Dall’ascesa verso le Finali 2006 fino alla vendetta del 2011. La storia del Titolo NBA dei Dallas Mavericks.

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Il rumore dei tappi delle bottiglie di champagne aperte si mescola con le urla di gioia e le risate. Lo spogliatoio dei Miami Heat è un autentico pandemonio di emozioni, coi giocatori e tutto lo staff intento a festeggiare il primo titolo della storia della franchigia.

Poco lontano, sempre all’interno della pancia dell’American Airlines Center, i Dallas Mavericks vivono un atmosfera diametralmente opposta.

Le Finals 2006 sono da poco concluse e i padroni di casa sono stati sconfitti dalla squadra della Florida.


In un angolo, ancora con la divisa bianca addosso, Dirk Nowitzki ha un asciugamano posato sulla testa e lo sguardo fisso nel vuoto.

Non si spiega come i suoi Mavs, con l’inerzia della serie in mano, siano riusciti a buttare la loro grande occasione di vincere il primo Titolo della formazione texana. Quello che il tedesco non può sapere è che l’appuntamento con l’anello è solo rimandato.


I Mavericks sono un team piuttosto giovane, che ha esordito nella NBA nel 1980, frutto della voglia del fondatore e proprietario, Don Carter, di regalare una squadra alla città di Dallas.

Nonostante le attese difficoltà iniziali, i Mavs riescono a essere competitivi in poche stagioni, raggiungendo i Playoff nel 1984.

I leader della squadra sono il top scorer Mark Aguirre e Rolando Blackman, che in futuro sarà uno dei grandi protagonisti dello scudetto 1996 dell’Olimpia Milano. La qualità del roster si impreziosisce anche grazie a giocatori dal calibro di Derek Harper, Sam Perkins, Roy Tarpley e il tedesco (no, non ancora quello che pensate) Detlef Schrempf.

Le prestazioni crescono gradualmente, finché il team raggiunge il proprio apice conquistando l’accesso alle Western Conference Finals del 1988 contro i campioni in carica dei Los Angeles Lakers. La sfida si dimostra molto equilibrata ed è solo in Gara 7 che Magic e compagni riescono ad aggiudicarsi la serie.

Dopo la finale a Ovest, seguiranno tre annate poco convincenti, con addirittura una stagione fuori dalla post season. La dirigenza ritiene pertanto concluso il ciclo dell’attuale roster e opta per un rebuilding totale. Mark Aguirre viene ceduto nel 1989 ai Detroit Pistons e diventerà uno dei protagonisti del titolo in Michigan.

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La prima parte degli anni ’90 regala solo prestazioni mediocri ai tifosi dei Mavs, ma si intravede una luce in fondo al tunnel, col Draft 1994 e la scelta di Jason Kidd.

Il play da University of California, prende in mano le redini della squadra e va a formare, insieme a Jamal Mashburn e Jimmy Jackson, il più promettente backcourt di tutta la Lega.

Nonostante cifre individuali importanti e riconoscimenti (Kidd eletto Rookie of the Year in condivisione con Grant Hill), il trio non riesce a risollevare le sorti della squadra, che manca costantemente l’appuntamento coi Playoffs.

Deciso a non sprecare il prezioso talento cestistico in dotazione, il nuovo proprietario Ross Perot Jr. opta per una mini rivoluzione non appena preso il timone della franchigia. Nel 1996 Kidd viene spedito ai Suns per Michael Finley, Sam Cassell e A.C. Green. L’anno dopo anche Mashburn e Jackson fanno le valigie.

Finley si rivelerà un giocatore prezioso per Dallas, ma la prima vera svolta nella storia dell’organizzazione arriva con la nomina di Don Nelson come GM prima e Head Coach poi. Il nativo di Muskegon è sempre stato un personaggio sui generis e imprime da subito la propria impronta sull’organico.

Nell’estate del 1998 il roster viene epurato di quasi tutti i componenti, e tramite trade emigra in Texas il talento cristallino di Steve Nash.

Il capolavoro di Nelson tuttavia consiste nell’aver notato un ragazzone tedesco biondo, che gioca nella seconda lega in Germania e che ha incantato al Nike Hoop Summit di marzo.

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Dirk Nowitzki viene scelto dai Mavs con la chiamata n. 9 del Draft ’98.

I miglioramenti in termini di vittorie di squadra, sono subito evidenti. Coach Nelson sfrutta a pieno il talento a propria disposizione e l’ex Wurzburg migliora a vista d’occhio.

Un vero scossone, non solo interno, ma per tutta la NBA, arriva a gennaio del 2000, quando la proprietà dei Mavericks passa ancora di mano, finendo a Mark Cuban.

