Un inizio di stagione straordinario per una squadra che sta mettendo insieme numeri strepitosi: 10 partite giocate, 10 vittorie e miglior record in questo lasso di tempo nella storia della franchigia. Primi per offensive rating a 122.7 e per net rating a 12.7, reduci da un +41 all’intervallo e un +19 finale assestato ai Golden State Warriors, probabilmente secondi solo agli stessi Cleveland Cavaliers per forma attuale nella lega. In un’Eastern Conference spaccata in due, dove solo Cavs e Celtics hanno un saldo vittorie/sconfitte positivo, Donovan Mitchell e compagni hanno mostrato finora perché possono essere loro la rivelazione anche sul lungo periodo. La scelta fatta quest’estate di licenziare J.B. Bickerstaff è stata fatta considerando sia il futuro a breve che quello a lungo periodo di questo nucleo.

Nel breve perché a luglio i Cavs hanno scelto di rifirmare Mitchell con un triennale da $150 milioni, confermando il suo ruolo di giocatore più importante di questa squadra (per ora quantomeno), e, entrando nel terzo anno dell’estensione quinquennale da rookie di Garland che gli varrà $193 milioni, c’era la necessità di capire se i due titolari del backcourt riuscissero a rendere, in contemporanea, ai rispettivi massimi sul parquet; in caso di risposta negativa, il front office avrebbe potuto cercare di scambiare uno dei due prima che il valore del giocatore scendesse troppo.

Nel lungo, perché con la visione proiettata sui prossimi 5/10 anni, i Cavaliers volevano continuare a sviluppare e modellare Evan Mobley, giocatore imprescindibile per un futuro ad alto livello di questa squadra. Ed è stata proprio questa la richiesta principale fatta dal presidente Koby Altman durante i colloqui per assumere il nuovo capo allenatore: qual è il piano per far esprimere al massimo tutto il potenziale dell’ex USC, dovendo giocare al fianco di Jarrett Allen? La risposta migliore è arrivata dall’attuale tecnico dei Cavs, Kenny Atkinson, che ha portato ad esempio l’ottimo lavoro fatto dai Golden State Warriors nel far coesistere Draymond Green e Kevon Looney, due non tiratori che riescono comunque a non restringere eccessivamente le spaziature in attacco.


Proprio questa notte con i Warriors abbiamo avuto un esempio di come Atkinson vuole usare Mobley: coinvolgerlo nei primi secondi dell’azione, in ricezioni dinamiche, con Allen che si va a posizionare nel dunker spot per dare spazio al #4 di operare. Anche solo in questa entrata rapida in area vediamo due comuni denominatori di quest’inizio di stagione di Cleveland.

Il primo è il pace, il numero di possessi che una squadra gioca sui 48 minuti: se fino all’anno scorso con Bickerstaff eravamo abituati a una squadra piuttosto lenta in campo, tanto da chiudere 24esimi a 97.62 possessi a partita, quest’anno sotto Atkinson la squadra corre di più, va spesso e volentieri in transizione e questo si tramuta nei 101.3 possessi a partita, nona posizione nella lega in questa statistica. Certo, correre non è sempre sinonimo di ottima esecuzione – le prime tre per pace in questa stagione sono Chicago, Atlanta e Washington, che non si trovano proprio ai piani alti dell’Eastern Conference – ma permette comunque di affrontare una difesa avversaria non ancora schierata, oppure può consentire di beneficiare di accoppiamenti favorevoli.

Il secondo, che è collegato al primo, è la chiusura dell’azione nei primi secondi. Nella passata stagione, il 19.6% dei possessi offensivi terminava con un tiro negli ultimi 7 secondi dell’azione, che l’NBA definisce con late (4-7 secondi) e very late (0-4 secondi), mentre quest’anno la percentuale è scesa al 13%. In più, quest’anno il 22.3% dei tiri arriva quando sul cronometro dei 24 secondi ne rimangono ancora 15-18 di secondi (l’Nba definisce questi tiri come “early” shots), primi nella lega in questa statistica, quando l’anno scorso erano 12esimi con il 17%. Amalgamate questi due fattori e capite il motivo per il quale Cleveland all’eye-test, al test visivo, sembra che corra molto di più rispetto alle annate sotto Bickerstaff.

