La storia di Bill Laimbeer, l’emblema di “bravo ragazzo” diventato Bad Boy.

«Bad Boys, Bad Boys, watcha gonna do, watcha gonna do when they come for you?…»

Probabilmente era questo il ritornello che risuonava nella mente di chi entrava al Pontiac Silverdome tra il 1982 e il 1994.


In quegli anni giocare a Detroit, città del Michigan nella quale le persone sopperiscono al freddo che spira dal Canada con il calore con il quale approcciano la vita (ma soprattutto lo sport) non era per niente facile.

Nell’82 a Motor City si è accasato un giovane di colore che è nato nello West Side di Chicago. Il nome del ragazzo è Isaiah Lord Thomas III, arriva da University of Indiana e di lì a poco sconvolgerà l’NBA diventando la risposta a Magic Johnson incatenato nel corpo di Frodo Beggins. Però non è lui il protagonista di questa storia, sarebbe troppo facile.

Il protagonista della storia si chiama William, al secolo Bill, Laimbeer Jr. Nato e cresciuto anche lui nella città dell’Illinois. Il padre di Bill era un businessman di successo e il giovane cresce con il cucchiaio d’argento.

Anche lui come Isaiah ha studiato in Indiana, a Notre Dame, e anche lui sconvolgerà l’NBA. Al contrario del playmaker però, oltre alle qualità con la palla a spicchi in mano c’è molto altro. Diventerà il manifesto di una pallacanestro fisica, cruda, che lascia poco spazio alla bellezza.

Giocare contro i Pistons di Isiah e Bill sarà come andare in guerra contro gli Spartani che cercano di difendere le Termopili: barbaro. Ogni cosa a suo tempo però.

L’inizio del viaggio

Al Draft del 1979, quello di Magic e Larry, Bill viene scelto al terzo giro dai Cleveland Cavaliers. Il ragazzo di Chicago ha però le idee chiare: ha deciso di iniziare la sua carriera Oltreoceano, in Italia e più precisamente a Brescia, dove allena coach Riccardo Sales.

Il rapporto con il Bel Paese non dura però molto ed il giovane Bill dopo appena un anno decide di tornare negli States. La destinazione è l’Ohio, a Cleveland, chiamata dagli americani non nativi del posto “the mistake by the lake”, sia per la vicinanza al Lago Erie, sia perché, parliamoci chiaro, non è proprio NYC. Oltretutto i Cavs d’inizio anni ’80 sono obiettivamente una banda di scappati di casa e concludono la stagione con un record di 24 vinte e 58 perse. Non proprio un inizio da incorniciare.

Nel 1982, dopo un’altra stagione iniziata nei più bui dei modi per i Cavaliers, arriva la trade che cambierà per sempre la carriera del centro nativo di Chicago. Jack McCloskey, GM dei Pistons, presente a una delle trasferte dei suoi a Cleveland, intravede ciò che i Cavs avevano intravisto qualche anno prima.

Bill è un gran rimbalzista, ha un jumper molto solido e soprattutto possiede quella durezza di cui il frontcourt dei Pistons ha disperato bisogno. È fatta: il 16 febbraio ’82 i Pistons scambiano Phil Hubbard, Paul Mokeski e due scelte per Ken Carr e Bill Laimbeer, i quali raggiungono Isaiah Thomas in Michigan.

A new chapter

Al suo arrivo nella città dei motori la squadra è migliore di quella che ha lasciato sul Lago Erie ma non si riescono a superare le 40 vittorie stagionali. Le chiavi della squadra sono saldamente nelle mani di Thomas, il quale vedendo arrivare Bill ha già capito che il puzzle è fuori dalla scatola, si tratta solo di incastrare i pezzi giusti.

