La storia – scritta sempre lontano dai riflettori – dello stoico e silenzioso Chief, membro del più grande frontcourt di sempre in NBA. Quello dei Celtics degli anni ’80.

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Questo contenuto è tratto da un articolo di Professor Parquet per Celtics Blog, tradotto in italiano da Marco Cavalletti per Around the Game.


Dopo la grande stagione da rookie di Larry Bird nel 1979/80, punto di svolta per dei Boston Celtics in difficoltà, Red Auerbach tirò fuori dal cilindro una delle migliori trade della sua carriera, aprendo ai C’s la strada verso il dominio della Lega nel decennio successivo.


Con il centro di mille battaglie Dave Cowens ormai prossimo al termine della carriera, perseguitato dagli infortuni e di taglia ridotta, Red si accorse che i Celtics dovevano diventare più grossi e più giovani, se volevano compiere il passo successivo verso un titolo NBA. Boston aveva in mano la prima scelta assoluta al Draft del 1980, e stava cercando di convincere Ralph Sampson, la giovane stella di Virginia, a compiere il salto al basket professionistico.

Il magrissimo e attesissimo centro aveva appena concluso la sua stagione da freshman guidando i Cavaliers all’allora prestigioso titolo NIT, sconfiggendo la Minnesota di Kevin McHale. Per molti, la sua aggiunta avrebbe potuto costituire l’ultimo pezzo della creazione di una nuova dinastia.

In quegli anni, era altamente insolito che uno studente di college saltasse le sue ultime due stagioni, figurarsi le ultime tre. E quando Sampson rifiutò gli appelli di Auerbach a lasciare presto la scuola, lo sdegnato Red rivolse la sua attenzione altrove – decisione che si rivelò poi fortunata, vista la carriera NBA piuttosto deludente dello spesso infortunato Sampson.

Una volta che Ralph aveva deciso che il college era di suo gradimento, Red puntò forte su McHale, ma non voleva che il ragazzo finisse schiacciato dalla pressione dell’essere la prima scelta assoluta. Golden State aveva la terza scelta, e Utah la seconda.

I Warriors intendevano inseguire Joe Barry Carroll, da Purdue, un lungo dal buon tiro che aveva condotto i Boilermakers alle Final Four del 1980. Ma non erano sicuri di trovarlo ancora alla numero 3, dato il bisogno di lunghi anche per Utah e Boston. Auerbach propose loro la prima scelta assoluta (e un’altra prima scelta) ai Warriors, in cambio della terza scelta assoluta e dell’enigmatico lungo Robert Parish.

Il silenzioso nativo della Louisiana, prodotto del minuscolo Centenary College, aveva la fama di essere un buon tiratore, ma non un altrettanto grande lavoratore. Nelle quattro stagioni a Golden State, aveva fatto registrare medie di 13.8 punti e 9.5 rimbalzi a partita in poco meno di 26 minuti; numeri solidi, ma non da star.

Nelle due stagioni precedenti al 1980, le sue medie erano salite a 17.1 punti e 11.5 rimbalzi a partita, conditi da 2.3 stoppate. Eppure, c’erano ancora voci secondo le quali Parish non stesse dando tutto quello che poteva dare, e che non avrebbe mai raggiunto il suo potenziale.

Ironia della sorte, le stesse cose sarebbero poi state dette sul conto di Carroll, che non raggiunse mai il livello di Parish in termini di rimbalzi, stoppate e… chilometri percorsi sul campo. Carroll fu affibbiato il soprannome di “Joe Barely Cares”, a causa del suo stile anonimo e languido. Eppure, nel 1980, era il premio più ambito del Draft.

Il caso vuole che i Warriors avessero pescato Parish al primo giro nel Draft del 1976 con una scelta ricevuta come compensazione dai Lakers, quando LA firmò il veterano Cazzie Russell, che aveva lasciato la Baia in free agency. Parish sarebbe poi divenuto il tormento dei Lakers negli anni a venire.

