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Nonostante l’incessante susseguirsi di voci di mercato che ha caratterizzato gli ultimi di due mesi di Regular Season e il solito atteggiamento passivo-aggressivo di LeBron James, i Los Angeles Lakers hanno deciso di non muovere i propri asset durante la trade deadline, puntando tutto sul miglioramento interno e proiettando le speranze di titolo alla prossima stagione. Wishful thinking e occasione sprecata o crudo realismo e gestione oculata?

Gli ultimi mesi

In seguito alla conquista dell’In-Season Tournament, il rendimento dei Lakers è calato a picco, con i mesi di Dicembre e Gennaio caratterizzati da un record di squadra negativo, rispettivamente 6 vittorie a fronte di 8 sconfitte e 7 vittorie a fronte di 8 sconfitte. In questa span di partite si sono alternate vittorie insperate contro squadre più forti e in forma, come le due contro i Thunder o quella in trasferta contro i Celtics nonostante le assenze di James e Davis, a sconfitte imbarazzanti e difficilmente giustificabili, come quella in casa contro i Nets o il back-to-back con Rockets e Hawks. Tutto ciò si è verificato nonostante James e Davis siano entrambi relativamente sani per la prima volta dalla stagione della bolla, rispettivamente 50 e 54 partite giocate su 58 a disposizione, e stiano entrambi disputando una stagione da All-NBA.

La situazione sembrava richiedere degli interventi sul mercato, visto anche l’ormai abituale atteggiamento criptico di LeBron nelle interviste e sui social, culminato con il famigerato tweet con la clessidra in seguito al rendimento fallimentare nel back-to-back citato in precedenza – poi rivelatasi tutt’altro.


Nonostante tutto, il GM Rob Pelinka ha deciso di non effettuare alcuna mossa in sede di deadline, limitandosi a firmare Spencer Dinwiddie dal mercato dei buyout e puntando tutto sul recupero di alcuni pezzi di rotazione, Gabe Vincent e Jarred Vanderbilt su tutti, e sul miglioramento interno dal punto di vista del rendimento individuale. Tra le motivazioni fornite dal GM gialloviola riguardo all’immobilismo sul mercato, quella che ha fatto più clamore è stata quella secondo cui in estate si tenterà di acquisire una terza stella da affiancare a James e Davis: in questa deadline, infatti, i Lakers avevano a disposizione solamente una prima scelta, due pick swap e una manciata di seconde, mentre in estate avranno a disposizione due prime in più e alcuni contratti potrebbero risultare più appetibili per eventuali partner in sede di scambio.

Segnali incoraggianti

Nonostante i disastri combinati per gran parte della stagione tra rotazioni cervellotiche e piani partita ampiamente rivedibili, è giusto riconoscere i meriti di Darvin Ham per i recenti miglioramenti: nell’ultimo mese i Lakers hanno un record di 9 vittorie e 4 sconfitte, sono diventati il 7° attacco della lega con un OFFRTG di 121.0 e sono 11° per NETRTG con +3.2. Le radici di questo miglioramento della performance risiedono in due fattori principali:

  • le assenze di Vanderbilt e Cam Reddish hanno ridotto il numero di tiratori negativi in campo, migliorando le spaziature e, conseguentemente, la qualità dei tiri a disposizione. I Lakers infatti nell’ultimo mese stanno tirando con il 40.8% dall’arco contro il 36.8% del resto della stagione.
  • i gialloviola entrano prima nell’azione, perdendo meno tempo nel portare la palla da una metà campo all’altra e nel posizionamento per l’esecuzione dei set. Il pace dell’ultimo mese infatti è di 102.55, 3° più alto della lega, contro il 101.09 del resto della stagione, 8° nella lega; sono migliorati anche i numeri nella produzione a difesa schierata, con 110.5 punti per 100 possessi (1° nella lega) contro il precedente dato di 99.9 punti per 100 possessi (14° nella lega).

