiorità cerebrale – e tecnica – come atleta.

C’è chi, parlando di lui, è arrivato a parlare di facts talking: perché sovente le sue affermazioni, anche le più avventurose e audaci, avevano un riscontro immediato nella realtà.

Il problema principale dell’infinita stagione regolare NBA – ai tempi ancor più faticosa causa l’assenza di molti confort odierni – era mantenere alta la motivazione per 82 partite. Larry la cerca ovunque.

“Spesso, quando andavamo in trasferta, chiedeva ai raccattapalle durante lo shootaround di informarsi su quale fosse il record di punti segnati nel palazzo. E ovviamente cercava di batterlo”.

– Danny Ainge

Di seguito passiamo in rassegna una serie di dichiarazioni – per lo più raccontate da avversari e compagni – che hanno contribuito a creare il mito e la leggenda del 33 in maglia biancoverde.

“Sono io il fottuto miglior giocatore dell’Indiana” 

Nel dicembre del 1989, Shawn Kemp è un giovane e acerbo talento appena affacciatosi al basket dei professionisti direttamente dall’high school. Sta rapidamente salendo le scale gerarchiche della Lega, dopo essere stato incensato dalla stampa e molti addetti ai lavori come uno dei migliori prospetti usciti dallo stato dell’Indiana dai tempi di Bird.

Larry decide dunque di organizzare un clinic al Garden, chiudendo la gara contro i Seattle Supersonic con 40 punti, 11 rimbalzi e 10 assist. Durante l’ultimo quarto, in diverse occasioni, Kemp si incarica di marcare Bird, con l’impetuosità e la voglia tipica del rookie di far fare una figuraccia al veterano di turno. Dopo l’ennesimo canestro in faccia subito, mentre il 33 torna in difesa, pronuncia la celebre frase “I’m the best fucking player out of Indiana”: pochi dubbi al riguardo.

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“Mi piaci rookie, hai fegato. Ma ne faccio comunque 40 stasera”

Uno dei primi incontri tra Dominique Wilkins e Bird è traumatico.

Il rookie degli Atlanta Hawks ha grande stima del 33, dunque gli si avvicina per stringerli la mano, incensandolo con la più classica delle captatio benevolentiae. Larry lo guarda a mala pena e subito dopo la palla a due comincia a torturarlo con triple, canestri in fade away e commenti del tipo “Hanno sbagliato a metterti su di me” o “cosa cazzo ci fai nella Lega ragazzino?!”. Durante un contropiede, però, a Bird viene la sciagurata idea di inseguire The Human Highlight Film e tentare di stopparlo, mentre è lanciato verso una schiacciata. Risultato? Un goffo poster, con Wilkins un metro sopra il ferro e Larry che capitombola. Rialzatosi come niente fosse, tornando in difesa, Bird riconosce al giovane la sfacciataggine, ricordandogli però che può segnare 40 punti ogni volta che lo desideri. Quella sera si fermerà a 39, di fatto non mantenendo la promessa, cosa che rese Wilkins estremamente orgoglioso.

E Larry assetato di vendetta…

I rookie sono bersagli particolarmente intriganti per Bird, senza dubbio alcuno.Racconta la 7° chiamata assoluta del Draft 1989, George McCloud, di quella volta che finisce per marcare Larry Legend nel finale di una partita, durante il suo primo anno con gli Indiana Pacers. Non appena il 33 nota la marcatura, si gira verso la panchina dei gialloblu e si lascia andare a un beffardo: “So che siete disperati ragazzi, ma uno che abbia un minimo di possibilità di marcarmi non ce l’avete?”. Un altro rookie dei Pacers ad aver subito la cura Bird è Reggie Miller, un giocatore dal pedigree decisamente diverso e dalla lingua infinitamente più lunga di McCloud. Spinto dall’incoscienza giovanile, durante un viaggio in lunetta di Larry, Miller non resiste alla tentazione di dirgli qualche parolina per distrarlo tra un libero e l’altro. Bird lo ferma subito: “Ascolta ragazzo, sono il miglior tiratore della Lega… di tutta la Lega, capisci? E tu pensi davvero di distrarmi con le tue cazzate?!”. 2 su 2 e lezione imparata.