In ogni caso, i Warriors accettarono lo scambio con Boston e scelsero Carroll; mentre Utah prese Darrell Griffith, che aveva condotto la sua Louisville al titolo NCAA del 1980. Boston ottenne invece quello che voleva fin dall’inizio, e scelse alla numero tre Kevin McHale. Che, come sapete, ebbe poi una carriera ben più scintillante dei due giocatori scelti prima di lui.

“Per un bianco grande e grosso con un cognome irlandese non c’è posto migliore di Boston per giocare”, scherzò Kevin nel suo anno da matricola.

Alla fine, quella trade si rivelò una delle più sbilanciate nella storia della Lega: Parish finì per ritirarsi diverse stagioni produttive dopo il più giovane Carroll, e l’altra prima scelta ceduta a Golden State si concretizzò nel dimenticabile Rickey Brown. Parish e McHale sbocciarono fino a diventare Hall of Famers e vinsero tre titoli NBA. Con Larry Bird, il duo andò a costituire la famosa “Hall of Fame frontline”, la migliore di sempre negli annali della Lega.

Il grosso e talentuoso trio istituì uno standard con cui da allora si misurano tutti i frontcourt – e nessuno di essi si è mai dimostrato all’altezza.

Cowens si ritirò dai Celtics durante il training camp del 1980, liberando spazio per il talentuoso e profondo frontcourt. Il centro al terzo anno Rick Robey veniva considerato il miglior lungo in uscita dalla panchina della Lega, Cedric Maxwell era uno dei giocatori più sottovalutati in circolazione, Bird era già il giocatore più completo della NBA, Parish era una stella nascente, e pochi – se non nessuno – si aspettavano che McHale potesse diventare forte quanto è diventato.

Dopo una carriera collegiale di tutto rispetto, Kevin stupì tutti gli scout al pre-Draft camp con l’llimitato set di movimenti dal post, la mano educata, la capacità di stoppare e le impressionanti doti fisiche.

L’affabile McHale e il sempre rilassato Parish avrebbero presto scoperto che il coach al secondo anno Bill Fitch, ex allenatore di Marine, sarebbe stato il coach più duro con cui avrebbero mai giocato.

Boston correva molto a inizio anni ‘80, e Fitch fece lavorare i giocatori davvero duro nella preparazione fisica precedente alla stagione. Solo a Bird sembrava piacere questo stile. “A quel tipo piace uccidermi”, mormorò Parish accasciandosi al muro dopo una serie di scatti in un allenamento al suo primo anno coi Celtics, vicino ad un commiserante McHale.

Ma il lavoro duro aiutò ad allungare la carriera di Parish. “Ero pigro quando sono arrivato qui”, ammise. L’aver imparato a dare tutto sul campo fisicamente lo aiutò a migliorare la sua efficacia, e lo preparò a una carriera durata 21 stagioni. The Chief giocò 1.611 partite NBA, un record tutt’ora intatto, dimostrandosi un giocatore estremamente durevole, che non soffrì mai un infortunio serio alla parte bassa del corpo.

Il suo stile di corsa a ginocchia alte non era esattamente bellissimo da vedere, e non sembrava neanche permettergli di correre particolarmente veloce, ma con le sue lunghe leve Parish si mangiava il campo in un attimo, e in transizione era in grado di finire con agilità non sospetta con schiacciate tonanti o appoggi.

Parish, poi, ha sempre avuto un eccellente tiro da fuori e una mano molto educata, nonché un rispettabile gancio cielo. L’altissimo punto di rilascio rendeva il suo tiro virtualmente “instoppabile”, e con quella parabola alta la palla terminava spesso la sua corsa sul fondo della retina.

Il suo movimento preferito era il giro e tiro sulla linea di fondo sinistra, una conclusione che sbagliava molto raramente. Parish era un ottimo rimbalzista sotto entrambi i tabelloni, nonché un eccellente stoppatore. Era l’ultima linea di difesa dei Celtics, la silenziosa e affidabile colonna portante della squadra. Quando era in forma, a inizio anni ‘80 era al livello dei migliori centri della Lega.