È un meraviglioso esempio di self-made man, avendo guadagnato una fortuna dalla vendita del sito web tv Broadcast.com a Yahoo. È di gran lunga il più eclettico, imprevedibile, spontaneo e follemente geniale proprietario nella storia della Lega.

Anziché pavoneggiarsi in lussuosi sky-boxes, inamidato in completi da migliaia di Dollari, assiste alle partite dei suoi seduto accanto alla panchina, indossando una maglietta. È perfetto per il proprio allenatore, è l’ideale per far svoltare le sorti della franchigia.

I texani tornano infatti ai Playoffs nel 2001 dopo undici anni (eliminati 4-1 al secondo turno dagli Spurs).

Dalla stagione successiva inizia un processo di crescita che porta i Mavs a diventare una vera e propria macchina da punti, a dispetto di una difesa che concede molto agli avversari.

Nowitzki è ormai un All-Star, Nash è un metronomo e al top della Lega nel ruolo, Finley fornisce punti e consistenza nel backcourt.

La stagione 2002/03 vede i ragazzi di Nelson chiudere col record di 60-22 in Regular Season, prima per punti segnati ma solo sedicesima per quelli subiti.

Solo un infortunio al ginocchio del n. 41, durante le finali a Ovest, impedisce alla squadra di Cuban di conquistare le prime Finals della sua storia, a vantaggio ancora di San Antonio. Ma l’intera NBA ha ormai capito che Dallas è una seria contender.

L’annata successiva vede il duo Nelson/Cuban operare due consistenti scambi (14 giocatori complessivamente coinvolti). Il risultato iniziale è un peggioramento della chimica di squadra, nonostante la consueta propensione offensiva. La corsa nella post season termina al primo turno contro Sacramento.

La dirigenza bianco-azzurra prende atto che la tracotante potenza in attacco limita le speranze di arrivare al ballo finale, vista l’elevata competitività della Western Conference. È giunta l’ora delle decisioni difficili.

Nell’estate del 2004 la partenza via free agency di Steve Nash, cavallo di ritorno verso Phoenix, sconvolge non poco gli equilibri interni. Oltre al dispiacere personale di Wunderdirk, grande amico del canadese, si registra una spiccata propensione al rafforzamento difensivo, con le acquisizioni di Jason Terry, Devin Harris e Jerry Stackhouse. Senza dimenticare la valorizzazione dei secondo anno Josh Howard e Marquis Daniel.

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A marzo 2005 Don Nelson cala il carico, rassegnando le proprie dimissioni da Head Coach e promuovendo al proprio posto il fido Avery Johnson.

Anche se i Playoffs 2005 vedono una precoce delusione al secondo turno per 4-2, proprio contro i Suns dell’ex Nash, è evidente che i Mavs abbiano trovato la quadratura del cerchio.

Coach Johnson mette a posto la difesa e anche se la squadra scende sotto i 100 punti segnati (99.1) per la prima volta dopo sei anni, i punti concessi agli avversari sono solo 93.1 (settimi in NBA).

Viene sacrificato Michael Finley, tagliato per non incidere sulla Luxury Tax e per valorizzare il talento di Howard.

Il risultato è il secondo record della Lega, dietro solo agli Spurs, e per coach AJ il meritato titolo di Coach of The Year.

Il roster adesso sembra ben bilanciato. Nowitzki sta giocando a un livello da MVP, Jason Terry garantisce una valida alternativa offensiva al tedesco, aggiungendo difesa sul perimetro. Josh Howard è la terza bocca di fuoco, mentre il veterano Jerry Stackhouse aggiunge esperienza e solidità fisica. Sotto le plance ci sono i chili e i centimetri di DeSagana Diop e Erick Dampier. Keith Van Horn e Marquis Daniels completano la rotazione portando qualità.

I Playoffs 2006 iniziano con un facile sweep contro Memphis.

Al secondo turno la sfida si porta su un livello più interessante: il derby texano contro San Antonio.

Dallas infiamma subito la contesa, vincendo Gara 2 all’AT&T Center, dopo che gli Spurs avevano fatto loro la prima partita.

Ci si sposta quindi all’America Airlines Center, dove il punteggio viaggia sul filo fino alla fine di Gara 3. Ginobili porta due volte i bianco-neri in vantaggio nell’ultimo minuto.

Nowitzki risponde con due tiri liberi che regalano ai suoi il +1 con 7.9 secondi da giocare.

I ragazzi di coach Popovich perdono il pallone sulla rimessa, i Mavs vincono la partita 104-103 e si portano in vantaggio 2-1.

