Storia della più bassa seed a vincere il torneo NCAA, e di una delle università più iconiche del college basketball statunitense.
Gli economisti di tutto il mondo – e con loro chiunque si sia interessato anche solo marginalmente della crisi del 2008 – sono ormai da un quindicennio assolutamente avvezzi al concetto di too big to fail, ovvero a quell’idea di economia politica per cui certe aziende vadano salvate dai loro debiti ad ogni costo, pena il crollo del sistema. Nella pallacanestro collegiale il concetto non è, evidentemente, applicabile: il pubblico vive per vedere fallimenti e upset e a perdere soldi nell’inevitabile gioco al massacro che si succede ogni marzo sono unicamente i più accaniti scommettitori, decisamente non un perno su cui si regge il sistema. A volte, tuttavia, sembra avverarsi per il torneo NCAA il discorso opposto. Ci sono squadre che, nonostante le belle storie e le vittorie illustri, sembrano essere destinate a spegnersi entro la fine del torneo, in modo da lasciare spazio alle big non ancora bruciate e dirette alla vittoria finale. Il sistema, quindi, ha come perno team che sono too small to succeed, belle favole che non devono mai arrivare a compimento. A volte, tuttavia, un glitch irrompe anche nel perfetto e machiavellico regolamento universitario, permettendo, grazie ad un mese da campioni, anche a università minori di andare a sfidare dei giganti, vincendo. Il caso di Villanova University, vincitrice del titolo universitario nel 1985, è forse il più emblematico di questi errori di calcolo. Come altro si può definire, infatti, un match in cui Rollie Massimino batte John Thompson o in cui Dwayne McClain ed Ed Pincnkey giganteggiano sulla futura prima scelta assoluta Patrick Ewing? Di seguito, quindi, uno dei più bei errori che la March Madness ci abbia mai regalato.
I protagonisti: Rollie Massimino, Ed Pinckney, Harold Pressley, Villanova
Sebbene quella della squadra del 1985 sia la classica storia di underdog, non sarebbe corretto definire in questo modo la storia dell’ateneo di Villanova. Università cattolica fondata nel 1842 dall’ordine di Sant’Agostino, il college della Pennsylvania aveva fin da subito – come quasi ogni istituzione del New England cattolico – guardato al basket con enorme interesse. Già nel 1920, infatti, era nato il programma cestistico, celebrato con una vittoria nella gara inaugurale per 43-40 contro Catholic University of America, mentre nel 1939 erano arrivate, sotto il leggendario coach Al Severance, le prime Final Four della storia della franchigia (e anche della storia del college basketball). Nonostante i successi e la presenza di diversi giocatori di alto livello (tra cui Paul Arizin, con Kenny Sailors tra gli inventori del jumpshot), i Wildcats non riescono a mettere mai a compiere quel salto di qualità necessario.
Nell’aprile 1961, quindi, si tenta una rivoluzione. Severance, dopo 25 anni da capo allenatore (per capirci, dalle leggi di Norimberga alla presidenza Kennedy) decide che “è un buon momento come qualsiasi altro per mollare”, venendo sostituito in panchina da Jack Kraft, allenatore di high school locale dallo stile decisamente caustico, tanto da venir subito deriso dall’influentissimo The Villanovian, giornale a conduzione studentesca dell’ateneo. Nonostante le prime difficoltà, l’allora quarantenne newyorchese porta una nuova linfa all’ateneo cattolico, raggiungendo il Torneo per la prima volta in sette anni nel 1962 e poi per quattro anni di fila tra il 1969 ed il 1972. Proprio nel penultimo anno di questa piccola epopea, Villanova era riuscita ad arrivare per la prima volta nella propria storia all’atto conclusivo.
