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Dopo l’ultima vittoria contro i Miami Heat, il dato completo sull’andamento dei Los Angeles Clippers dall’arrivo di James Harden è di 17 vittorie e 10 sconfitte. Il “sotto-record” che ha però suscitato interesse ultimamente è il 12-2 delle ultime 14, che comprende una striscia di 9 vittorie consecutive. Senza lasciarci trascinare esageratamente dall’entusiasmo, è opportuno giudicare lucidamente questi nuovi Clippers, per tentare di promuovere una visione d’insieme e conseguenti aspettative realistiche.

I cambiamenti di Harden

Dopo un inizio poco promettente in quel di Los Angeles, Harden aveva chiesto pazienza per almeno 10 partite, prima di giungere a giudizi affrettati. A conti fatti, c’è da riconoscergli una certa dose di ragione, visto che la serie di vittorie è cominciata alla sua 14esima in campo.

Al momento, numeri alla mano, il suo impatto è stato decisivo, quantomeno a livello offensivo. Nonostante una sorprendentemente bassa Usage Percentage (24,5%, solo il 4° in squadra e dato più basso dal 2012), l’arrivo di Harden ha fatto sparire i dubbi circa i problemi di playmaking, di cui i tifosi Clippers sentono parlare dalla partenza di Chris Paul. In particolare, ha liberato Paul George e Kawhi Leonard di questo fardello, e ha consentito loro di ritrovare sé stessi nel loro ruolo offensivo naturale, quello di realizzatori e solo in seconda battuta di trattatori di palla, conservando maggiori energie per la fase difensiva, nella quale eccellono entrambi. Oggi i due si aggirano intorno al 16-17% per quanto riguarda la percentuale dei tiri assistiti dei compagni, valore ben più contenuto rispetto a quelli di passate stagioni, figli di forzature cestistiche a livello di ruolo.


Il favore risulta reciproco e l’Harden che abbiamo visto finora assomiglia poco a quello che monopolizzava l’attacco di Philadelphia a suon di pick&roll. Ovviamente non se ne sottrae, così come non si priva delle sue triple in step-back, ma evidentemente il fatto che il resto del capitale offensivo della squadra non si concentri su un lungo come Embiid ha generato una situazione diversa. Le capacità del Barba nel condurre il gioco a due non hanno fatto sì che quello stesso schema sostituisse tutto l’impianto offensivo precedente, piuttosto si sta affermando come arma in più. Se i Sixers soffrivano a volte contro difese organizzate a causa della loro prevedibilità e del fatto di dipendere così fortemente da uno schema troppo ripetitivo, i Clippers hanno più opzioni per creare vantaggio ed è più complesso generare un piano partita che possa annullarli.

Nelle clip, vediamo tre situazioni molto diverse fra loro in cui la presenza di Harden è determinante, dapprima con i tempi del passaggio per Zubac, poi con la paura: i Grizzlies temono la sua capacità di fornire un assist simile a quello della clip precedente e finiscono per dimenticarsi del taglio dal lato debole. Infine, con la gravity, che caratterizza Harden come pochi altri, tanto da far lasciare completamente solo uno come Paul George.

La rinascita di Kawhi

Il protagonista silente di tutto quello che passa per la sfonda Clippers di Los Angeles, nonostante tutto quello che si può dire su Harden, rimane Kawhi Leonard. È lui il catalizzatore dei loro successi, com’è stato dimostrato dalle due sonore sconfitte con Thunder e Celtics (soprattutto la seconda).

Il Leonard di quest’anno è un killer assoluto, che non si fa problemi ad abbandonare il palco per larghi tratti della partita, per poi emergere nei momenti decisivi, senza un palleggio, uno sguardo o persino un respiro di troppo. Ho sempre pensato che costringere Kawhi ad assumere un ruolo di leader convenzionale fosse tempo sprecato. Ora che Harden fa “rumore” per due, non gli è più necessario snaturarsi, e risultati sono tutti da vedere.

Un minor fardello offensivo si è inoltre tradotto in un rendimento senza precedenti in difesa. Ad oggi con Kawhi in campo i Clippers subiscono 12,4 punti in meno su 100 possessi, un dato che supera di gran lunga i suoi anni da DPOY. I suoi interventi sono spesso in sordina, ma solo per noi spettatori ignoranti, gli avversari se ne accorgono eccome. Nei minuti in campo, ora prevalentemente da ala grande, esprime ogni aspetto della sua duttilità, tiene i cambi come il post, e si è finalmente tolto quell’alone di semi pigrizia che sembrava averlo caratterizzato negli ultimi anni.