Indiana è una delle vittime preferite, a quanto pare: sarà per l’aria di casa, ma contro i Pacers gli aneddoti su Bird sono pressoché infiniti.

“Merry fucking Christmas!”

Nel prepartita di una gara di Natale del 1986 tra Celtics e Pacers, lo sfrontato top scorer dei gialloblu, Chuck Person, soprannominato The Rifleman, si lascia andare a un proclama un po’ troppo fiducioso: “The Rifleman is Coming, and He’s Going Bird Hunting”, traducibile con “Il cecchino è in città e vuole andare a caccia di uccelli”, giocando col cognome di Larry.

Al 33 non serve altro.

Durante il riscaldamento si avvicina a Person e gli sussurra nell’orecchio “Hey Chuck, ho un regalo per te…”. Durante la gara Larry si trova a prendere un tiro da 3 dall’angolo, a poche spanne da Person; lascia partire il pallone e prima ancora di guardare l’esito della conclusione si gira verso la guardia dei Pacers: “Merry fucking christmas” esce dalla sua bocca qualche istante prima che la spicchia scuota il cotone.

“Sto solo cercando di capire chi arriverà secondo…”

Al All-Star Weekend del 1986, in quel di Dallas, viene introdotto il three-point contest e gli occhi di tutta la NBA sono su Larry Bird che ha deciso di partecipare.

Il 33 arriva in spogliatoio e comincia ad osservare uno ad uno gli avversari di quel giorno, tra i quali due futuri vincitori della gara come Craig Hodges e il padrone di casa Dale Ellis.

Si alza il nervosismo, Larry è sempre così loquace che questo silenzio turba gli avversari: “Scusate eh…sto cercando di capire chi di voi arriverà secondo ragazzi”.

Ancora una volta alle parole seguiranno i fatti, con Bird che sbaraglia la concorrenza e vince l’assegno da 10mila dollari donato dalla American Airlines per l’occasione: “Quell’assegno aveva il mio nome stampato sopra da una settimana…”.

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Dopo aver vinto la gara anche nel 1987, Larry torna per una terza volta nel 1988: questa volta decide di non togliersi nemmeno la giacca da riscaldamento durante la competizione, vincendo ugualmente.

Prima ancora che l’ultima money-ball, quella decisiva per la vittoria, abbia terminato il suo arco verso il canestro, Bird sta già andando verso il trofeo col dito alzato.

Nel 1990 Craig Hodges vince finalmente la gara del tiro dalla lunga distanza, in contumacia Bird che dopo l’ultimo titolo decide di non partecipare più. Un giornalista gli chiede se senza il 33 non sia una vittoria con l’asterisco e Hodges spavaldo risponde: “Non ho paura di lui, se mi cerca sa dove trovarmi…”. Il commento venne riportato qualche ora dopo a Bird, il quale rispose con una one-liner mortifera: “Certo che so dove trovarlo, in fondo alla panchina dei Bulls”.

“Stasera gioco con la sinistra”

Come vivacizzare una sonnacchiosa trasferta di metà stagione in quel di Portland? Semplice: dichiarando a compagni e avversari di giocare la maggior parte della gara con la sola mano sinistra, usata per tutto ad eccezione dei tiri da fuori.

I Celtics chiudevano in Oregon, nella notte di San Valentino, una lunga trasferta ad Ovest. Le forze erano poche e quel genere di sfida era ciò che serviva a Bird per restare competitivo.

Risultato? 47 punti a fine serata di cui ben 27 con la mano sinistra, tra floater, appoggi al tabellone e ganci.