Sono vari i giocatori che hanno beneficiato di questo adattamento del piano partita offensivo, ma è interessante concentrarsi principalmente su D’Angelo Russell e Rui Hachimura, probabilmente i due nomi più chiacchierati in ottica trade negli ultimi mesi.

Nel mese di Dicembre e nella prima parte di Gennaio, DLo ha visto crollare le proprie percentuali realizzative, con un correlato crollo del rendimento anche nella creation per i compagni che per alcune partite gli è costato la titolarità: l’ex Minnesota non è un grande atleta e dunque l’unica arma a sua disposizione per creare vantaggio dal pick&roll è la minaccia del pull-up, dalla media o da dietro l’arco; in assenza di questo risulta essere un giocatore dannoso non solo in difesa ma anche in attacco. Alcuni numeri del periodo tra il 1 Dicembre e l’11 Gennaio, data dell’ultima partita in uscita dalla panchina:

  • 25.4 minuti di media
  • titolare in 8 partite sulle 14 giocate
  • 49.6% in EFG%, 22° percentile, e 33% nel tiro da 3, 35° percentile
  • 22.7% in USG% (31° perc.) e 28% in AST% (62° perc.), con un rapporto di 1.23 (69° perc.)
  • 12.7% in TOV% (28° perc.)
RimShort MidLong MidCorner ThreeNon Corner Three
Frequency20%17%15%7%42%
Accuracy63%36%45%40%32%
Percentile43°23°63°27°
FONTE: CLEANING THE GLASS

Il periodo negativo non ha fatto altro che intensificare le voci su un suo possibile scambio per svariati pari ruolo, da Lavine a Brogdon fino a Dejount Murray; tuttavia, nonostante il suo storico ce lo racconti come un giocatore molto umorale e facilmente dalla scarsa durezza mentale, DLo è riuscito a rimettersi in carreggiata proprio nel suo momento più buio, guadagnandosi la permanenza a roster. Nella seconda metà di Gennaio e in questo inizio di Febbraio infatti i numeri sono nettamente in crescita, con una gestione del pallone più accurata e l’esplosione del rendimento realizzativo:

  • 36.4 minuti di media
  • titolare in ognuna delle 18 partite giocate
  • 58.1% in EFG%, 82° percentile
  • 25.7% in USG% (53° perc.) e 26% in AST% (38° perc.), con un rapporto di 1.02 (38° perc.)
  • 9.4% in TOV%, 71° perc.
RimShort MidLong MidCorner ThreeNon Corner Three
Frequency17%27%11%6%40%
Accuracy69%37%42%50%46%
Percentile81°17°50°73°94°
FONTE: CLEANING THE GLASS

Per quanto riguarda Hachimura, il miglior rendimento deriva dalla miriade di infortuni che hanno colpito il reparto ali dei Lakers, costringendo Ham ad inserirlo in quintetto e a dargli più minuti: da inizio stagione fino al 23 Gennaio (data in cui Reddish ha subito un infortunio alla caviglia contro i Clippers) Rui ha giocato una media di 21.7 minuti in 30 partite, con solo 6 da titolare; da lì in poi, complice anche l’infortunio di Vanderbilt il 1 Febbraio contro Boston, 27.5 minuti a notte con 6 partite da titolare su 11. Nonostante nel secondo stretch il campione di partite sia molto piccolo, è interessante confrontare la differenza di rendimento tra i due periodi, che testimonia come il giapponese possa essere un importante pezzo di rotazione se opportunamente coinvolto e, dunque, se in fiducia:

BEFORE 23/01EFG%RimShort MidLong MidCorner ThreeNon Corner Three
Frequency39%17%12%9%23%
Accuracy52.2%68%36%28%32%35%
Percentile35°74°25°10°22°45°
FONTE: CLEANING THE GLASS
AFTER 23/01EFG%RimShort MidLong MidCorner ThreeNon Corner Three
Frequency40%18%6%18%18%
Accuracy71.5%85%48%43%57%43%
Percentile100%98°60°97°82°
FONTE: CLEANING THE GLASS