Ricevette il soparannome “Chief” da Maxwell, il quale notò che lo stoico Parish assomigliava al forte e silenzioso “Capo Bromden” dei nativi americani di “Qualcuno volò sul nido del cuculo”, sia per le espressioni facciali che per l’andatura, nonché per l’atteggiamento dignitoso e calmo. In una delle scene del film, mentre i detenuti giocano a basket, il capo indiano (The Chief) schiaccia con violenza e torna in difesa con uno sguardo impassibile, proprio come Parish. Pochi soprannomi nella NBA sono mai stati tanto accurati.

Parish e McHale ebbero un impatto immediato, specialmente Robert, contento di essere approdato in una squadra senza grandi problemi di chimica o personalità.

“È stato come passare dalla dependance alla casa padronale…”(Robert Parish)

Nelle sue prime due stagioni ai Warriors, la squadra era capitanata dalla difficile superstar Rick Barry, che Parish riteneva la persona probabilmente più arrogante che avesse mai conosciuto. Una volta arrivato a Boston, temeva che Bird potesse essere un’altra “prima donna bionda”. Ma presto scoprì che Larry era l’esatto opposto di Barry sotto molti aspetti, fortunatamente. Quando il miglior giocatore della squadra è un grande tiratore, un passatore molto migliore di Barry (nonché un rimbalzista superiore), ma anche e soprattutto una persona umile, un lavoratore e un altruista, tutti i compagni di squadra gli “vanno dietro” senza fare storie. E così fu con Bird a Boston.

Nel suo primo anno in maglia Celtics, Parish tenne una media di 18.9 punti, 9.5 rimbalzi e 2.6 stoppate a partita, e grazie alla sua migliorata condizione fisica, giocò tutte le gare della stagione.

Boston si presentò ai Playoffs con il miglior record della Lega (62-20), spazzò via per 4-0 i Bulls di Artis Gilmore nelle semifinali della Eastern Conference e recuperò uno svantaggio di 3-1 sconfiggendo i rivali 76ers in una delle serie migliori di sempre.

Nelle Finals, Parish e i Celtics si scontrarono contro Moses Malone e i Rockets. Robert giocò una pallacanestro solida, con 18 punti di media nelle ultime due partite, vinte dai Celtics. La sua solida – e troppo spesso dimenticata – difesa su Malone contribuì a limitare il centro dei Rockets a un 40.3% dal campo e a 6.3 punti in meno (da 28.5 a 22.2) rispetto alla sua media nelle 15 gare di Playoffs precedenti. Inoltre, Moses aveva tirato con il 50.7% dal campo nei Playoffs del 1981, vedendosi dunque contenere da Parish a una percentuale del 10.4% più bassa.

Nell’ultimo minuto di Gara 6 a Houston, con la squadra a un passo dal titolo, durante un timeout, il mai soddisfatto Fitch motivò la squadra ancora di più, dimostrando di essere consapevole della sua durezza.

“Siete ad un rimbalzo (difensivo) dal rendermi felice”, disse, provocando le risate della squadra già emozionata per la vittoria, che ora aveva un ulteriore incentivo per regalare un sorriso al difficile coach (ancora più irascibile del solito, a causa di un doloroso problema alla schiena). Bird catturò quel rimbalzo e, trascinata dal suo grande frontcourt, Boston portò a casa il Titolo NBA numero 14, il primo dal 1976.

La campagna del 1981/82 fu la migliore nella lunga carriera di Parish, protrattasi dal 1976 al 1997. In quella stagione, tenne un record personale di 19.9 punti a partita, conditi da 10.8 rimbalzi e 2.4 stoppate con il 54.2% dal campo.

The Chief concluse la stagione quinto in NBA per stoppate e sesto per rimbalzi, nonché quarto nelle votazioni per il trofeo di MVP, dietro a Malone, Bird e Julius Erving. Fu anche inserito nel secondo quintetto All-NBA per la prima e unica volta in carriera. E Boston chiuse ancora la stagione regolare con il miglior record della Lega, con 63 vittorie.