Mobley è forse il giocatore che trae maggior beneficio da questa velocità: come richiesto dal suo nuovo allenatore, ogni volta che prende il rimbalzo deve essere lui a portare palla ed eventualmente a chiudere al ferro. Il suo 24.3% di usage in queste prime dieci partite contro il 20% dello scorso anno sta a significare anche questo, ovvero che ha licenza (in alcuni casi anche il dovere) di dover innescare l’attacco, senza dover per forza attendere che siano Garland o Mitchell a chiedere palla e a portare i compagni all’interno dei set offensivi. Un altro dato che mostra come Mobley sia coinvolto diversamente nell’attacco di Cleveland sono i pick&roll giocati, ma da palleggiatore: 2 di media a partita quest’anno contro lo 0.4 della scorsa stagione. I Cavs in queste situazioni usano spesso le guardie come bloccanti, aspetto che non solo aiuta l’ex USC, che può sfruttare i cambi difensivi avversari potendo quindi attaccare giocatori più piccoli di lui, ma che permette anche a tiratori come Mitchell e Garland di prendere conclusioni, spesso dall’arco, con maggiore spazio – e le stanno segnando rispettivamente con il 66.7% (su 2.1 tentativi) e il 48.5% (su 3.3 tentativi).

Proprio a Garland era stato richiesto in estate da coach Atkinson di essere più attivo lontano dalla palla, di rimanere coinvolto nell’azione nonostante non fosse lui a condurla, e in questo inizio il #10 sta dando riscontri positivi in questo senso, avendo poi la possibilità, insieme a Mitchell, di risolvere le gare più complicate nel finale. I 20.5 punti messi a referto a partita, così come il 52.4% dal campo, il 48% da tre punti e le 7.5 triple tentate sono tutti massimi in carriera, sintomo di un giocatore più responsabile con la palla in mano, costretto meno a forzare delle giocate per impattare, tanto da causare solo 2.6 palle perse a sera.

Per quanto riguarda Mitchell, invece, il premio di giocatore della settimana ad est parla per lui: non deve fare gli straordinari per portare i Cavs alla vittoria – a parte il tiro allo scadere nella prima delle due vittorie contro Milwaukee – avendo la possibilità addirittura di prendersi 2 conclusioni dal campo e 2.4 tiri liberi in meno a partita rispetto alla passata stagione, giocando meno di 30 minuti (nessun giocatore di Cleveland supera i 31 minuti di impiego medio a serata).

Altri due dati fondamentali per capire questo fantastico inizio di stagione della franchigia dell’Ohio sono il numero di penetrazioni e la percentuale dei tiri da tre punti. Anche quando Allen e Mobley sono in campo contemporaneamente – capita molto meno spesso di quanto ci si possa aspettare, con Atkinson che durante le gare intervalla l’impiego di un’ala grande come Niang per avere più potenza di fuoco dall’arco – le spaziature di Cleveland non sono mai schiacciate, chiuse, e questo permette di implementare il drive-and-kick game che tanto di buono sta portando in queste prime uscite. Le 55.9 penetrazioni a partita sono sette in più rispetto a quelle dell’anno scorso.

Garland attacca il ferro contro Hield, lo supera, chiamando l’aiuto di Green, il quale è costretto a lasciare la marcatura di Allen. Curry si ritrova quindi a dover scalare sul centro ex Brooklyn, permettendo a Okoro di aver tempo di ricevere – Wiggins non può aiutare più velocemente di così – e scaricare su LeVert, il quale mette una tripla difficile allo scadere sul recupero di Curry.

L’efficienza offensiva dei Cavs non è tuttavia solo quella dei titolari, ma anche (o forse soprattutto) di chi esce dalla panchina. Jerome, LeVert, Merill, Wade e Niang sono fondamentali per permettere alla squadra di rendere al proprio meglio anche con formazioni che vedono in campo, per esempio, solo uno tra Garland e Mitchell oppure solo una coppia tra Garland-Allen e Mitchell-Mobley. I 41 punti segnati, ma soprattutto il 127.4 di offensive rating e il 15.9 di net rating dei giocatori che subentrano per Atkinson consentono addirittura di aumentare il vantaggio acquisito dai titolari. La rotazione dell’ex assistente dei Warriors è fondamentalmente a 9, più qualche cameo per esempio di Porter, quindi quando rientrerà Strus dovrà sgomitare per riottenere i propri minuti sul parquet.

Donovan Mitchell prima dell’inizio di questa stagione aveva detto ad ESPN che questi Cleveland Cavaliers potevano essere una contender quest’anno. Vedremo se saranno una bolla o se continueranno a sorprendere in un’Eastern Conference in cui solo loro e i Celtics stanno riuscendo ad emergere: di certo, il miglior inizio di stagione nella storia della franchigia non glielo toglie nessuno.