La franchigia di Cuban, poi, conquista anche Gara 4 dopo un supplementare, guidata da Nowitzki e Terry, e ipoteca il passaggio del turno.

Ginobili e Duncan guidano gli speroni nella rimonta e trascinano la serie alla decisiva Gara 7 tra le mura amiche. In un clima infuocato l’equilibrio regna ancora sovrano e a dominare il gioco sono ancora il tedesco da Wurzburg e Tim Duncan.

In un finale non adatto ai cuori deboli, Manu porta i padroni di casa sul +3 a 32.9 secondi dalla fine, ma sul fronte opposto l’argentino commette una clamorosa ingenuità, commettendo fallo su Nowitzki che segna canestro e libero supplementare.

Overtime e mazzata psicologica per San Antonio. Vince Dallas, che prosegue la propria missione e avanza alle finali di Conference. Ad attendere i ragazzi di coach Johnson ci sono i Suns dell’ex Nash, nel rematch dei Playoffs 2005.

In Gara 1 in Texas sono gli ospiti a dettare legge, col solito Nash che dispensa pallacanestro e un magnifique Boris Diaw, che segna il jumper della vittoria a 0.5 dalla fine.

In Gara 2 prende il proscenio il padrone di casa. Wundervar segna 30 punti e trascina i suoi al pareggio della serie.

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Non contento, replica due giorni dopo in Arizona, segnando 28 punti conditi da 17 rimbalzi.

La difesa dei bianco-blu è la vera chiave di volta del 2-1, perché costringe i Suns sotto i 100 punti segnati in casa (era successo solo sei volte in Regular Season).

I ragazzi di Coach D’Antoni non mollano e asfaltano gli avversari in Gara 4, pareggiando la serie. Nowitzki capisce che il ritorno tra le mura amiche non può essere sprecato. In Game 5 crivella il canestro dei Suns con 50 punti, con 5/6 da 3 punti, 12 rimbalzi e un +22 di plus/minus.

Nella sesta sfida, Phoenix parte fortissimo, toccando il +15 già nel primo quarto. La rimonta degli uomini di Johnson è forsennata ma efficace, finisce 102-93. Game, set and match Dallas. Per la prima volta nella loro storia i Mavs volano alle Finals.

Ad attendere i neo campioni della Western Conference c’è un’altra debuttante al gran ballo, i Miami Heat. Anche la squadra della Florida sta attraversando un percorso di crescita, alla ricerca del primo anello.

Per questo, nel 2004 la dirigenza degli Heat era riuscita ad acquisire via trade dai Los Angeles Lakers nientemeno che Shaquille O’Neal. “The Big Aristotele” non è più il giocatore dominante del threepeat Lakers, ma è ancora un All-Star e una presenza nel pitturato.

Il leader offensivo però è Dwyane Wade. La guardia da Marquette è maturato costantemente da quando è entrato nella Lega e ha trascinato la sua squadra fino alle Finals. Completano il roster la solidità difensiva e l’alto QI cestistico di James Posey e Udonis Haslem, il talento folle di Jason Williams e Antoine Walker, oltre che l’esperienza e la classe di Gary Payton e Alonzo Mourining. A guidare il gruppo una leggenda che risponde al nome di Pat Riley.

In Gara 1 Dallas si trova subito a inseguire gli avversari. Nonostante Nowitzki sia impreciso al tiro, basta la grande vena realizzativa di Jason Terry (32 pts) a guidare i texani verso la vittoria.

Gara 2 non si discosta molto dalla prima, con Wunderwar Dirk che ritrova la via del canestro (chiude con 26 pts e 16 rimbalzi) e coi padroni di casa che archiviano la pratica con un +24 già alla fine del terzo quarto. Si cambia costa e si vola a Miami, con un 2-0 Mavs che fa ben sperare la squadra di Cuban.

Game 3 sembra il naturale proseguo delle prime due sfide. Gli uomini di coach Johnson hanno in mano il controllo del gioco, nonostante un punteggio equilibrato all’intervallo. Nel terzo quarto poi arriva un allungo degli ospiti che sembra decisivo.

Mancano 5:19 alla fine della partita e i bianco-blu sono sul +10. L’inerzia della gara e delle serie è tutta nelle loro mani e gli Heat sembrano ormai alzare bandiera bianca. Succede l’impensabile.

I padroni di casa iniziano a macinare gioco e punti e in un attimo rientrano in gara. Wade è semplicemente incontenibile per la difesa. Il numero 3 segna ben 42 punti e cattura 13 rimbalzi, trascinando i suoi alla vittoria per 98-96. È una vera mazzata psicologica per i Mavericks.

