Anche fuori dai parquet NBA, c’è un prima e un dopo LeBron. Scopriamo perché.
Questo contenuto è tratto da un articolo di Justin Tinsley per Andscape, tradotto in italiano da Alessandro Di Marzo per Around the Game.
Dopo “The Decision”, evento in cui LeBron James ha annunciato in diretta TV che avrebbe giocato per i Miami Heat, il concetto di “player empowerment” ha avuto un peso sempre maggiore.
Da un lato, bisogna intenderlo nel vero senso della parola: i giocatori, specialmente le superstar, hanno un peso decisionale enorme sulla loro destinazione: influiscono nella scelta della squadra in cui vogliono giocare, esprimendo preferenze di compagni e allenatori .
Ma c’è altro: oltre a questo tipo di impatto, i cambi più rilevanti sono avvenuti nel processo che porta i giocatori a diventare businessmen, non solamente atleti. E il fenomeno si sta propagando molto, e lo farà anche dopo il ritiro di LBJ.
“LeBron ha mostrato al mondo che non bisogna iniziare a fine carriera. Puoi fare business anche dall’inizio, e goderti il maggiore controllo del tuo destino. Ha incoraggiato gli altri a pensare fuori dagli schemi convenzionali, oltrepassando i confini.”
(Anita Elberse, Harvard Business School)
“James ha dovuto capire che era un brand a partire dall’high school, qualcosa di separato dal basket.” Ha poi aggiunto il co-owner delle Atlanta Dream, in WNBA. “Ci ha regalato questa concezione.”
Per apprezzare la sua influenza bisogna capire il contesto in cui è stato presentato al mondo ormai più di 20 anni fa. Era al terzo anno di liceo e stava già pensando al suo futuro da professionista, mentre gli osservatori speculavano su quanto avrebbe potuto guadagnare.
“Probabilmente farà più soldi da sponsor e contratti di scarpe che dal suo intero rookie contract” disse, al tempo, l’analista di college basketball di ESPN Jay Bilas.
James, in realtà, stava già attirando molto denaro: non per lui in prima persona, ma per la sua scuola, per la quale a volte giocava addirittura partite trasmesse in pay-per-view.
“La mia prima gara da sophomore fu nella Università di Akron, davanti a 6.000 persone… ed era tutto esaurito” spiegò James nel 2019. “Avevo 15 anni, avevo capito che attorno a me si sarebbe creato un business.”
Jim Jackson, 14 anni in NBA e ora commentatore TNT, si è reso conto di quanto le cose siano cambiate. Quando entrò nella Lega nel 1992/93 con Dallas, fu sbeffeggiato dai compagni perché stava provando a dare il via ad una sua personale carriera imprenditoriale fuori dal campo. Con rare eccezioni, al tempo i giocatori si concentravano solo sulle loro carriere da atleti: tutto il resto poteva aspettare.
“I tempi sono cambiati” ha spiegato. “Quando una squadra vuole firmare grandi nomi, dal college o dalla free agency, bisogna sempre parlare di questo e capire se hanno un brand dietro, se hanno idea di ciò che vogliono fare da questo punto di vista. E molto passa da internet e dai social media.”
James non è stata l’unica causa di questo stravolgimento, ma non riconoscerne l’impatto è ingenuo.
“Nessuno può essere LeBron, ma si può essere «LeBroneschi» nello sfruttare le partnership, le relazioni che crei a livello imprenditoriale. Questo porta benefici a entrambe le parti, e in questo James ha sempre lasciato la sua impronta.”
(Jim Jackson)
Le mosse di LeBron, inizialmente, furono controverse. La sua visione non si allineava con la tradizione: nel 2005, ad esempio, licenziò i suoi agenti Aaron ed Eric Goodwin, nonostante lo avessero aiutato a orchestrare $90 milioni di contratto con la Nike e $12 milioni con Coca-Cola, per affidarsi a tre amici d’infanzia: Maverick Carter, Randy Mims e… Rich Paul. La mossa fu valutata male, dissero che a James tutto questo sarebbe costato caro… e sappiamo che non è andata proprio così.