Nella stagione seguente arriva un’altro pezzo che si scoprirà fondamentale nella costruzione dei famigerati “Bad Boys”: Vinnie “The Microwave” – per la propensione a prendere fuoco cestisticamente ed emozionalmente nel corso di una partita – Johnson. La stagione di grazia ’82/’83 non regala però molte soddisfazioni alla città del Michigan: 37-45 di record e Playoffs rimandati alla stagione successiva, dove Bill e Isaiah inizieranno a fare sul serio.

La stagione fallimentare appena trascorsa fa sì che la dirigenza prenda alcune decisioni drastiche, tra cui il licenziamento di Scotty Robertson, l’allora capo allenatore. A sostituirlo ecco arrivare una vecchia conoscenza di Bill ai tempi dei Cavaliers: coach Chuck Daly. Uomo di infinita classe e di altrettanto infinita sapienza cestistica. Nella stagione ’83/’84 riescono a partecipare ai Playoffs, ma escono al primo turno contro New York.

A livello personale Laimbeer riesce però ad entrare nel panorama dei migliori centri NBA, con una stagione in doppia-doppia da 17.3 punti e 12.2 rimbalzi a partita, oltre a tante “piccole” cose che fanno una differenza enorme per la squadra. Dopo un’altra stagione sopra le 40 vittorie stagionali e una corsa ai Playoffs fermata dai Celtics di Bird, la stagione ’85/’86 porta in casa Pistons altre due pedine importantissime.

Dagli Washington Wizards arriva un centro decisamente sovrappeso che sarà compagno d’area e di merende con Laimbeer: Rick Mahorn. Al Draft invece i Pistons alla 18 hanno portato via il figlio di un camionista e di una custode, il quale andrà a formare con Thomas uno dei backcourt più forti della storia del gioco: Joe Dumars.

La squadra è forte, Daly ci crede, Isaiah incanta e Laimbeer e Mahorn sotto canestro terrorizzano l’intera lega. Eppure, anche questa volta al primo turno gli Hawks di Dominique Wilkins infrangono i sogni dei Pistons. Bill nel frattempo si è aggiudicato il titolo di miglior rimbalzista della NBA.

Anno del Signore 1986/87. Un anno piuttosto piatto: la Thatcher viene eletta per la terza volta primo ministro inglese e il Pirozac fa il suo debutto negli Stati Uniti. A movimentarlo un po’ ci pensa l’ingresso nella NBA di Dennis Rodman scelto al secondo round da Detroit.

Nella offseason arrivano anche John Salley, detto “The Spider” per la sua paura per i ragni, e dai Jazz Adrian Dantley, giocatore esperto che ha tanti punti nelle mani. Arriva una stagione da 52 vittorie e una corsa ai Playoffs che terminerà in 7 gare contro i Boston Celtics.

Ennesima stagione in doppia-doppia per Billy che chiude con 15.4 punti e 11.6 rimbalzi a partita e quarta convocazione all’All-Star Game. La serie con i Celtics è una di quelle passate alla storia.

I “leprecauni” si portano avanti 2-0 con un Bird titanico. Pareggiano 2-2 i Pistons guidati dalla premiata ditta Thomas-Laimbeer e si torna al Garden per una decisiva Gara 5. La partita è molto equilibrata, nessuna delle due squadre molla un possesso all’altra. Bill si rende protagonista con una delle sue solite “magie” dell’espulsione di Parish, che frustrato dal trattamento ricevuto durante tutta la serie dal numero 40, dopo una lotta a rimbalzo decide di assestargli un tremendo uno-due al mento.

L’assenza di Parish nel pitturato rende le cose più facili per i lunghi di Daly. I Pistons si trovano avanti di 1, con 5 secondi da giocare e con il possesso. Il dramma, però, è dietro l’angolo. Thomas rimette in modo superficiale, dal nulla spunta Larry Legend, che intercetta e serve Danny Johnson per il +1 Boston.

La sconfitta porta con sè le celeberrime dichiarazioni di Rodman e Thomas, secondo i quali Bird è considerato così forte solo perché bianco, dando vita ad uno dei commenti più infelici nella storia del gioco.

