23 racconti dei suoi avversari sul giocatore più famoso di tutti i tempi ad aver indossato il numero 23. 

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Questo contenuto è tratto da un articolo di Jerry Bembry per Andscape, tradotto in italiano da Federico Molinari per Around the Game.


Tutti eravamo a conoscenza della combinazione di tecnica e determinazione senza pari di Michael Jordan; quello che in parte non conoscevamo, fino alla messa in onda di The Last Dance, è quanto fosse maniacale dietro le quinte nella sua ricerca dell’eccellenza, così maniacale da essere temuto da molti dei suoi compagni di squadra.


Nelle settimane del 2020 in cui il mondo era concentrato su The Last Dance, sembrava che tutti coloro che avevano incontrato Jordan avessero una storia da raccontare. La redazione di The Undefeated ne ha raccolte alcune – dal sarto di Jordan al ragazzo che indossava il numero 23 prima di lui a North Carolina, sino al novellino che ha osato stuzzicare il can che dorme…

Qui, dunque, ci sono 23 persone che hanno condiviso le loro storie sulla persona più famosa che abbia mai indossato… la canotta numero 23.

1. Jordan e lo spadaccino

Dopo il suo ritiro dalla NFL, Bill Glass creò un’associazione dedicata all’aiuto nelle prigioni (che ora si chiama Bill Glass Behind the Walls). Nel 1982 programmò una visita a una prigione a Raleigh, North Carolina, e volle che un giocatore “famoso” della zona si unisse a lui. Questa settimana, durante una chiacchierata al telefono, ha ricordato che chiese espressamente Sam Perkins di UNC, e invece ottenne Jordan. «Non abbiamo un giocatore famoso ora a disposizione», disse l’allenatore Dean Smith. «Ma abbiamo un prospetto promettente che può venire».

Quando arrivò però il giorno della visita, Jordan si era già fatto un nome, segnando il tiro vincente nella partita per il titolo NCAA del 1982. Quando si unì a Glass nel suo tentativo di guidare i detenuti verso la giusta via, partecipò ad uno stunt che ha quasi concluso la sua carriera (appena iniziata).

Un’anguria venne messa sullo stomaco di Jordan, poi uno spadaccino bendato prese la mira, abbassò rapidamente la lama e tagliò parzialmente il melone. Non avendo finito, lo spadaccino colpì di nuovo per finire il lavoro, ma si spinse troppo in là…

«Ha tagliato Michael, ma non era profondo», ha detto Glass. «Abbiamo mandato Michael all’ospedale, e lo hanno ricucito con tre punti di sutura». Crisi scongiurata.

«Negli anni è rimasto un buon amico per noi», ha detto Glass, ora 84enne. «Ma non è più tornato…»

2. Quando MJ chiamò l’Olive Garden

Quando Brad Sellers fu scelto dai Chicago Bulls nel primo turno del Draft del 1986, Jerry Krause gli disse che sarebbe stato la prima small forward di 210 cm in NBA; i minuti di Sellers diminuirono però la stagione successiva, con l’esplosione di Scottie Pippen e Horace Grant, entrambi scelti al primo turno del 1987. Appena Sellers intuì di essere fuori dalle rotazioni, chiese di essere ceduto da Chicago. E Jordan, pensò, era l’uomo che lo avrebbe potuto aiutare.

«Ho detto a MJ: “Devi andare lì e dirgli che qui non funzionerà con me”» ha detto Sellers. «Vuoi davvero che lo faccia?» chiese Jordan. «Assolutamente» rispose Sellers. «OK» rispose Jordan, «lo farò».

Il giorno dopo, Jordan rintracciò Sellers, che si stava gustando un piatto di chicken parmesan all’Olive Garden quando venne interrotto dal direttore del ristorante. «Michael Jordan è al telefono». Sellers rispose alla chiamata. «Domani ti scambiano con Seattle», gli disse Jordan. «Buona fortuna, B.»

Sellers trascorse mezza stagione con i Seattle SuperSonics prima di essere ceduto ai Minnesota Timberwolves. «Quando sono arrivato a Seattle, ho detto: “Che diavolo ho appena fatto?”» ha detto Sellers, che dal 2011 è il sindaco della sua città natale di Warrensville Heights, Ohio. «Ero giovane e stupido».

Sellers avrebbe poi firmato con i Detroit Pistons come free agent nel 1991, l’anno in cui iniziò la dinastia dei Bulls.

3. Come venne creato il look di MJ

La spinta competitiva di Jordan è stata difficile da eguagliare, così come i suoi abiti realizzati su misura da Burdi Clothing, un marchio di lusso italiano di abbigliamento maschile con sede a Chicago.

«Jordan in origine comprava da noi abbigliamento sportivo, maglioni, camicie, polo, eccetera», ha detto Rino Burdi, l’attuale proprietario. «Essendo stato nostro cliente per un po’ di tempo, ho chiesto a mio padre (Alfonso Burdi, il proprietario originario) di venire a prendere le misure per un abito».

Jordan era riluttante, spiegando che tutti i suoi tentativi di acquistare abiti personalizzati fino a quel momento erano stati deludenti, ma i Burdi presero le misure dei vestiti che Jordan indossava e fecero un abito di prova per la sua visita successiva.