Gli avversari della finalissima del 27 marzo 1971, tuttavia, erano tutt’altro che comodi: di fronte ai ‘Cats si presentavano infatti gli UCLA Bruins di John Wooden, reduci da una stagione di flessione (28-1) rispetto ai quattro anni precedenti, tutti conclusi con la vittoria del trofeo. Nonostante le previsioni di una umiliazione senza appelli, la partita è molto combattuta e termina con il risultato di 68-62 per i californiani. La soddisfazione per un’ottima annata, testimoniata dal titolo a tutta pagina “Wildcats do Nova proud”, del “solito” The Villanovan dura tuttavia ben poco.
Il 18 giugno, infatti, l’ateneo si trova costretto a rinunciare ai risultati sportivi ottenuti nell’annata precedente a causa di un presunto accordo con la ABA già firmato da Howard Porter, stella della squadra. Le regole sul professionismo sono all’epoca molto più stringenti rispetto a oggi, e l’università si ritrova quindi costretta dalle circostanze a restituire i 66.000 dollari guadagnati per il secondo posto e a vedere un asterisco di fianco alla propria stagione. La penalità incrina parzialmente il rapporto con Jack Kraft, che conclude nel 1972 la propria esperienza sul pino dei Wildcats. Al suo posto arriva dall’odiatissima University of Pennsylvania Roland Vincent “Rollie” Massimino, ex-guru delle high school del New England, nei due anni precedenti assistente di Chuck Daly. Si tratta di un allenatore giovanissimo, 38 anni all’epoca della nomina, preparatissimo (si sprecano i master e i riconoscimenti presi prima ancora di iniziare la carriera liceale) e tipicamente italoamericano. Alla durezza di Daly, infatti, Massimino aveva risposto creando un rapporto quasi fraterno con i giocatori, come ricordano gli stessi protagonisti di quel biennio.
“Negli ultimi due anni mi sono abbastanza stancato della pallacanestro. Ma quest’anno no, coach Massimino è un tipo capace di venire a giocare a carte nella tua camera alle due di notte. È un uomo super.”
– Alan Cotier
“Il mio assistente, Rollie Massimino, disegna alcune delle nostre difese, è un uomo dall’inventiva super.”
– Chuck Daly
Chiamato da Villanova, Rollie inizia subito a ingraziarsi il difficile pubblico dei ‘Cats, da sempre portatori di un alternato complesso di inferiorità e superiorità verso i rivali di Penn, con parole al miele in grado di ammansire una scuola in rivolta per le vicissitudini dei due anni precedenti.
“Cercavo una scuola che fosse al livello di Penn sportivamente e educativamente.”
– Rollie Massimino
Anche in campo, l’effetto-Rollie sembra vedersi quasi da subito. Dopo un paio di stagioni interlocutorie, la squadra abbandona nel 1975 il proprio status di indipendente, affiliandosi alla più competitiva – e remunerativa Big East Conference; insieme a loro, passano alla nuova istituzione anche Georgetown e Syracuse, due delle rivali storiche di Nova.
Nel 1978, quindi, i Cats erano tornati in tabellone al Torneo, mentre tra il 1982 e il 1984 la squadra aveva cominciato ad avere un successo continuativo, sfiorando l’accesso alle Final Four. Villanova era quindi vista dalla critica come una squadra forte ma non fortissima, un’eterna piazzata lontana dalle partite che contano. I dubbi avvolgevano anche le tre stelle della squadra, frutto di un’instancabile campagna di recruiting dello stesso Massimino.
Nel 1981, dopo aver corteggiato per un’estate intera Patrick Ewing, infatti, Rollie aveva dovuto ripiegare su un trittico di talento cristallino, ma meno quotato, formato dall’eclettica guardia Gary McLain, dall’ala Dwyane McClain e dal centro Ed Pinckney. Ai tre – noti con l’eloquente soprannome di “Expansion Crew” – si era poi aggiunto nel 1983 Harold Jensen, guardia tiratrice di classe purissima attanagliata da continui problemi comportamentali. Proprio nei suoi confronti, Rollie raggiungerà i livelli più alti del proprio coaching, costruendo il successo per la stagione 1984/85.