Tuttavia, l’infortunio di Nate Archibald contribuì ad una sconfitta in Gara 7 contro gli arcirivali Sixers, privando i tifosi che sanguinano verde di un possibile repeat Celtics nella finale da sogno contro i Los Angeles Lakers.

Parish aveva giocato i suoi Playoffs migliori, chiudendo con medie di 21 punti, 11.3 rimbalzi e 4 stoppate, ma non era stato abbastanza. La stagione seguente, quindi, Robert proseguì con 19.3 punti, 10.6 rimbalzi e 1.9 stoppate a partita con il 55.5% dal campo, ma il 1983 si rivelò essere l’anno di Philly, che – guidata da Malone – si fece strada verso l’anello.

Dei Celtics stremati si ribellarono al regime del sergente-allenatore Fitch – soprannominato “Captain Video” per le lunghe e frequenti sessioni video imposte ai giocatori – e implosero in un’imbarazzante sconfitta per 4-0 inflitta da Milwaukee.

Intuendo il bisogno di cambiamento, Red e i Celtics sostituirono Fitch con il più rilassato (ancorché serio) assistente KC Jones, ex guardia difensiva di Boston molto amata dai giocatori. Lo stile più tranquillo e meno teso di Jones, infatti, fu molto ben visto dal “veteran club”. Nel discorso in occasione del suo ingresso nella Hall of Fame, Bird si disse grato per aver avuto la possibilità di giocare per KC, che definì come “una delle persone più straordinarie ad aver mai messo piede sulla Terra”.

McHale fece eco a quei sentimenti nel suo discorso, affermando che la squadra avrebbe fatto l’impossibile, avrebbe giocato sugli infortuni per KC.

Nella stagione da rookie da 10 punti a partita di Kevin, durante il regno il regime di Fitch, lo spensierato nativo di Minnesota si rivolse a McHale e gli chiese: “Perché non puoi essere più come Larry?”, sperando che il giovane diventasse ossessionato dalla pallacanestro. “Che diamine, io ho una vita”, rispose Kevin.

“Ragazzo, tu sei un grande giocatore, lui (Fitch) però ancora non lo sa.”

Nella stagione 1983/84, dei Celtics ringiovaniti agguantarono il miglior record della Lega per la quarta volta nelle cinque stagioni di Bird. Schiacciarono i Bucks 4-1 nelle Finali di Conference vendicando lo sweep dell’anno precedente, e approdarono alle Finals per il tanto atteso scontro con i Lakers.

Negli ultimi secondi dell’overtime di Gara 2, con Boston sotto per 1-0 nella serie e in vantaggio con un precario 122-121, Parish salvò i Celtics con la giocata difensiva decisiva.

Bob McAdoo ricevette nell’angolo sinistro e penetrò cercando il canestro della vittoria sul più grosso Parish. Ma The Chief riuscì a metterci una mano e a sporcare la conclusione, recuperando poi la palla con una rubata decisiva. Il pallone arrivò poi nelle mani di Bird, che subì il fallo che lo portò in lunetta per chiudere la gara sul 124-121.

LA si prese Gara 3 in una partita vinta con 33 punti di scarto, nella quale Parish segnò solo 9 punti. Boston si ritrovò con le spalle al muro nel difficile Forum di Los Angeles in Gara 4, inseguendo quasi sempre nel punteggio in una battaglia estremamente fisica.

In troppe occasioni in quella serie, The Chief si era dimostrato troppo passivo, giocando quasi intimidito da Jabbar. Eppure, lo “stoico silenzioso” si fece vivo quando Boston ne ebbe il più disperato bisogno.

Boston era sotto di 5 punti nell’ultimo minuto della partita, quando Parish si inventò la sequenza migliore della sua carriera. Sbagliò un jumper da vicino sulla linea di fondo, prese il rimbalzo, sbagliò un altro tiro, catturò un ALTRO rimbalzo e stavolta segnò, di forza, subendo il fallo di Kareem, il quinto nella sua partita.