In seguito scelse di non firmare un’estensione al massimo salariale alla fine del suo rookie deal per disporre di più flessibilità in futuro. E fu proprio questo a generare “The Decision”. Fu etichettato come arrogante ed egoista, ma in un’ora di programma aiutò a raccogliere milioni di dollari andati poi in beneficenza. Era nata una nuova era del marketing sportivo.
Quando LeBron era al liceo, gli analisti erano stupefatti dalla sua verticale, dalla facilità con cui poteva crearsi tiri e, soprattutto, dalla sua lettura del Gioco e dalla sua grande voglia di coinvolgere i compagni. Lo stesso si può dire della sua presenza nel business. James è il centro, ma attorno a sé ha una rete di persone utilissime per il suo sviluppo imprenditoriale.
Mims e Paul hanno lavorato per le operazioni quotidiane e per la costituzione dell’agenzia che poi sarebbe diventata Klutch Sports, mentre Carter ha lavorato sempre in questo settore, ma fuori dal mondo del basket. I tre hanno portato stabilità e innovazione nel mondo di James, che ha ripagato con la fiducia.
“La sfida più ardua, inizialmente, era percepire la potenza di questi tre uomini e capire che erano in grado di navigare attraverso le carriere cestistiche e imprenditoriali di LBJ. Hanno portato il tutto a un livello superiore e si sono assunti tutte le responsabilità.”
(Jim Jackson)
E così la natura del player empowerment si è espansa, e James con essa, a simboleggiarne l’evoluzione.
“Nel passato James era con McDonald’s, ma poi ha detto «ehi, perché non possedere una mia catena di risotranti?» E così ha investito in Blaze Pizza nel 2012, con un’entrata iniziale di 1 milione. Nel 2017, la stessa quota è salita al valore di $35 milioni, e Blaze Pizza è diventata la catena di ristorazione con la più rapida crescita di sempre.
LeBron non è l’unico a voler investire in questo modo, ma è uno dei maggiori promotori di questa attività. Questo è un esempio del suo innegabile impatto.”
(Anita Elberse)
Ma non ci fermiamo qui. C’è Ladder, società di integratori fondata con Arnold Schwarznegger; c’è Tonal, la startup per gli allenamenti in casa di cui James è un grosso investitore assieme a Stephen Curry, Sue Bird e Mike Tyson; c’è anche Beats By Dre, ovviamente, una delle partnership più longeve e lucrative di James; e, ovviamente, Nike, con cui ha firmato un contratto a vita del valore di un miliardo di dollari. Per non dimenticare SpringHill Company, creata con Maverick Carter, che si occupa di media e storytelling: l’anno scorso era valutata quasi $750 milioni.
Non mancano affatto nemmeno gli investimenti nel settore dello sport: James è da poco diventato azionista di minoranza del Milan, assieme ai New York Yankees, mentre da anni ha il 2% del Liverpool. Lui e Carter, l’anno scorso, sono poi diventati i primi soci neri dei Boston Red Sox, tramite Fenway Sports Group, che poco dopo ha comprato anche quote di maggioranza dei Pittsburgh Penguins, in NHL.
La ciliegina? Il Pickleball: lui, Draymond Green, Kevin Love e altri hanno infatti recentemente investito nella lega professionistica di questo sport molto in voga in terra americana.
Oltre a ciò, per chi se lo fosse scordato, James resta uno dei migliori cestisti al mondo al ventesimo anno di carriera in NBA: una longevità che appartiene a soli 9 altri giocatori, tra cui Udonis Haslem. Resta da vedere quanto i Los Angeles Lakers saranno competitivi, ma con LBJ lo spettacolo è sempre assicurato.
Basket, business e presenza al fianco dei più importanti temi sociali: tre linee separate tutte fieramente calcate, cosa che pochissimi riescono a fare. James è il primo ad aver successo in tutti e tre i campi.