I campioni della Western sono come un pugile contato in piedi e in Gara 4 affondano completamente, perdendo 98-74. La quinta partita assume un’importanza capitale.

Dallas si sveglia dal KO e la gara viaggia punto a punto fino alla fine. Jason Terry tiene vivi i suoi rispondendo a un incontenibile Dwyane Wade (chiuderà con 43 punti). Si va al supplementare dove il nativo di Wurzburg porta i sui sul +1 a 9.1 secondi dalla fine. Il numero 3 di Miami però subisce fallo e segna i due liberi che spingono gli Heat in vantaggio nella serie. Si torna in Texas con i ragazzi di Riley che hanno ben due match-point sulla racchetta.

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Ancora una volta le due squadre viaggiano di pari passo. Miami ha il solito Wade, ma il più sentito ringraziamento gli Heat lo devono fare a Jason Cooper. Questi altri non è che un cugino di Alonzo Mourning che ha donato un proprio rene all’ex Georgetown. Zo infatti soffriva di una gravissima insufficienza renale, che lo costrinse a un temporaneo ritiro nel 2003. Tornato alla vita e all’attività nel 2005 grazie al trapianto, il giocatore si era ritagliato un prezioso ruolo di backup di O’Neal.

In Gara 6 il Mago di Zo è straordinario: in soli 14 minuti segna 8 punti, 6 rimbalzi e ben 5 stoppate. Praticamente un passaggio a livello umano che chiude l’area di Miami. Dallas non regge il colpo e il titolo va agli Heat.

Siamo tornati all’inizio della nostra storia, con i Mavs sconvolti dalla grande occasione persa.

Il più provato e affranto è proprio Nowitzki. Sa di aver deluso tutto l’ambiente, non avendo giocato delle Finali al proprio livello. Sente il bisogno di staccare, di fuggire, di ritrovare se stesso. Invece che passare l’estate in palestra col fido Holger Geschwinder, vola in Australia, per affrontare un percorso spirituale nel deserto e recarsi presso la roccia di Uluru.

Rigenerato, si rituffa coi suoi Mavs nella nuova stagione, voglioso di riprovarci ancora.

Dallas è un carrarmato e chiude la Regular Season col miglior record della Lega (67-15). Il numero 41 viene eletto MVP della stagione (primo europeo della storia).

Il primo turno dei Playoffs 2007 appare tutt’altro che proibitivo. I Golden State Warriors occupano infatti l’ottavo seed a Ovest.

Ancora una volta i vice campioni NBA subiscono la vendetta di un ex. In questo caso si tratta di Don Nelson, che aveva lasciato anche l’incarico di GM dei texani e aveva preso le redini della squadra della baia nel 2006.

Conoscitore profondo dei giocatori e del gioco dei propri avversari, Nelson annulla diabolicamente Dallas.

L’upset è servito, 4-2 Golden State. L’equilibrio mentale dei Mavs raggiunge un livello da psicanalisi.

Nella stagione 2007/08 le prestazioni del team precipitano in maniera drastica. Cuban e il GM Donn Nelson (figlio di Don) hanno però un’idea: se in passato gli ex sono stati lo spauracchio dei Mavs, perché non affidarsi a uno di loro? Viene quindi imbastito uno scambio con New Jersey che riporta in città Jason Kidd. Il play di San Francisco torna così nella città dove aveva dato il via alla propria carriera.

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Nonostante l’eccellente livello di playmaking del nuovo arrivato, la squadra fatica a trovare un equilibrio e nella post-season 2008 arriva una nuova eliminazione al primo turno. Serve un cambiamento consistente.

Avery Johnson viene licenziato per fare posto a Rick Carlisle, e il neo coach dimostra di essere la persona giusta per guidare la squadra verso la propria redenzione.

Serve ancora tempo e un roster adeguato, però. Nei Playoffs 2009 i Mavericks hanno la soddisfazione di eliminare i rivali Spurs, ma vengono poi sconfitti al secondo turno dai Nuggets.

La stagione successiva i risultati migliorano, ma la post-season regala una nuova eliminazione al primo turno (di nuovo gli Spurs). Si ha la sensazione che i Mavs siano l’eterna incompiuta, una squadra di buon livello a cui manca quel qualcosa per vincere il titolo.

Il roster presenta un buon equilibrio nei vari ruoli. Nowitzki continua a giocare a livelli da top nella Lega, Caron Butler e Shawn Marion portano un buon contributo offensivo, Jason Terry dalla panchina è un elemento fondamentale, Tyson Chandler sotto canestro fornisce tonnellaggio e intimidazione, DeShawn Stevenson aggiunge difesa e pressione sul perimetro. Ovviamente Kidd in regia a dettare i tempi, ben coadiuvato da J.J. Barea.