Dopo il tiro libero segnato con 39 secondi da giocare, Boston era sotto per 113-111 in una partita da vincere a tutti i costi. Sull’errore di Los Angeles, un frustrato Jabbar commise il suo ultimo fallo spingendo da dietro Bird sul rimbalzo difensivo. Con il suo “gene clutch”, Larry mandò a segno entrambi i tiri liberi per pareggiare. Ma i Lakers avevano ancora una chance per vincere.

Earvin Johnson portò la palla sul lato destro, cercando di servire James Worthy in post, il quale era marcato ferocemente da Parish. Quando Johnson provò a forzare la palla dentro a Worthy, The Chief anticipò facilmente e sporcò il passaggio portando la partita all’overtime. I Celtics ebbero infine la meglio 129-125, pareggiando la serie e spostando l’inerzia di quelle epiche Finals.

“Johnson la passa dritta a Parish”, esclamò il leggendario commentatore dei Lakers Chick Hearn incredulo, costretto a raccontare un’altra palla rubata dei Celtics.

Parish segnò 25 punti, catturando 12 rimbalzi e stoppando 2 tiri avversari in quella gara decisiva. Bird guidò Boston con 29 punti e 21 rimbalzi, segnando il tiro della vittoria in fadeaway sulla testa di Johnson nel supplementare. Ma se non fosse stato per la tenacia del silenzioso Parish, probabilmente Boston non avrebbe mai vinto quella sera.

Quella giocata (l’and-one) divenne un microcosmo di come Boston riuscì a dominare il resto della serie. I Celtics distrussero i Lakers a rimbalzo, specialmente in attacco, segnando punti facili e negando il temibile contropiede di Los Angeles.

In Gara 5, nel famigerato “sauna contest” al Boston Garden con 36 gradi, i Celtics distrussero i Lakers 121-103, surclassandoli ancora a rimbalzo (51-37). Bird segnò 34 punti con un rovente 15/20 dal campo condito da 17 rimbalzi, ai quali Parish ne aggiunse 12 (contro i 7 di Kareem) e McHale 10.

Stessa storia in Gara 7, a Boston. Parish catturò 16 rimbalzi contro i 6 di Jabbar, contribuendo al totale di 20 rimbalzi offensivi della squadra, decisivi nel totale di 52-33 della partita. Eppure, nei minuti finali, i Lakers recuperarono uno svantaggio di 13 punti fino a portarsi sul 105-102.

Johnson penetrò in cerca di un fallo, ma Parish e McHale gli rifilarono una stoppata in stereofonia evitando al contempo un contatto falloso. DJ raccolse la palla vagante e subì il fallo, segnando poi i due tiri liberi. Bird ne aggiunse altri quattro nei secondi finali per agguantare la vittoria.

Quella sera Bird fece registrare 20 punti e 12 rimbalzi, Maxwell segnò 24 punti, e i Celtics conquistarono il Titolo numero 15 con una vittoria per 111-102. In quella serie memorabile, Parish tenne una media di 15.4 punti e 11.4 rimbalzi, il tutto accompagnato da tre incredibili giocate difensive che hanno aiutato ad assicurare ai Celtics tre delle quattro vittorie.

Bird tenne 27.4 punti e 14 rimbalzi a partita, venendo nominato MVP delle Finals. The Chief catturò 4 rimbalzi a partita in più rispetto a Jabbar prendendosi 56 tiri in meno, e contribuì a tenerlo al 48% dal campo.

L’anno seguente, invece, LA ribaltò la situazione battendo Boston 4-2 nelle Finals, con Maxwell infortunato e Bird condizionato da alcuni problemi al gomito e alle dita del braccio destro. Jabbar venne nominato MVP delle Finals.

Quell’estate, allora, Boston aggiunse l’MVP delle Finals 1977 e MVP della stagione regolare del 1978, Bill Walton per dare una mano a Parish. Il leggendario lungo dalla chioma rossa non era lì per “rubargli” il posto da titolare, ma solo come valore aggiunto e per garantirgli del riposo in più nella sua decima stagione. I due entrarono subito in sintonia, e l’entusiasmo, unito all’altruismo contagioso, di Walton aiutarono molto McHale e il reticente Parish. “Big Bill” fu una scelta semplice per il premio di Sesto Uomo dell’Anno, andando ad aggiungere un altro capitolo glorioso alla leggendaria storia dei Celtics.