“La gente lo guarda e vede potenziale, in futuro le persone capiranno che possono fare lo stesso. Gli atleti realizzeranno che possono avere questo impatto, anche fuori dal campo e dopo la fine delle loro carriere sportive.”
(Battino Battis Jr, Arizona State University)
Entrando nel suo 20esimo anno di NBA, James è oggi un veterano che gioca con giovani che a malapena ricordano il primo LeBron, tutt’altro che maturo (dentro e fuori dal campo) come quello di oggi. Alcuni non erano nemmeno nati. Chi è giovane oggi sta arrivando in un mondo formato anche da James, dove le domande sulla propria carriera riguardano anche nome, immagine e grado di apprezzamento da parte dell’opinione pubblica.
Vaughan Moss, assistente di branding e digital strategy alla Temple University, lavora specialmente per assicurare agli studenti-atleti un’istruzione adeguata per il mondo degli sport collegiali.
“Generalmente devo far capire ai ragazzi il concetto di poter fare soldi e poter avere più potere decisionale e opportunità nel modo giusto. Abbiamo un corso fatto apposta per questi studenti. Io faccio il mio lavoro, ma mi interesso anche ad altro: amo le sneakers, ho un podcast… bisognerebbe pensare a noi stessi anche in questo modo. Si lavora, si pratica qualche sport, ma si fa anche altro. E LeBron è un esempio frequente che utilizzo.”
(Vaughan Moss)
Lo scorso mese Mikey Williams, talento liceale, al podcast “ I Am Athlete” ha dichiarato che spera di diventare miliardario entro i 25 anni. Senza fare il suo nome, Jackson ha detto di essere ispirato dalla volontà dei giovani giocatori, notando ancora una volta l’influenza di James:
“Non bisogna farsi distrarre dal futuro: anche LeBron potrebbe guardare troppo in avanti, e così rischierebbe di non riuscire ad allineare i progetti del presente e a soddisfare le aspettative. È questo che ha aperto le porte ai suoi business. Pensiamo al presente, e solo dopo sfruttiamo le occasioni che ci vengono incontro.”
(Jim Jackson)
Con ancora qualche passo da compiere, è evidente che oggi i giovani atleti abbiano maggiori opportunità per monetizzare i loro talenti, atletici e non. Ora vita privata e sport non sono più staccati. Bronny James, come suo padre, sembra un ottimo talento liceale, e ha già chiuso accordi con Nike e Beats. Non bisogna essere necessariamente il migliore di tutti per capitalizzare le opportunità, c’è anche altro.
“Oggi è comune farsi domande riguardanti nuove carriere dopo quella sportiva, fin dall’inizio. Julius Randle, anni fa, ha detto di voler dar vita a un programma di istruzione. L’influenza di James? Non saprei, ma ormai c’è una tendenza generale nel fare business, ed è stato LeBron a mostrare quanto valore, quanto benessere si possa creare dalla loro posizione ragionando in modo strategico.”
(Anita Elberse)
Cosa c’è oltre? Come sarà il player empowerment dopo James?
Dipende: il mondo sportivo di oggi è diverso dal 2003, e non è detto che ciò che lui ha sfruttato funzionerà un domani. C’è ancora del lavoro da fare, anche parlando di pallacanestro: James e altri hanno avuto un peso riguardo alle decisioni di back to back, viaggi e riposo tra una gara e l’altra. Ma per la bubbole, o per le 72 partite in pochi mesi nel 2020/21, non è stato fatto molto.
“Chi sarà o saranno i giocatori in grado di guidare il cambiamento dopo James e Chris Paul? Sarà molti interessante” ha spiegato Jackson.
“Non penso che oggi possiamo affermare che, tra 30 o 40 anni, James sarà conosciuto per la pallacanestro. Non ne abbiamo la certezza, e lui non ha limiti, è unico. Dipenderà tutto da lui, a questo punto.”
(Anita Elberse)