Nell’ultimo mese si sono distinti per i propri miglioramenti offensivi anche Austin Reaves e Anthony Davis. Grazie alla ritrovata fiducia e al ritorno in quintetto di Russell, Austin è potuto tornare ad un ruolo meno centrale nell’attacco gialloviola, attaccando più spesso a difesa già mossa dai vantaggi creati dal compagno di reparto e/o da James, migliorando la propria efficienza:

EFG%USG%AST%TOV%
Before 23/0156.9%22.2%24.2%13.6%
After 23/0158.9%22.7%25.3%12.3%
FONTE: CLEANING THE GLASS

Per quanto riguarda l’ex Pelicans, il recente salto di qualità è stato caratterizzato da due aspetti su cui un po’ tutti avevamo perso le speranze: il ritorno del jumper, agognato dalla conquista del titolo nella bolla, e il miglioramento delle letture dal post contro i raddoppi, desiderio che ha accompagnato AD per tutta la sua carriera. Ultimamente Davis ha rivestito i panni del leader della transizione, sprintando in attacco subito dopo aver recuperato il rimbalzo difensivo per poi servire con buona precisione i compagni di fronte a lui (Hachimura su tutti). Alcuni numeri:

  • fino al 23 Gennaio, lo USG% era pari al 24.8% a fronte di un AST% del 16.4% e di una TOV% del 10.6%; nell’ultimo mese invece lo USG% è salito al 26.3% a fronte di un AST% del 16.2% e di una TOV% scesa al 7.8%.
  • fino al 23 Gennaio, la frequenza dei tiri dallo Short Mid era del 33%, convertito con il 45%, mentre quella del Long Mid era del 12%, convertito con il 37%; nell’ultimo mese invece, a fronte di una frequenza sostanzialmente invariata, le percentuali realizzative sono salite, rispettivamente, al 51% e al 42%, in linea con i numeri migliori della carriera.

Cosa non andava (e continua a non andare)

Parafrasando Aldo Giovanni e Giacomo: “Meraviglioso, bello bello, ma intanto come abbiamo fatto a rimanere in zona Play-In?”. L’immobilismo in sede di trade deadline non ha permesso ai gialloviola di colmare alcune delle lacune che li hanno accompagnati per tutta la prima parte di stagione, su tutte la difesa perimetrale: il reparto guardie continua ad essere gravemente sottodimensionato e privo di difensori puri in grado di impensierire le principali guardie avversarie; inoltre l’infortunio subito da Vanderbilt contro i Celtics ha privato la squadra del suo difensore più versatile e più efficace sulle ali. Il carico difensivo è dunque, oggi più che mai, interamente riposto sulle spalle di Davis, che difficilmente potrà reggere un tale carico fino ai Playoffs. Nell’ultimo mese infatti i numeri difensivi sono calati vistosamente:

  • il DEFRTG è passato da 115.1 (14° nella lega) a 117.8 (19°)
  • l’OREB% avversaria è passata dal 25.4% (4°) al 30.6% (29°)
  • gli avversari vanno più spesso in transizione, con la frequenza che passa dal 15.7% (19°) al 16.7% (28°), e concludono con un’efficienza maggiore, da 128.5 punti per 100 possessi (17°) a 133.2 (26°)
  • è aumentata anche l’efficienza avversaria al ferro, con il dato passa dal 66.5% (18°) al 70.1% (26°)

Un altro problema che non è stato risolto è quello delle rotazioni in ottica Playoffs: a questo punto della stagione sarebbe ragionevole pensare che siano ben consolidate e che si conoscano gli 8/9 uomini, con relativi ruoli e mansioni, che staranno stabilmente in campo; al più ci dovrebbero essere due giocatori da integrare ma in ruoli marginali. Ai Lakers, sia per colpe del coaching staff sia per via dei frequenti infortuni che hanno coinvolto i role player, non è così:

  • nel reparto guardie non si sa se Vincent sarà a disposizione ed eventualmente in che stato fisico, con una chimica di reparto da costruire interamente in un mese o poco più, nella migliore delle ipotesi. Inoltre, a prescindere dall’eventuale ritorno dell’ex Miami, deve essere integrato Dinwiddie e bisogna stabilire se Christie potrà avere un ruolo dalla panchina. Discorso particolare quello di Russell, che ha caratteristiche fondamentali per questa squadra e che ultimamente è stato un vero e proprio trascinatore, ma che in carriera è spesso stato protagonista di periodi con alti e bassi come accaduto finora e che, in generale, ai Playoffs non ha uno storico particolarmente incoraggiante: risulta dunque difficile fare deduzioni su quello che potrà essere il suo ruolo effettivo, sia in termini di minutaggio che in termini di responsabilità.
  • nel reparto ali, al di fuori di LeBron, regna l’incertezza. Reddish è un buon difensore ma è anche un attaccante ben oltre il negativo, dunque se e quando dovesse essere impiegato il suo ruolo dovrebbe essere marginale; tuttavia Ham nel corso della stagione lo ha trattato con i guanti bianchi, concedendogli minuti ben oltre i meriti acquisiti sul campo, non un buon segno. Discorso analogo per Taurean Prince che, sebbene sia un giocatore infinitamente più utile rispetto a Cam, ha ricevuto un trattamento speciale dal coach e altrettanto ingiustificabile. Vanderbilt non si sa se e come tornerà, ma sappiamo che in ottica Playoffs il suo utilizzo sarebbe problematico per via delle difficoltà offensive; inoltre l’alternarsi di assenze tra lui e Reddish ha impedito di stabilire delle gerarchie di reparto, il che potrebbe portare Ham a schierarli entrambi per più minuti del necessario, danneggiando gravemente la squadra nella metà campo offensiva. Hachimura, per quanto sia probabilmente il role player più forte del reparto, non sembra essere particolarmente amato dall’allenatore, sempre pronto a relegarlo in panchina alla prima breve sequenza di errori al tiro o nelle letture. Il suo impiego potrebbe anche essere complesso vista la natura del backcourt titolare che richiederebbe la presenza in campo di un’ala difensivamente più competente e rapida.
  • il reparto lunghi in ottica Playoffs è costituito, realisticamente, dal solo Anthony Davis e da, occasionalmente, un Hachimura adattato da small ball 5 durante gli sporadici e brevi stint di riposo del lungo ex Pelicans. Viene difficile immaginare minuti significativi per Wood e Hayes, nonostante entrambi abbiano dato un buon contributo situazionale durante questa prima parte di Regular Season: entrambi infatti sono difensori negativi, Wood per assenza di mancanza di rapidità laterale, Hayes per limiti nelle letture.

Rimangono infine enormi dubbi su Darvin Ham, che anche in questa prima parte di stagione si è dimostrato non all’altezza del ruolo che ricopre. L’ex assistente dei Bucks continua infatti a sprecare molto tempo nello sperimentare lineup senza capo né coda, come quelle a 3 guardie o con LeBron come unico ball handler circondato da non tiratori, si ostina a concedere minuti eccessivi a giocatori immeritevoli e persiste nel proporre gameplan difensivi estremi che hanno già dimostrato di essere totalmente inefficaci, come la pigrissima zona sistematicamente punita dagli avversari (soprattutto in uscita dai timeout) o la scelta di battezzare costantemente un uomo in angolo per 48 minuti a prescindere dal suo rendimento all’interno della partita stessa (come nel caso di Exum nella sfida contro Dallas del 12 Dicembre). Come se non bastasse, Ham ha dimostrato più e più volte di non essere in grado di assumersi le proprie responsabilità facendo auto critica per le scelte sbagliate, venendo meno al principio di “accountability” che rimarca costantemente nelle conferenze stampa nei riguardi dei suoi giocatori.