L’incognita Westbrook

I più attenti fra i lettori dell’articolo si saranno accorti della volontaria omissione dell’ex Thunder dai discorsi fatti finora. Così è perché, attualmente, Russell Westbrook rappresenta un discorso completamente distinto dagli altri “grandi nomi” dei Clippers. Pur non dandolo a vedere, e anzi spesso dichiarando il contrario nelle interviste, è nettamente il più in difficoltà, come dimostrato dal suo -13 di on/off, decisamente preoccupante. Più che il +6,3 in difesa (che accomuna tutta la panchina, come vedremo più tardi), preoccupa il -6,7 in attacco, che segnala la realizzazione delle preoccupazioni di noi tutti rispetto alla sua capacità negli ultimi anni di integrarsi in sistemi offensivi in ruoli non da protagonista.

Un’analisi appena meno superficiale rivela tuttavia che le difficoltà c’entrano molto con la presenza o meno di Harden. I quintetti che comprendono entrambi hanno finora registrato un differenziale negativo di 5,2 punti, e fanno soprattutto una fatica immensa in attacco, dove segnano 7,3 punti in meno della media di squadra. Osservando i due insieme, è evidente quanto l’adattamento non sia semplice. Rispetto ai tempi di Houston le dinamiche sono cambiate, ma entrambi sono rimasti poco avvezzi al gioco senza palla. Si vede troppo spesso Westbrook prendere tiri da 3 da terzo nel pick&roll perché il suo uomo si stacca per riempire l’area e impedire ad Harden di trovare la linea di passaggio per il lungo.

Nella clip si nota la facilità con cui gli Warriors sfruttano il 28% da tre di Westbrook per raddoppiare Harden. La sua scarsa pericolosità in quella situazione consente a Podziemski di non uscire. Tutto sommato la difesa non deve nemmeno entrare in rotazione, e il vantaggio creato dalla gravity di The Beard non si traduce in un attacco efficiente.

Si parla spesso, in sede di analisi, delle potenzialità di Westbrook da ricevitore in movimento, che sia in taglio o in altre situazioni dinamiche. I miglioramenti su questo fronte, però, tardano ad arrivare. L’attitudine del giocatore è sì cambiata, così come la sua voglia di contribuire in modi diversi rispetto al passato, ma nessuna delle sue (numerose) squadre è finora riuscita ad integrarlo efficacemente in un attacco a partire da situazioni “off-ball”. Con Harden oggi, come con LeBron ieri, le due opzioni sono rimaste dare la palla a Russell o lasciarlo nell’angolo ad aspettarla.

Un’idea potrebbe essere quella di inserire più azioni nelle quali sul lato forte ci sia un’iniziativa “credibile” di gioco a due, mentre sul lato debole gli altri tre giocatori si impegnino in blocchi e uscite per offrire a Westbrook una ricezione più dinamica. Il difetto di strategie come questa è la mancanza di pericolosità della ricezione statica, derivante della mancanza di raggio di tiro, per cui i difensori possono benissimo passare dietro ad eventuali blocchi e minimizzare il vantaggio ottenuto dai Clippers.

Fino a prova contraria, quindi, il duo Harden-Westbrook non funziona, e questo potrebbe fortemente compromettere le possibilità per il secondo di far parte delle “closing lineup”, lasciando invece il posto ad altri candidati, come Powell e Mann. Attenzione anche ad eventuali frizioni da spogliatoio: uno con il curriculum di Westbrook certo non apprezzerebbe l’essere escluso dai momenti decisivi (è già successo in stagione, ma la partita si giocherà ai Playoffs) ed è difficile immaginare che non si faccia sentire in qualche misura.

I “cinderella players”

Per evitare che la visione complessiva di una squadra nell’ottica della sua pericolosità si riduca unicamente all’elenco delle sue star, come spesso accade, è necessario conoscere meglio anche il resto delle rotazioni.

Norman Powell, dopo alcuni ottimi anni nel ruolo di realizzatore puro in squadre da metà classifica di Conference (Raptors, poi i Clippers senza Leonard), è giunto ora ad una nuova fase della carriera. In questa, ha accettato un ruolo più contenuto a livello di responsabilità offensive, giovandone in efficienza e reinventandosi come “jolly” della squadra. Il suo valore è particolarmente intrigante in ottica Playoffs, quando gli avversari dei Clippers certamente adotteranno sistemi difensivi atti a contenere i vari Leonard, George e Harden, ed è facile che Powell avrà il compito di punire i vari aiuti e raddoppi. Il quintetto Harden-Powell-George-Leonard-Zubac è attualmente, fra le lineup più utilizzate, nettamente la più efficiente.