“Coach Mass è un motivatore tremendo. Era un maestro nel creare una squadra da un gruppo di individui. (…) era un allenatore veramente dinamico, ma anche una persona accogliente.”
– Harold Jensen
La stagione: building an underdog
La stagione 1984/85 comincia con le migliori delle premesse per i Wildcats, che vincono nove delle prime dieci partite e si ritrovano seeded dalle principali agenzie già il 12 gennaio. Proprio il primo mese del nuovo anno, tuttavia, porta difficoltà impellenti per Nova, stremata dalle forti scelte di Rollie per la rotazione, che vede cinque giocatori con oltre 25 minuti a partita e ben 7 su 14 sotto i 7 minuti. Villanova rimedia in un mese ben cinque sconfitte contro le rivali di sempre Georgetown e St. John’s, ritrovandosi ad affrontare l’ultima sfida di stagione regolare con il poco lusinghiero record di 18-8 (9-6 nella conference). L’ultima partita, contro Pittsburgh, è quindi decisiva per approcciarsi con tranquillità alle selezioni per il Torneo NCAA. I ragazzi di Massimino, tuttavia, sembrano fin dalle prime battute distratti e poco concentrati. L’intervallo vede i ‘Cats sotto di diverse lunghezze, e produce una delle rare – ma sempre serissime – sfuriate di coach Mass.
“Stavamo perdendo malamente contro Pittsburgh all’intervallo. Ho detto a tutti che avrebbero avuto cinque minuti per mostrarmi come sapevano giocare nel secondo tempo, altrimenti li avrei tolti.”
– Rollie Massimino
La sfida si conclude con un pericoloso blowout a favore di Pitt (62-85) con ben 17 minuti di fila giocati dalla second unit. Le prospettive non migliorano di certo nel torneo della Big East, con Nova sconfitta ai quarti di finale da St. John’s per 89-74. Il giorno degli annunci del tabellone, quindi, diventa fondamentale: Villanova è una squadra al limite e deve sperare nella bontà del selection committee. Ad essere più nervosi sono soprattutto i tre seniors della squadra, consci del fatto che, in assenza di una chiamata al Torneo, Rollie non avrebbe avuto alcuna intenzione di partecipare al meno prestigioso NIT, chiudendo nei fatti la loro carriera collegiale. Proprio durante gli annunci, tuttavia, la squadra si rende conto di aver omesso dalle proprie macchinazioni sul futuro un dettaglio fondamentale.
“Nessuno di noi si era ricordato che avevano ampliato il tabellone da 53 a 64.”
– Ed Pinckney
Villanova, nonostante l’annata mediocre, sfrutta quindi l’aumento del numero di squadre ammesse, trovandosi a sorpresa dentro le prescelte come testa di serie numero 8 della propria zona di tabellone. La prima fase della zona Southeast si sarebbe giocata a Dayton, in Ohio, contro i quotatissimi padroni di casa. Per il torneo, coach Mass è conscio di doversi inventare qualcosa di speciale per superare l’evidente impasse che affligge da mesi la propria squadra. Nonostante le difficoltà, tuttavia, l’allenatore di origini italiane mantiene un approccio più che ottimistico.
“Una delle cose che ha fatto coach Mass durante il Torneo, secondo me geniale, è stata quella di non darci mai la sensazione di essere in una situazione di svantaggio. Voleva che fossimo contenti, e che la vedessimo come un’opportunità. Ne parlava sempre come di una ripartenza, di una nuova stagione.”
– Harold Jensen
A venire in soccorso alle sue magagne tecniche, come a tutti i grandi strateghi difensivi dell’epoca, è una regola decisamente anacronistica. Il 1985 è infatti l’ultimo torneo che da giocarsi senza la regola dei 24 (o 30, nel caso collegiale) secondi. Una squadra talentuosa ma decisamente fiaccata dalla stagione come Nova, quindi, può abbassare il ritmo a piacimento, contando in difesa su fallo sistematico e fisicità accentuata.