Playoffs e futuro

Solitamente i Playoffs sono decisi da un mix di fattori più o meno equamente bilanciati come salute, esperienza, rapporti di forza e fattore campo. Quest’anno, visto il largo numero di squadre che hanno il potenziale per puntare al titolo, acquisiranno ancora più importanza i singoli accoppiamenti, che potrebbero portare a degli esiti inattesi in varie serie più o meno avanti nel percorso. Ci sono squadre, come i Nuggets, che possono permettersi di dare minor peso a questo aspetto mentre altre squadre, specie se tendenzialmente più scarse rispetto ad altre pretendenti al titolo come i Thunder, devono tenerne conto in ottica mercato, cercando di migliorare ai margini per acquisire anche un minimo vantaggio in alcuni particolari matchup che potrebbero incontrare nel percorso.

A mio avviso, se esiste una finestra per puntare al titolo, per quanto piccola sia, è giusto aggredire il mercato e mettersi nelle migliori condizioni possibili per tentare di arrivare in fondo alla competizione, anche se a costo di sacrificare gran parte del futuro. Inoltre, se a roster sono presenti uno o più giocatori tra i 10/15 più forti della lega, è un dovere tentare di accontentarli e di massimizzarne l’impatto mettendoli nel miglior contesto possibile, sia per quanto riguarda un coaching staff umanamente e stilisticamente affine sia per quanto riguarda un roster funzionale. Un esempio virtuoso di questi due approcci è quello dei Mavericks, che ritengo si siano mossi con la giusta mentalità negli ultimi anni: le mosse non sempre hanno sortito l’effetto sperato, da Porzingis a Grant Williams passando per il mancato rinnovo di Brunson, ma quando si sono presentate delle opportunità per alzare floor e ceiling della squadra, da Kyrie ai più recenti PJ Washington e Gafford, la franchigia texana non ha esitato e ha sempre tentato di migliorarsi per mettere Doncic nelle migliori condizioni possibili per guidarli al titolo (ne abbiamo parlato QUI).

Ed è proprio questo il tipo di approccio che avrei voluto vedere da parte dei Lakers già da questa stagione, e non dalla prossima. Il gap di talento con Nuggets, Suns e Clippers era difficilmente colmabile visti gli asset a disposizione, ma lavorare sui margini come fatto da Thunder e Mavericks era possibile e doveroso. Banalmente, andando ad aggiungere un ulteriore difensore perimetrale a roster e/o un lungo di riserva presentabile in ottica Playoffs, i Lakers avrebbero potuto essere molto più pericolosi in alcuni dei matchup sopracitati, ad esempio contro Suns e Thunder, dove i gialloviola avrebbero potuto far valere la propria stazza e tentare l’upset.

La questione asset mi interessa relativamente: LeBron ha 39 anni e sta giocando l’ennesima stagione da All-NBA, con alte probabilità l’ultima della carriera, dimostrando di avere ancora in canna alcune partite da borderline top 5 della lega. Se a questo aggiungiamo una stagione sana di Davis, in cui ha ritrovato il jumper e ha migliorato le letture, e la storia della franchigia, trovo francamente incomprensibile e criminale, dal punto di vista sportivo, la scelta di restare fermi e rimandare le mosse all’estate. Estate in cui LeBron potrebbe non esercitare la Player Option e lasciare la squadra senza avere alcun ritorno in termini di giocatori o di draft capital o in cui potrebbe essere soggetto ad un ulteriore calo di condizione fisica che dunque abbasserebbe floor e ceiling della squadra, facendola retrocedere ancora di più nelle gerarchie della Western Conference. Estate in cui D’Angelo Russell potrebbe fare opt out, privando i Lakers di un asset contrattuale che sarebbe fondamentale nella ricerca di un’eventuale terza stella o di un comprimario di alto livello. Estate in cui, come sbandierato a più riprese da Pelinka, saranno disponibili due ulteriori prime scelte, che permetterebbero dunque eventuali nuove mosse per migliorare la squadra e avvicinarsi alle altre contender. Stando ai rumors, Pelinka tenterà di acquisire uno tra Donovan Mitchell e Trae Young ma:

  • da dove nasce l’idea secondo cui questi due giocatori verranno resi disponibili dalle rispettive franchigie di appartenenza?
  • da dove nasce la presunzione di avere asset sufficienti e migliori rispetto alla concorrenza per poterli effettivamente acquistare? Siamo così sicuri che 3 prime, due delle quali proiettate molto in avanti nel tempo, di un big market siano sufficienti per portarli a Los Angeles?
  • entrambi i giocatori portano con sé grossi limiti dal punto di vista difensivo a cui i Lakers, ammesso che riescano a portarli in California, non avrebbero modo di sopperire visto il necessario dispendio di tutti gli asset a disposizione. La loro acquisizione sarebbe dunque un effettivo passo in avanti per il titolo?

Dunque perchè negarsi la possibilità di fare un mezzo passo in avanti oggi per, forse, fare un passo avanti domani? L’unica spiegazione che riesco a darmi è questa: nell’attuale front office, specialmente in figure chiave come quella della proprietaria Jeanie Buss e del General Manager Rob Pelinka, la priorità non è la vittoria ma l’apparenza. Tralasciando l’inettitudine gestionale sfoggiata a più riprese (il non rinnovo di Caruso a cui è stato preferito quello di Horton-Tucker, la trade Westbrook, il licenziamento di Vogel sostituito da un coach inesperto in una squadra in win-now mode), quello che appare è un apparato dirigenziale concentrato principalmente sul mostrare di essere forte e di non piegarsi alle presunte ingerenze dell’agenzia Klutch Sports.

Tra i vari passaggi di questa guerra fredda interna ci si può concentrare su due episodi. Il primo è quello della mancata assunzione di Tyronn Lue nell’estate del 2019: come riportato dal giornalista di ESPN Ohm Youngmisuk in questo pezzo sull’attuale allenatore dei Clippers, le trattative vennero interrotte per una proposta contrattuale inadeguata per lo status dell’allenatore. Lue era infatti reduce dall’esperienza con i Cavaliers, a cui si era legato con un quinquennale da 35 milioni. Il front office gialloviola, stando alle ricostruzioni, offrì un triennale da 18 milioni, proposta ritenuta insufficiente da Lue perché non teneva conto dello status acquisito con la vittoria del titolo nel 2016 né da un punto di vista economico (solo un milioni in più all’anno) né dal punto di vista della stabilità sul lungo periodo (3 anni di contratto contro i precedenti 5).

L’episodio più recente è invece quello riportato da Adrian Wojnarowski e Ramona Shelburne pochi giorni dopo l’ultima trade deadline. Joe Lacob, proprietario degli Warriors, avrebbe contattato direttamente Jeanie Buss per sondare la disponibilità del front office gialloviola nell’intavolare una trattativa per lo scambio di James, viste le sue recenti dichiarazioni colme di frustrazione. Di fronte ad una proposta del genere qualunque proprietario avrebbe, più o meno educatamente, immediatamente interrotto la conversazione, non lasciando alcuno spiraglio per una possibile cessione del proprio giocatore franchigia. Jeanie invece, pur rimarcando la volontà dei Lakers di non cederlo, avrebbe concluso la conversazione consigliando a Lacob di contattare l’entourage di James per sondare la sua disponibilità ad un eventuale scambio, lasciando dunque una porta aperta all’eventualità. La trattativa, seppur in stato (meno che) embrionale, si sarebbe poi arenata in poche ore di fronte al mancato interesse del camp di James nel possibile trasferimento, come dichiarato a più riprese da Rich Paul, agente del giocatore.

La priorità dunque non sembra essere quella di vincere, come invece imporrebbero il nome sulla canotta e la storia della franchigia: James viene visto, fuori dal campo, come un problema che insidia lo status della proprietà e che come tale va combattuto, anche a costo di sacrificare la competitività.

In conclusione: questa deadline è stata l’ennesima occasione sprecata dai Lakers. Se questi sono i presupposti, non vedo come si possa essere ottimisti per il futuro, sia per quanto riguarda il finale di questa stagione sia per la prossima estate, con o senza una terza stella, con o senza James.