FOTO: Orange County Register

Dopo mesi di rumor e decine di trade paventate da ogni dove, a pochi giorni della deadline, i Los Angeles Lakers sono riusciti a liberarsi di quello che Dave McMenamin (principale giornalista di ESPN per la copertura della franchigia californiana) ha definito un “vampiro” per le energie dello spogliatoio, ovvero Russell Westbrook. In cambio di un asset sostanzialmente molto negativo, per concludere quella che in fin dei conti è stata una trade a 3 squadre (che ha coinvolto anche Timberwolves e Jazz), i Lakers hanno dovuto rinunciare anche ad una delle due future prime scelte a loro disposizione, ricevendo in cambio però un pacchetto di tutto rispetto, comprendente Malik Beasley, D’Angelo Russell e, soprattutto, Jarred Vanderbilt.

E proprio su quest’ultimo vogliamo concentrarci adesso, andando a vedere come un archetipo di questo tipo potrebbe contribuire nell’ultimo terzo di stagione, e quanto il suo impatto sia già stato evidente nelle prime uscite in maglia giallo-viola. 

La metà-campo difensiva 

Il primo aspetto che balza, evidentemente, anche all’occhio meno esperto è quello difensivo. Ala versatile di 6’9’’ con 7’1’’ di apertura alare, Vanderbilt è infatti in grado di muoversi sull’asse orizzontale con grande facilità, capacità che gli permette di switchare su quasi 5 ruoli in modo efficace, soffrendo solo quando accoppiato con guardie particolarmente “shifty”. Molta della sua efficacia on-ball è dovuta alla rapidità con la quale è in grado di ruotare il bacino, senza perdere equilibrio, anzi, mantenendo un controllo del corpo tale da permettergli di contestare il tiro in sospensione senza rischiare il fallo. 

Questa abilità si è vista in modo particolarmente lampante nell’ultimo match di Regular Season, nel quale, accoppiato con Brandon Ingram, lo ha costretto ad una serie di tiri ad altissimo coefficiente di difficoltà, navigando benissimo anche sui blocchi. Una differenza abissale, dal punto di vista di un tifoso Lakers, rispetto a quanto visto solo 2 settimane fa, quando sull’ex Duke era invece stato “costretto” Patrick Beverley. 

Qui, ad esempio, passa molto bene sul blocco di Valančiūnas e riesce comunque a contestare efficacemente il tiro di Ingram

In una squadra che, per molti minuti, sarà forzata a schierare due fra Russell, Beasley e Schroeder, non risulta impossibile – anzi, è fortemente probabile – che a Vanderbilt sia richiesto di marcare la prima opzione avversaria, qualunque sia il suo ruolo. Cosa che, fra l’altro, è già capitata a spot nella partita contro Golden State, dove si è più volte ritrovato su Jordan Poole.

Non solo di questo però si compone la difesa di Vando, anzi, la fattispecie in cui forse esperisce il massimo del suo impatto è quella off-ball, nella quale le sue doti fisiche risultano particolarmente evidenti, sia come roamer lontano dalla palla, sia come secondary rim-protector, skill che nelle lineup con Anthony Davis presente permette ad Ham di avere sempre un giocatore pace di garantire verticalità nei pressi del ferro. 

Rimbalzi e Dunker-Spot 

Un aspetto che poi lo caratterizza è il grande posizionamento a rimbalzo, sia difensivo che, ancor di più, offensivo. Essendo infatti molto spesso dislocato nel dunker-spot, posizione che occupa fra l’altro molto bene anche come finisher, è capace di sfruttare la sua grande reattività e verticalità per andare a recuperare, o perlomeno toccare, una grande quantità di palloni, nonché appunto di sfruttare i dump-off del penetratore per concludere con ottime percentuali, possedendo anche un discreto tocco nei pressi del ferro, seppur fortemente limitato dalla grande predominanza della mano sinistra. Un particolare non indifferente da questo punto di vista è la sua abilità nell’uso delle finte. Sia chiaro, non stiamo parlando di nulla di particolare o di chissà quali giochi sul perno, ma va comunque notato come non si stia parlando di un giocatore che in quella posizione perda di lucidità e vada a fare metaforicamente a cornate con il ferro. 