La prima applicazione della norma si ha già durante il match inaugurale del Torneo, proprio contro Dayton. A due minuti e trenta secondi dalla fine, i Wildcats hanno la palla sull’insperato risultato di 49 pari. Pinckney e compagni mantengono il possesso per oltre un minuto e mezzo, trovando infine un passaggio comodo per Harold Jensen, che appoggia al vetro il 51-49. Dayton avrebbe ancora tempo per far scorrere il cronometro e tirare per il pareggio, ma Sedric Toney, stella della squadra, sbaglia il tiro della speranza. Il secondo turno vede i Wildcats affrontare Michigan, prima seed della zona Southeast e tra le favorite al titolo. I giocatori dei Wolverines, tuttavia, hanno dovuto affrontare una strada più facile per arrivare al titolo, e sono in generale più inesperti dei Cats, forgiati da un ciclo ormai al termine e dalla scelta, fortemente voluta da Massimino, di giocare in una conference più competitiva.
“Michigan aveva forse un senior e il resto dei giocatori era più giovane. (…) Sono tutti giovani, quindi noi pensiamo: ‘Come ci possono battere?’. Guardavamo la squadra e dicevamo: ‘Ma questi non hanno Roosevelt Bouie, non sono Parick Ewing, non hanno chances’. Ci sentivamo così: ‘Siete forti ma siete freshmen, non avete idea di come sia questo torneo’.“
– Ed Pinckney
Nonostante la sicumera della vigilia, la partita è in realtà tiratissima. Michigan raddoppia sistematicamente Pinckney, autore di 20 punti su 51 di squadra nella sfida precedente. A salire in cattedra è quindi McClain, che chiude la sfida con un ventello e 8/12 al tiro. Nonostante zero punti nei primi otto minuti del secondo tempo, Nova riesce a capitalizzare l’ottima prima frazione, trovandosi sopra di tre punti a quattro minuti dalla fine. Massimino segnala allora di far scorrere il tempo.
“Tutti i coach hanno un segnale per la propria squadra per far capire che si sentono fiduciosi del fatto di poter far andare la partita nel verso giusto. Massimino diceva a Gary (McLain, playmaker) ‘ne abbiamo avuto abbastanza’. Gary allora faceva rimbalzare altissimo la palla alzando contemporaneamente le mani, e quello era il segnale. Penso che non abbiamo mai perso una partita dopo il segnale.”
– Ed Pinckney
La partita si conclude con il risultato di 59-55, con Massimino che si presenta ai microfoni del dopogara per rimarcare in maniera eloquente “meno male che non c’è ancora il cronometro.”. Nei festeggiamenti per il passaggio alle Sweet Sixteen, vero grande obiettivo di tutte le partecipanti al Torneo, c’è anche il tempo per trovare un portafortuna, unica costante di tutte le run di college basketball. Si tratta di Jake Nevin, preparatore atletico da qualche tempo affetto da SLA, che da quel momento fungerà da ispiratore e motivatore dei giocatori.
Fasi Finali: “We never lost…”
“Non abbiamo mai perso una partita di Sweet Sixteen per entrare alle Elite Eight.”
– Rollie Massimino
In questa frase, pronunciata ai giornalisti durante lo spostamento da Dayton a Lexington, dove si sarebbero tenute le due sfide successive, c’è tutto Rollie Massimino, figlio di un calzolaio siciliano venuto in America a cercare fortuna e allo stesso tempo coltissimo educatore capace di manipolare stampa, tifosi e giocatori.
La retorica, tuttavia, sembrerebbe essere l’arma della disperazione per Mass. Da affrontare nelle famigerate Sweet Sixteen c’è infatti la Maryland di Len Bias, capace già in regular season di imporsi contro i ‘Cats in maniera ben più netta di quanto dica il 77-74 finale. Proprio Bias, infatti, aveva fatto segnare in quella partita il proprio record di punti, umiliando in diretta nazionale un malcapitato Mark Plansky, freshman di belle speranze lanciato da Rollie in quell’occasione e apostrofato per tutta la partita dalla stella avversaria come “quel bianco che mi sta marcando.”.