Si diceva di come il trash talking sia, in pratica, uno stile di vita per Bird e non si limiti ai soli avversari diretti ma travolga spesso anche i compagni. Tra le sue vittime preferite Kevin McHale, suo inseparabile scudiero durante tutte le campagne vincenti dei Celtics degli anni ’80. Larry non perde occasione di stuzzicarlo e stimolarlo, come quella volta in cui lo imbarazzò davanti ad uno dei giocatori più duri e temuti di tutta la NBA.

“Eravamo pronti a saltare per la palla a due, io contro Elvin Hayes, una leggenda del Gioco e noto per avere un caratteraccio. Larry dal nulla si avvicina e dice, in modo che The Big E senta tutto: << Dai Kevin, di’ ad Elvin Hayes cosa mi ha detto prima in spogliatoio…>> Io non avevo detto assolutamente nulla e rimango sorpreso << Sì dai, mi hai detto che stasera lo avresti preso a calci nel culo…>>”

– Kevin McHale

Ma la frase più memorabile che Larry gli abbia mai rivolto è un’altra.

“Saresti dovuto andare per i 60…”

Il 3 marzo 1985 Bird lascia il campo con l’ennesima tripla doppia da 30-15-10 in una comoda vittoria casalinga contro i Detroit Pistons, ma la notizia è un’altra quella sera.

McHale, l’adorato e affidabile sesto uomo dei biancoverdi, è partito titolare causa l’infortunio al ginocchio di Cedric Maxwell e dà vita a una prestazione mitologica: segna 56 punti, superando il record di franchigia fatto registrare da Larry due anni prima con 53.

Il bottino è ancor più incredibile perché scaturisce con ancora metà ultimo quarto da giocare, momento in cui McHale chiede il cambio, accontentandosi della clamorosa giornata che ha avuto. Tornando a sedersi in panchina, Larry Legend e il suo atavico spirito competitivo sono oltraggiati e in quel momento Bird pronuncia le celebri parole “Saresti dovuto andare per i 60 punti”. Più che un consiglio, era una minaccia. 9 giorni dopo i Celtics giocano contro gli Atlanta Hawks. Vi ricordate di Dominique? Beh quella sera è lui a marcare per la maggior parte del tempo Larry, che non ha dimenticato la promessa non mantenuta dei 40 punti. Succede questo.

60 punti, con canestri uno più incredibile dell’altro. La situazione è talmente surreale che la panchina degli Hawks comincia a esultare ai centri di Larry, conscia di essere testimone di una pagina di storia della pallacanestro.

E a proposito di facts talking, Doc Rivers è ancora sconvolto da quello che successe quella sera.

“Continuava a sfidarci, dichiarando da dove avrebbe tirato, quando voleva tirare di tabella, segnando sempre. Poi ad un certo punto disse << Rainbow, trainer’s lap>>, intendendo che avrebbe segnato con una parabola altissima quasi dalla nostra panchina. Beh, prese un tiro a pochi centimetri dal coach, e un mio compagno fece di tutto per ostacolarlo, commettendo anche fallo. La palla entrò dopo una parabola altissima, e il contatto lo fece cadere esattamente in braccio al nostro trainer…il destino era compiuto…”

Trash talking ai compagni di squadra, dicevamo.ML Carr, un onesto gregario per i Celtics dal 1979 al 1985, ricorda come durante un finale di partita teso Larry si rivolse ai compagni in panchina durante l’ultimo timeout: “Voi ragazzi volete vincere questa gara vero?”. Tutti annuirono e risposero “Certo, Larry”. Il 33 fu lapidario: “Allora datemi la palla e levatevi di torno!”.

“Ora metto una tripla e andiamo a casa, ragazzi”

26 febbraio 1983. Dopo che Bird ha giocato uno dei peggiori ultimi quarti della sua carriera, sbagliando più o meno tutto quello che si può sbagliare, i Celtics si sono fatti rosicchiare dai Phoenix Suns un vantaggio arrivato anche alla doppia cifra, trovandosi sotto di un punto a meno di due secondi dalla sirena finale.