Qui sfrutta le attenzioni attratte da Anthony Davis per arrivare in corsa e convertire un non banale tap-in

Glue Guy offensivo 

In attacco la caratteristica che sicuramente ha impressionato di più chi non era particolarmente avvezzo al suo gioco è stata sicuramente la capacità di lettura nelle situazioni di short-roll. Jarred è infatti capace di letture tutt’altro che banali, riuscendo molto spesso a pescare sia l’uomo nell’angolo opposto, sia il lungo nei pressi del ferro od un tagliante. Non voglio essere iperbolico, non sarebbe corretto aspettarci delle doti da novello Draymond Green, ma alcune cose viste in queste prime uscite, specialmente nelle lineup con LeBron e/o Russell, hanno fatto alzare obiettivamente più di qualche sopracciglio. Ovviamente per ricevere questo tipo di palloni è necessario bloccare in una determinata maniera, e anche in questo Vanderbilt dà assolutamente il suo contributo.

Raramente lo si vedrà utilizzare il fisico in modo impalpabile – il che, in una squadra che vanta (finalmente) dei tiratori rispettabili, è di fondamentale importanza anche nelle decoy action.

Transizione

I Lakers sono una delle squadre con il pace più alto della lega, stabilmente in top-5 da inizio stagione, dato fisiologico per una squadra che ha faticato enormemente a generare attacco a difesa schierata. L’idea di correre è connaturata a questa squadra e Jarred si inserisce perfettamente anche in questa scia, essendo infatti in grado sia di spingere la transizione in prima persona dopo aver recuperato un rimbalzo, che di seguire l’azione in via secondaria, per concludere, ma non solo, eventualmente anche  recuperando un errore del compagno, cosa avvenuta già una manciata di volte nei minuti che ha fino ad ora trascorso con la nuova maglia. 

Arriva in transizione secondaria e, notando l’area libera, attacca rapidamente il difensore più piccolo

Il fit con James e Davis 

Credo sia inutile e fuorviante citare dei numeri quando il sample di riferimento è così infinitesimale, tuttavia pare evidente dall’eye-test come il suo gioco si complementi molto bene con entrambe le superstar di riferimento. Nei quintetti “lunghi”, infatti, la sua versatilità nel giocare lontano dalla palla gli permette di svolgere qualsiasi compito gli venga di volta in volta richiesto, mettendo inoltre enorme pressione fisica a rimbalzo e garantendo una lineup con stazza e lunghezza non indifferenti a livello difensivo.

Mentre, quando in campo con il solo James + 3 esterni, può tranquillamente svolgere le veci di un simil-Davis, andando ad alzare il ritmo e fornendo quel boost difensivo necessario ad una lineup del genere, potendo fungere, come detto, sia da protettore del ferro che da difensore POA (se serve una mano con i termini, QUI il nostro glossario). 

Empty-corner action fra Beasley e Davis con Russell che piazza un flare per LeBron, difesa pigra ma idea ben sviluppata

Leggendo queste riche potreste pensare che i Lakers abbiano, con poco più di un minimo contrattuale, trovato il salvatore della patria e la guida verso la terra promessa, in grado di portarli al titolo. Chiaramente non è così. Vanderbilt è ancora un giocatore con enormi limiti offensivi, soprattutto al tiro, e non sarebbe né legittimo, né corretto, aspettarsi da lui un contributo che non sia quello di un role player, seppur potenzialmente di alto livello.

D’altro canto non è un caso che abbia messo una decina di minuti a convincere sia i tifosi (che ormai l’hanno eletto fan-favourite, titolo che vale quel che vale per un giocatore dei Lakers, ma comunque meglio di nulla ndr.), che soprattutto Ham, il quale lo ha immediatamente, insieme agli altri nuovi arrivati, inserito in quintetto ed utilizzato in quasi tutti i momenti chiave delle partite.