Memore dell’umiliazione precedente, Rollie organizza intorno alla stella avversaria una difesa di contenimento in grado di tenerlo a soli otto punti con tredici tiri. Nova vince con un risicatissimo 46-43 e, ancora una volta, non perde una partita per andare alle Elite Eight, dove affronterà la prima versione dei UNC Taar Heels dalla scelta al Draft di Michael Jordan. L’assenza delle grandi stelle dei campionati passati (Jordan stesso, ma anche Daugherty, Kenny Smith e James Worthy) rende il congiunto biancazzurro decisamente meno spaventoso rispetto alle annate precedenti. Massimino, poi, continua la sua opera di normalizzazione, protestando come un attore consumato alla vigilia della sfida.
“Non capisco perché abbiano dato a Dean Smith lo spogliatoio più grande.”
Il primo tempo, tuttavia, è uno strazio cestistico. I Wildcats chiudono la frazione sotto 22-17 e tenuti in piedi da una difesa tanto agonica quanto eroica. Il 6/26 dal campo, tuttavia, non può piacere a Daddy Mass (questo il soprannome dato al coach durante il torneo), che entra negli spogliatoi e si lascia andare ad un’altra delle sue – sempre meno rare – sfuriate. Bypassando completamente il solito conciliabolo con gli assistenti, l’allenatore inizia a urlare ai suoi giocatori.
“Ehi, se non avete voglia di andare alle Final Four a me sta bene, mica è la fine del mondo. Ma sapete cosa vorrei io? In questo momento vorrei mangiarmi un bel piatto di pasta ai calamari invece di stare qui.”
I giocatori capiscono l’antifona, chiudendo virtualmente la sfida con un parziale di 26-11. Mattatore della serata è ancora Jensen, che segna otto punti decisivi e torna a sbloccarsi dopo non aver messo nemmeno un tiro dalla prima partita contro Dayton. Il risultato finale dice 56-44, Villanova è alle Final Four, e ha completamente dismesso il proprio ruolo di imbucata.
Final Four: il trionfo
Il lungo weekend delle Final Four rappresenta per Nova l’epitome di una stagione fenomenale. Di fronte a loro, infatti, si trovano alcune delle corazzate preminenti del college basketball dell’epoca: la Memphis di Keith Lee (prima avversaria) e, dall’altra parte, la vincente delle due grandi rivali di conference: St. John’s e Georgetown. Tre squadre di una conference in una Final Four certificano la difficoltà della schedule, pur traballante, di Nova, anche perché, come ripeterà Massimino per tutta la vita:
“Avremmo fatto quattro su quattro se Memphis non avesse avuto la run della vita.”
La scuola, nel frattempo, è in assoluto fermento. Migliaia di tifosi accolgono il rientro dalla Elite Eight, caricando ulteriormente i giocatori. L’entusiasmo, tuttavia, si spegne all’arrivo a Lexington, sede della partita. La carenza degli alberghi non permette ai ‘Cats sistemazione migliore del non eccelso Ramada Inn, mentre in diversi eventi promozionali campeggiano colori sinistramente somiglianti a quelli di North Carolina, ulteriore segno di un cambio all’ultimo momento. Al check-in, poi, tifosi di Memphis cercano di prenotare le stanze di albergo riservate all’ateneo di Philadelphia in modo da “stare più larghi, tanto da domani loro non saranno qui.”
Massimino decide allora di smorzare ancora una volta le tensioni che si vanno creando. Lascia libertà assoluta ai suoi giocatori, aprendo gli allenamenti a 8/9mila tifosi, ed evita di imporre un controllo eccessivo ai propri ragazzi. A giovarne sembra essere soprattutto Gary McLain, che chiude con 9 punti la vittoriosa semifinale, guidando il gruppo dalla posizione di playmaker. Gli occhi, tuttavia, si rivolgono sin dagli ultimi istanti del proprio match a cosa sarebbe successo di lì a poco, con Georgetown che batte St. John’s. Dallo spogliatoio di Villanova, arriva in coro un sospiro di sollievo: nonostante la difficoltà, sono gli avversari sperati.