La squadra, vista la situazione, insiste per cercare un tiro nei pressi del canestro. Larry ha idee diverse: preannuncia la giocata alla panchina avversaria, riceve la rimessa, si gira in un fazzoletto e lascia partire una tripla in corsa su un piede solo. Solo rete.

Resta in trionfo qualche istante prima di rivolgersi nuovamente alla panchina dei Suns: “Ve l’avevo detto”, scambiandosi una stretta di mano con un avversario, incantato da cotanta sfacciataggine.

“La prenderò esattamente in questa posizione, mi girerò e ti segnerò in faccia…”

Se non è sfacciataggine quella di queste parole, allora trovatemi un caso migliore.

30 dicembre 1986, ultimi istanti di una tiratissima gara contro i Seattle SuperSonics, i Celtics hanno una rimessa offensiva per tornare in vantaggio.Bird si rivolge al suo avversario diretto, Xavier McDaniel, con quella frase che trasuda arroganza e sicurezza nei propri mezzi.

McDaniel d’altro canto è uno dei miglior difensori della Lega e gli risponde per le rime: “Lo so, ti sto aspettando…”

Larry prende posizione spalle a canestro all’altezza della lunetta, leggermente defilato, esattamente dove ha indicato sarebbe andato. Riceve, un palleggio di allontanamento, viene raddoppiato ma riesce comunque ad alzarsi per la conclusione. Indovinate l’esito.

Il povero Xavier McDaniel ha ancora gli incubi per quel possesso, e come se non bastasse Bird, tornando verso la panca per il timeout immediato dei Sonics, rincara la dose: “Cazzo, non volevo lasciare tutto quel tempo sul cronometro…”

Una cosa mandava in bestia Bird più di tutte: quando non reputava gli avversari atti a marcarlo al suo livello, di fatto non sentendosi stimolato abbastanza e vedendola come una mancanza di rispetto.

“Ben Poquette? Mi prendi per il culo?!”

Questo il suo pensiero riguardo a una marcatura voluta da Doug Collins durante un match contro i Bulls. Ben Poquette, un bestione non certo dal talento cristallino – che chiuse la carriera tra Desio e Gorizia – è la vittima sacrificale dell’offesa di Larry, che decide non solo di far sapere al coach dei Chicago cosa pensa della sua scelta difensiva ad alta voce, ma con i fatti: 33 punti nel primo tempo basteranno?

“Chuck mi sta marcando qualcuno? Non vedo nessuno…”

Quel qualcuno è Dennis Rodman, già allora riconosciuto come uno dei difensori più arcigni della Lega e quel Chuck è Daly, il coach dei terribili Bad Boys di Detroit.

In una gara passata alla storia, nonostante il Verme si danni per rendere difficile ogni tiro e ogni ricezione di Bird, il 33 sbaglia solo un paio di conclusioni in tutta la sera, chiudendola con oltre 40 punti. Rodman stesso ha raccontato di come per tutta la gara, nonostante gli mordesse le caviglie a ogni possesso, Larry urlasse: “Passatemela sono libero, presto prima che si accorgano che non mi marca nessuno!”. Selvaggio.

Un altro scambio leggendario con un allenatore avviene durante un Celtics-Jazz, l’ennesima partita in cui a Larry riesce un po’ di tutto e agli avversari non resta che ammirare il suo straordinario talento e la sua mortifera efficacia.

Prima della ripresa del gioco, dopo un timeout, Bird si rivolge a Frank Layden, coach dei Mormoni e un vero e proprio stand up comedian mancato: “Hey Frank, non c’è nessuno in panchina dei tuoi che possa marcarmi?”. M.L. Carr, compagno di Bird è a pochi metri dalla scena e conferma come coach Layden si sia girato verso i propri giocatori in panchina, per poi rivolgersi di nuovo a Bird: “No Larry nessuno, mi spiace…”

Proprio nessuno.