La stagione 2010/11 inizia con un buon record di 26-7, gennaio porta una battuta d’arresto, soprattutto per la perdita di Butler per il resto della stagione per la rottura del tendine rotuleo.

Terminata le Regular Season al terzo posto a Ovest, nei Playoffs gli uomini di Carlisle eliminano nell’odine Portland e i Lakers di Kobe addirittura per 4-0. Nella finale della Western Conference trovano i giovani e atletici Oklahoma City Thunder del trio Durant-Westbrook-Harden.

Nonostante un’inaspettata battuta di arresto casalinga in Gara 2, Dallas riesce a domare i talentuosi rivali, chiudendo i giochi per 4-1. Dopo un’agonia durata ben cinque anni, Cuban e Nowitzki riescono a tornare alle Finals, per cercare di redimersi dopo l’epilogo del 2006. E l’avversario che li attende in finale è quanto di meglio ci si possa aspettare in un percorso di redenzione: in un fantastico rematch arrivano i Miami Heat.

La squadra della Florida è ben diversa da quella Campione NBA 2006. In estate, LeBron James e Chris Bosh hanno raggiunto Dwyane Wade a South Beach per formare la versione bianco-rosso-nera dei Big Three.

Nonostante numerose difficoltà iniziali, la squadra di Coach Spoelstra è riuscita a conquistare la Eastern Conference e va a caccia dell’unico obiettivo pensabile: il Titolo.

Gara 1 a Miami, contrassegnata dalla tensione e dalle scarse percentuali realizzative, vede prevalere i padroni di casa.

Gara 2 si svolge punto a punto fino alla fine. A 10 secondi dal termine, sul 93 pari, Nowitzki attacca Bosh in 1vs1. Lo batte dopo una virata e va ad appoggiare il lay-up del decisivo +2 a 3.6 secondi dalla fine.

Si vola a Dallas con la serie in parità.

Ancora una volta la gara viaggia sul filo. Questa volta sono gli Heat a gestire meglio il finale: prima James pesca Bosh per il jumper del +2, poi la difesa ospite costringe il n. 41 dei Mavs a un brutto tiro che non trova il canestro. Miami riconquista il fattore campo.

Gara 4 vede i Mavs costretti a vincere e l’uomo di Wurzburg guida i suoi, segnando 13 punti con 10 rimbalzi nel solo secondo tempo, conditi ancora dal lay-up del +1 a 14 secondi dalla sirena. 2-2.

In Gara 5 ad aiutare il leader tedesco, sale in cattedra Jason Terry. The Jet esplode negli ultimi 5 minuti con 8 punti e 2 assist, e guida i bianco-blu verso il primo match point nella serie. Miami è spalle al muro.

I Mavs partono decisi anche nella sesta partita. Terry riprende il discorso interrotto tre sere prima e segna 19 punti nel solo primo tempo. Nowitzki concede una prima frazione da polveri bagnate, ma si accende nel secondo tempo, realizzando 18 dei suoi 21 punti, e aggiungendo 6 rimbalzi. Miami tenta in tutti i modi di rimanere a contatto, ma gli uomini di Carlise non si voltano più indietro.

105-95 il punteggio finale. I Dallas Mavericks sono finalmente campioni NBA.

Wunder Dirk viene giustamente eletto MVP delle Finals. Per lui il giusto coronamento di una carriera stratosferica, impensabile considerando da dove era partita.

Troppa la tensione, troppe le attese e il desiderio. Il 41 non regge alle emozioni e scappa in spogliatoio in un pianto liberatorio. Torna ovviamente per festeggiare coi compagni e con tutta la gente di Dallas. E, soprattutto, per alzare il Larry O’Brien Trophy.

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Una rivincita per Mark Cuban, amato e odiato per essere un presidente fuori dagli schemi, ma che ha sempre messo una profonda passione nell’assistere la propria squadra. Un trionfo per Jason Kidd, Jason Terry e Tyson Chandler, giocatori con status differenti, ma che avevano in comune il desiderio/dovere di conquistare un anello, per dar credito a una grande carriera.

La fine di un’incredibile rincorsa, iniziata cinque anni prima, dopo la cocente sconfitta in Finale.

Un percorso di redenzione che la franchigia ha affrontato e superato, guidata dall’unico giocatore presente sul parquet in quel nefasto 2006. Un guerriero resiliente che non ha mai distolto gli occhi dal suo obiettivo.