Al momento, tuttavia, il giocatore che ha speso più tempo con il quartetto Harden-George-Leonard-Zubac (i 4 titolari inamovibili) non è né Westbrook né Powell: è Terance Mann. I cinque sono stati insieme in campo per 486 possessi, di gran lunga il primo quintetto per utilizzo, nei quali i Clippers hanno registrato un differenziale eccezionalmente positivo di +17,1.  È questa una scelta per certi versi più “conservatrice” per Lue, in quanto Mann non ha granché bisogno della palla in attacco e tende a fare i suoi (pochi) punti con tagli e giocate di lettura. Senza contare l’atletismo e la duttilità del giocatore, che consentono ai Clippers di avere in campo molti centimetri senza dover troppo temere sui cambi. I limiti offensivi permangono (Mann tira con il 19,5% da 3 quest’anno), ma possono essere parzialmente “nascosti” dagli altri in campo, se il suo ruolo a lungo termine rimanesse quello di 5° nel quintetto titolare, lasciando a Westbrook e a Powell il compito di leader offensivi della panchina.

Non potremmo mai dimenticarci di menzionare, infine, il caro vecchio Ivica Zubac, spesso identificato come il punto debole della squadra ma ancora centro titolare e giocatore fondamentale per gli equilibri offensivi e difensivi. In una Western Conference dominata da lunghi come Jokic e Towns, sarà fondamentale ancora una volta il contributo del centro croato.

Altri giocatori completano la rotazione, come Amir Coffey, molto positivo recentemente nel paio di partite in cui George è stato fuori, Kobe Brown, che sembra aver superato Hyland nelle rotazioni, e Daniel Theis, il quale al momento sta faticando così come PJ Tucker, che da un mese a questa parte è sostanzialmente fuori dalle rotazioni.

Tutti questi nomi al di fuori della “top 4” (Harden, George, Leonard, Zubac) tendono, come dimostrato dalle statistiche on/off, a faticare in difesa, o quantomeno a mantenere l’eccezionale standard dei titolari. Senza Leonard, in particolare, i Clippers subiscono circa 121 punti su 100 possessi, contro i 111 subiti in media. È evidente che a lungo termine questo sarà un problema che occuperà parecchio Lue, che provvederà probabilmente con un miglior sistema di distribuzione dei minuti.

Lo spettro degli infortuni

Abbiamo imparato, negli anni scorsi, a non prendere mai troppo sul serio i risultati positivi dei Clippers in quanto effimeri, sempre prossimi al successivo infortunio di Leonard. Non è particolarmente interessante soffermarsi troppo a speculare sull’eventualità che questo schema si ripeta. Possiamo però constatare, alla luce di quanto è stato detto finora, la rinnovata completezza della squadra, che ha già dimostrato di saper gestire meglio periodi brevi di assenza di George e Kawhi.

Con la speranza che ciò non accada, è impossibile ignorare che i successi dei Clippers verranno sempre interpretati con una certa dose di diffidenza – e comprensibilmente. Già qualche settimana fa era emerso un problema fisico non meglio definito per Leonard, salvo poi rivederlo in campo contro gli Heat nell’ultima.  

La trappola di Harden?

In extremis, vorrei incoraggiare chi legge ad una riflessione su questo inizio di James Harden. Il Barba si è distinto dal suo arrivo non solo per le triple in step-back, per gli assist o per le sue solite giocate, lo ha fatto anche in termini di leadership, di effort in difesa, di piccole cose. Ma in questo impatto pressoché immediato nel nuovo ambiente non c’è nulla di nuovo. A Philadelphia e Brooklyn questo film l’avevamo già visto, salvo poi diventare spettatori di tensioni e richieste di trade al sopraggiungere delle prime difficoltà. Dopo momenti di brillantezza e di eccezionale investimento di energie nella nuova squadra, è spesso succeduta l’incapacità di gestire l’impatto con i Playoffs e/o le assenze delle “co-star” (si pensi ad Irving).

Insomma, la valutazione di Harden e delle sue squadre nel breve periodo è spesso risultata fallace, e per questo non bisogna lasciarsi troppo illudere da questo momento di grazia – come non ci siamo fatti illudere al tempo della trade. Per una valutazione obiettiva bisognerà aspettare ulteriori sviluppi e probabilmente il termine della stagione. Per ora possiamo solo prorogare i termini della sua stessa richiesta: se non avevamo abbastanza materiale per giudicarlo per le sue prime 10 partite, non lo faremo, quantomeno non in modo esaustivo, nemmeno per queste ultime 14.