Forse la migliore squadra nella storia della NBA, i Celtics 1985/86 conclusero la stagione con un record di 67-15, in una Lega pre-espansione che era molto più tosta rispetto a quella che dominarono i Bulls negli anni ‘90. I Celtics chiusero i Playoffs del 1986 perdendo sole tre partite, spazzando via i Bulls di Jordan per 3-0, distruggendo Atlanta 4-1 e Milwaukee 4-0 nelle Conference Finals; successivamente servirono a Houston un 4-2 in una serie finale a senso unico, o quasi. Bird fu MVP delle Finals e McHale dominò Sampson con 25.8 punti a partita con il 57.3% dal campo, contro soli 14.8 punti e il 44% dal campo da parte dell’avversario, vendicando la sconfitta per il titolo NIT di sei anni prima.

“Non ti chiederò mai più perché non hai mai vinto un titolo NCAA con Sampson”, disse McHale finita la serie al compagno Rick Carlisle, che aveva giocato con Ralph a Virginia dal 1981 al 1983.

Nel 1987 gli infortuni e la morte della prima scelta Len Bias decimarono i Celtics, che tuttavia compirono la cavalcata probabilmente più eroica di sempre fino alle Finals nella ricca storia della franchigia, nel valoroso sforzo di confermarsi campioni.

In una post-season davvero brutale, McHale giocò con una distorsione alla caviglia su un piede, con un osso navicolare rotto nell’altro, e Parish si distorse entrambe le caviglie più volte. Ainge subì una distorsione al ginocchio e saltò diverse partite. Scott Wedman saltò sostanzialmente l’intera stagione, e il sesto uomo Walton giocò a malapena, risultando ben poco efficace le volte in cui ci riuscì a causa di problemi al piede ricorrenti.

La panchina ridotta all’osso costrinse Bird e gli altri titolari a giocare ancora più minuti, e il costo fisico fu molto alto. Bird giocò 1.015 minuti in 23 sfibranti gare di Playoffs.

Boston sconfisse di nuovo senza colpo ferire Chicago e Jordan al primo round, e poi rischiò di sprecare un vantaggio di 3-1 contro Milwaukee. In Gara 5, Parish segnò 30 punti e prese 16 rimbalzi, ma Boston perse la chance di concludere la serie e di ottenere il tanto agognato riposo extra. Con Parish infortunato e non disponibile per Gara 6 a Milwaukee, i Bucks pareggiarono i conti.

The Chief tornò per Gara 7, ma nel momento decisivo della serie, i Celtics erano sotto di 9 a pochi minuti dal termine della partita.

Con una stoica rimonta, Boston riuscì a strappare la vittoria (119-113) e Parish fu eroico, catturando 19 rimbalzi (11 offensivi), segnando 23 punti e rifilando 4 stoppate. Con due distorsioni alle caviglie.

Zoppicando per lasciare il campo a fine partita, il silenzioso Parish rifiutò le interviste, anelando solo la sicurezza dello spogliatoio dove potersi riposare, farsi trattare gli infortuni e assaporare la vittoria in pace. Avrebbe lasciato agli altri il merito.

Boston, tuttavia, passò dalla padella alla brace. Uscendo dalla serie durata 12 giorni contro i Bucks, giocarono quattro partite in sei giorni contro i più giovani, più in salute e affamati “Bad Boys” di Detroit.

Parish rovesciò 31 punti sulla testa dei Pistons in Gara 1, e aiuò Boston a portarsi sul 2-0. Ma a Detroit, in due partite consecutive nel fine settimana, il vantaggio della squadra stremata evaporò molto in fretta.

Parish venne espulso in Gara 3 dopo aver segnato solo 4 punti, seguito da Bird, che venne buttato fuori dopo essere stato atterrato da Bill Laimbeer e Dennis Rodman.