I Pistons vincono la successiva Gara 6, ma cedono il passo ai Celtics nella sfida decisiva. Boston torna in finale contro i Lakers di Magic, mentre Isaiah, Dennis, Joe, Rick e Adrian pensano che sia finita, che non saranno mai più così vicini dall’eliminare gli odiati rivali. Negli spogliatoi, Laimbeer li sprona urlando loro in faccia che il prossimo anno arriveranno fino in fondo. Costi quel che costi.

I molti oggi ricordano i Bad Boys, soprattutto Laimbeer, come dei vigliacchi, come il trionfo del male sul bene, come il capovolgimento di una realtà che fin da piccoli ci ha insegnato che alla fine il bene un modo per vincere sul male lo trova sempre.

I Bad Boys, però, erano una squadra incredibile, che faceva del gruppo la propria forza. Usava anche metodi poco ortodossi, ma allo stesso tempo aveva una quantità di talento considerevole nel roster ed era allenata molto bene, da un uomo che di lì a poco sarebbe stato chiamato a guidare la squadra più forte mai costruita: il primo Dream Team.

Nella stagione ’87/’88 riusciranno finalmente a sbarazzarsi dei Celtics in semifinale di Conference, con un Laimbeer che a fine partita sputerà sul leprecauno presente al centro del Boston Garden. In finale si prenderanno cura dei Bulls di MJ grazie alle famose “Jordan Rules”, delle quali l’attore principale è proprio Laimbeer.

Arriva la loro prima finale. Davanti ci sono i Lakers di Magic e Kareem. Si va a Gara 6 con Detroit che conduce 3-2, ma le ultime due vanno giocate al Forum. Vincere avrebbe il sapore di un’impresa.

A pochi secondi dalla fine i Pistons sono sul +1. Kareem si trova in post e lascia partire il gancio che di consuetudine manderebbe tutti a Gara 7. Questa volta il suo tiro si ferma sul ferro, ma ad allungare la serie ci pensa l’arbitro, che fischia un fallo inesistente di Laimbeer, permettendo ai Lakers di vincere la partita con due punti in lunetta. I giallo-viola vinceranno anche la gara successiva, la serie e il titolo, rimandando per un altro anno la festa di Detroit.

La consacrazione

Portiamo avanti le lancette di un anno e stavolta non c’è niente da fare per i Lakers. Un Dumars da 27 di media e un Thomas da 21.3 più 7 assist portano i Pistons sul tetto del mondo. E Detroit può finalmente gioire.

Bill e Isiah sono quelli che gioiscono più di tutti. Sono arrivati ai Pistons insieme, sono diventati una delle coppie che per background è tra le più diverse della storia del gioco, ma hanno vinto, seppur alla loro maniera. Contro tutto e tutti. Fregandosene di ciò che la gente e le istituzioni cestistiche dicevano. «Detroit against the world».

Di titolo ne arriverà un altro, contro Portland, con Aguirre a sostituire Dantley e con Mahorn andatosene a Minnesota.

La favola Bad Boys è stata scritta ovviamente da qualcuno che si era stancato delle classiche storielle della buona notte. Per questo è una favola senza tempo, sempre attuale. Bill Laimbeer ne è il protagonista perfetto perché è colui che meglio ha incarnato l’essenza di essere un “Bad Boy” e per l’eleganza con cui ha indossato “the black hat”, come direbbero dall’altra parte dell’Oceano per indicare un personaggio riconosciuto come cattivo ed antipatico.

La trasformazione di un ragazzo dell’establishment chicagoana in un delinquente da parquet, la prova vivente di ciò che uno sport può farci fare, la prova che si può essere protagonisti di una storia anche senza il talento necessario per esserlo. Come diceva la canzone? “Bad Boys, Bad Boys, watcha gonna do when they come for you?”.