«Non si aspettava molto, ma è andato comunque in camerino per provarlo», ha detto Burdi. «Ne uscì assolutamente innamorato. Abbiamo provato a personalizzare l’abito nel modo che ritenevamo più appropriato (più affusolato e aderente), ma lui voleva che tornasse alle misure originali di prova, e il suo look è stato creato».

Jordan volle una giacca più grande ed extra-lunga perché si sentiva a disagio per le giacche che riteneva troppo corte (costringendolo a tirarle costantemente verso il basso); e desiderava dei pantaloni extra-larghi capaci di nascondere quanto fossero grandi le sue scarpe rispetto alle sue gambe magre.

«Dal momento in cui divenne un cliente di abiti su misura, nacque una collaborazione a 360 gradi», ha spiegato Burdi, che ha vestito Jordan dalla testa ai piedi. «Amava i colori vivaci, i modelli divertenti e selvaggi. Non erano solo vestiti, erano un’identità».

4. La volta in cui Jordan prese in mano una palla da bowling come se fosse un pompelmo

L’amicizia tra Rex Chapman e Jordan risale al 1984, quando la futura guardia del Kentucky fu reclutata da UNC; ma, nel 1996, Chapman segnò 39 punti (carrer-high) in una vittoria dei Miami Heat contro i Bulls, che avrebbero perso solo 10 partite in quella stagione.

Settimane dopo, gli Heat giocarono a Chicago, e non appena la palla fu alzata, Jordan diede una gomitata allo sterno di Chapman. «Ho detto, “Oh merda, sarà così stasera?”», ha detto Chapman. «Indovinate un po’, andò esattamente così». Jordan segnò 40 punti in quella partita.

Secondo l’amico di Jordan, ora star dei social media e conduttore del programma televisivo Block or Charge, una risorsa sottovalutata che ha aiutato il suo buon amico a dominare le partite sono state le sue mani giganti. «Le sue mani sono incredibilmente grandi, come quelle di Dr. J, come quelle di Kawhi Leonard, come quelle di Connie Hawkins», ha detto Chapman. «Sono diverse».

Un altro ricordo, infatti, risale a una sera in cui lui e Jordan andarono a giocare a bowling con alcuni amici. Il giocatore dei Bulls, parlando con gli altri, si era reso conto che i birilli dovevano essere azzerati – cosa che richiede il lancio di una palla. Jordan prese una palla e, con le spalle alla corsia e senza inserire le dita nei fori, la lanciò verso i birilli. All’indietro. «Raccolse quella palla da 7 chili e mezzo come un pompelmo», disse Chapman. «E non smise neanche di parlare…»

5. Tu sei cresciuto guardando me, io non sono cresciuto guardando te

Da bambino, cresciuto a nord di Chicago, Vincent Yarbrough aveva i poster di Jordan nella sua stanza, indossava scarpe da ginnastica Jordan e seguiva i Bulls ad ogni passo del cammino verso i loro sei campionati NBA. «Quando i Bulls erano sulla televisione di casa mia» ricordava Yarbrough, «non potevi parlare».

Così, dopo essere entrato a far parte del roster dei Denver Nuggets come seconda scelta nel 2002, Yarbrough segnò sul suo calendario la partita contro i Wizards di Jordan, a Washington, il 20 gennaio. Yarbrough e Junior Harrington, un altro rookie, arrivarono presto alla partita per vedere Jordan, ma la sicurezza aveva bloccato il campo dove stava tirando. Quando la partita iniziò, entrambi rimasero delusi nel vedere il loro idolo in difficoltà.

«Kobe ha avuto una media di 44 contro di noi in quella stagione e Tracy McGrady ce ne ha fatti 43», ha detto Yarbrough, ora istruttore di tiro con Cheat Code Basketball. «Così, con Mike che si sarebbe ritirato in quella stagione, volevamo davvero vederlo». Jordan sbagliò nove dei suoi primi 14 tiri e i Wizards si stavano arrendendo molto presto, quella sera. «Così io e Junior abbiamo iniziato a colpirlo e a punzecchiarlo, dicendogli: “Questa è spazzatura”, ogni volta che sbagliava un tiro», ha detto Yarbrough. Gli hanno persino criticato le scarpe quando Jordan le cambiò all’intervallo. «Togliti quelle brutte scarpe», disse Yarbrough. Jordan si infuriò.

«Aspetta un attimo, piccolo stronzo», fu la risposta. «Tu sei cresciuto guardando me, io non sono cresciuto guardando te». Nel quarto quarto Jordan segnò 10 dei suoi 25 punti. Durante il momento decisivo della partita, infilò quattro canestri di fila. E dopo la partita, Jordan ebbe l’ultima parola. «Alla fine della giornata, vincere può zittire un sacco di gente», ha detto Jordan. «E una volta ottenuto il vantaggio, parte della conversazione è sparita».

Yarbrough, che indossava una maglietta Jordan nello spogliatoio dopo la partita, non ha avuto rimpianti: «Siamo riusciti a far emergere la sua grandezza».