Larry, per l’unica volta in carriera, perse completamente il controllo e scagliò la palla contro Laimbeer. Seduto da solo nello spogliatoio dei Celtics senza neanche guardare la partita, Parish vide entrare Bird. Alzò lo sguardo verso Larry e disse una sola parola: “Laimbeer?”

“Già”, replicò Bird.

In Gara 5, un furioso Parish lo colpì tre volte dopo una spinta di troppo da parte di quest’ultimo sotto i tabelloni, rompendo il naso del centro dei Pistons. Incredibilmente, non gli vennero fischiati nemmeno un fallo, né un tecnico, ma la Lega lo sospese per Gara 6 a Detroit, che i Pistons vinsero di poco (mentre KC partecipava al funerale della madre).

Tornati a Boston per Gara 7, i Celtics stanchi e acciaccati avrebbero giocato la 14esima gara di Playoffs in 26 giorni. Eppure, riuscirono in qualche modo a trovare la vittoria per 117-114, con 16 punti e 11 rimbalzi di Parish, vincendo forse la serie più rancorosa della storia della Lega.

Ad attendere Boston alle Finals solo due giorni dopo c’erano dei riposati Lakers in ottime condizioni fisiche, impazienti di riconquistarsi il Titolo.

Los Angeles partì forte sul 2-0 con due vittorie facili. Una volta tornati a Beantown, Parish mise a referto 17 punti e 14 rimbalzi per aiutare Boston a vincere Gara 3. In una cruciale Gara 4, Parish segnò 16 punti ma prese solo 2 rimbalzi. Boston scialacquò un vantaggio di 16 punti nel secondo tempo e perse 107-106 in una delle più grandi partite di sempre nelle Finals, ma non senza un arbitraggio alquanto discusso: LA tirò 14 tiri liberi nel quarto periodo contro 1 per Boston, e ci furono sei chiamate sospette tutte in favore dei Lakers, fra cui un’ovvia interferenza che privò i Celtics di un canestro. In Gara 5 i furiosi Celtics scesero in campo con la bava alla bocca e si presero la vittoria. 21 punti e 7 rimbalzi di Parish.

In Gara 6 fuori casa – con un’eventuale Gara 7 sempre a Los Angeles – I Celtics costruirono attentamente un vantaggio di 56-51 nei primi due quarti, con un’esecuzione a metà campo sostanzialmente perfetta. Se fossero riusciti a pareggiare la serie, tutta la pressione sarebbe ricaduta sui Lakers. Il vantaggio a metà partita fu costruito nonostante Parish, Walton e Greg Kite avessero tre falli a testa.

The Chief si vide fischiare un fallo contestando un gancio di sinistro di Jabbar, e i Celtics affondarono. LA distrusse Boston nel terzo periodo segnando 30 punti (contro i 12 dei Celtics), con un Kareem da 32 punti. Lo stremato Parish fece registrare 16.7 ma solo 6.5 rimbalzi a partita nelle Finals del 1987.

Nel 1988, i Bad Boys compirono finalmente il passo successivo e terminarono la striscia dei Celtics di quattro apparizioni consecutive alle Finals, sconfiggendoli per 4-2. Parish tenne una media di 14.3 punti e 8.5 rimbalzi quella stagione, in entrambi i casi i due numeri più bassi nella sua carriera ai Celtics. Sembrava l’inizio del declino per Robert, ormai 34enne. A peggiorare la situazione, dopo sole sei partite nel 1988/89, la stagione di Bird si concluse a causa di una doppia operazione al tendine d’Achille.

Parish salì dunque al proscenio e accese la macchina del tempo, chiudendo la stagione con 18.6 punti e 12.5 rimbalzi a partita, con il 57% dal campo. Venne inserito nel terzo quintetto All-NBA nella sua tredicesima stagione, ed è ancora uno dei giocatori più vecchi di sempre ad aver ottenuto tale onore. Terminò anche undicesimo nelle votazioni per l’MVP. Nessuno fra i 10 giocatori sopra di lui aveva più di 29 anni.

I Celtics riuscirono ad agguantare i Playoffs anche senza Larry, ma persero nel primo round contro i poi campioni Pistons.

Parish giocò altre cinque stagioni con i Celtics, con medie appena inferiori ai 14 punti e ai 9 rimbalzi dal 1989 al 1994. Tuttavia, l’invecchiata squadra di Boston non riuscì più a superare il secondo round dei Playoffs.

Ciononostante, i big three rimasero probabilmente il miglior frontcourt della Lega, pur essendo il trio più vecchio e più infortunato della NBA, a dimostrazione del loro talento, dell’intelligenza cestistica e della loro chimica.

Bird si ritirò nel 1992 dopo una sconfitta in Gara 7 contro Cleveland nelle semifinali di Conference. La stagione successiva, Charlotte eliminò Boston in un controverso primo turno, e anche McHale appese le scarpe al chiodo. Invece, il sempiterno Chief continuò ad andare avanti, come l’ultimo dei Moicani. Parish rimase a Boston un’altra stagione nel 1993/94, tenendo una media di 11.7 punti e 7.3 rimbalzi a partita in 26 minuti. Ma una volta ritiratisi i suoi due compagni di frontcourt, i Celtics mancarono i Playoffs per la prima e unica volta nelle sue 14 stagioni a Boston.

A 40 anni suonati, i più pensavano che Parish si sarebbe ritirato, e invece firmò da free agent con Charlotte, decretando ufficialmente la fine dell’era dei big three di Beantown. Robert giocò due stagioni a Charlotte.

Successivamente, approdò ai Bulls e giocò 43 gare nella sua ultima stagione nel 1996/97, vincendo un quarto anello pur mancando la maggior parte dei Playoffs. Il 43enne Parish è il più anziano di sempre ad aver mai vinto un titolo NBA.

In quell’ultima stagione, Parish fu anche inserito nella prestigiosa lista degli NBA 50 Greatest Players, riunendosi ancora una volta con i compagni Bird e McHale. Nel 1998, i Celtics ritirarono la sua maglia 00.

Dopo 21 stagioni, 1.611 partite di Regular Season e 184 battaglie nei Playoffs, Parish si ritirò finalmente all’età di 43 anni. Le sue medie nelle 14 stagioni a Boston recitano 16.5 punti, 10 rimbalzi e 1.5 stoppate a partita, con il 55% dal campo.

Parish fu un giocatore estremamente longevo, saltando solo 42 partite di RS dal 1980 al 1994, con un impressionante totale di 79 partite di media a stagione. I suoi punti (18.245) e rimbalzi (11.051) lo pongono rispettivamente al quarto e al secondo posto nella storia dei Celtics, con una percentuale dal campo del 55.2% che è seconda solo a quella di McHale (55.4%). Le sue solide medie nelle 168 partite di Playoffs disputate con i Celtics recitano 16 punti e 9.8 rimbalzi con 1.7 rimbalzi.

Parish venne giustamente inserito nella Hall of Fame nel 2003, ovvero appena possibile, e lì sarà per sempre ricordato accanto ai compagni Bird e McHale.

Il taciturno Chief ha sempre evitato i riflettori durante la sua eccezionalmente lunga e produttiva carriera. Di solito, dopo la partita, riusciva sempre a sgattaiolare via in spogliatoio, mentre i media intervistavano Bird, McHale o Dennis Johnson. Preferiva l’anonimato, e lasciava che fosse il suo gioco a parlare. Eppure, il suo stoicismo mascherava uno stile che sarebbe diventato lo stile dell’intera Boston sotto l’influenza di Bird, Fitch e Jones.

In particolare, Parish eseguiva il pick and roll alla perfezione con Larry Legend. “Penso di aver segnato almeno 5.000 punti sugli assist di Larry”, ricordava con gioia dopo essersi ritirato.

Ma quanto è stato importante Parish per i Celtics degli anni ‘80, in veste di uno dei tre componenti del miglior frontcourt della storia della NBA?

“Non avremmo vinto nessuno di quei tre titoli senza Robert”, raccontò succintamente Bird.

Proprio come il tipico giro e tiro dalla parabola alta di Parish, l’affermazione di Larry è stata corretta, elegante e dritta a bersaglio.