“Chiedi a chi vuoi, volevamo Georgetown.”
– Rollie Massimino
I giorni di vigilia, nonostante questo piccolo traguardo, rimangono durissimi. I giornali locali scrivono di come Georgetown, campione in carica, avrebbe sonnecchiato verso il titolo. La mattina della partita, poi, arriva una notizia inaspettata. Al Severance, l’uomo che aveva creato il basket a Villanova, era morto. L’ambiente, pur ormai lontano dal vecchio coach, è scosso e Massimino si sente in dovere di utilizzare anche questa mistica per dare forza ai propri ragazzi.
“Tranquilli, è in paradiso che toglie i tiri dal nostro ferro. Ora andate a riposare, e sognate di tagliare retine.”
Per la stampa, tuttavia, si presenta più abbottonato:
“Faremo il nostro meglio, ma potrebbe non essere abbastanza.”
La partita è tesissima, e il primo tempo si conclude con il risultato di 29-28 per Nova, capace di segnare tredici dei diciotto tiri tentati. Anche in regular season, tuttavia, le prime frazioni erano state favorevoli ai Wildcats, con gli Hoyas sempre in grado di rimontare. Alla fine del tempo, poi, c’era stata anche una piccola spinta ai danni di Everson, che aveva fatto infuriare coach Mass:
“Non ci avranno con queste intimidazioni di merda, chi c***o pensano di essere? Credono che li lasceremo passare? Non succederà!”
Il secondo tempo segue assolutamente la linea dettata dal coach di origine siciliana. Villanova segna nove dei dieci tiri tentati, chiudendo la partita con oltre il 78% dal campo, vincendo 66-64. Il canestro del sorpasso definitivo qualche minuto prima? Ovviamente di Jensen, il figlio prediletto (se non si considera il walk-on Massimino, mai in campo, ma di cui dovreste capire le origini familiari). Villanova ha vinto, il primo aprile, il proprio primo titolo NCAA, da seed numero otto, la più bassa a riuscirci. Quasi uno scherzo, ma una bellissima realtà.
Aftermath: dove sono ora?
La vittoria, insperata, cambia decisamente il carattere di Rollie Massimino, ormai celebrità nazionale. Nel 1987, il Philadelphia Inquirer, mai troppo tenero, lo definisce un “bravo vincitore, ma un perdente dispettoso”. Nel 1992, quindi, lascia Villanova per UNLV, venendo succeduto in serie dal suo primo e secondo assistente, Steve Lappas e Jay Wright. Avrà ancora tempo a fondare, a settant’anni, un programma di pallacanestro nella piccola università di Northwood, in Florida, e a vedere il secondo, drammatico, titolo di Nova nel 2016, prima di morire per un cancro. La prima batosta, tuttavia, era arrivata già qualche anno prima, quando McLain, il suo playmaker, aveva confidato a Sports Illustrated di aver giocato la semifinale contro Memphis dopo aver abusato di cocaina. Non ha più giocato un minuto di pallacanestro dopo la finale ’85.
Il suo quasi omonimo, l’ala McClain, ha invece avuto una carriera da giramondo. Dopo una prima stagione agli Indiana Pacers, che lo avevano selezionato al secondo giro del Draft, è diventato una stella in Australia e nel campionato francese. Unico ad avere un posto continuativo nella Lega è invece Ed Pinckney, MOP della Finale. Tra i suoi vari vagabondaggi per la NBA, spicca un incontro con Pat Riley, suo allenatore all’epoca del periodo di entrambi ai Miami Heat. Prima ancora di salutarlo, Pat avrebbe chiesto: “ma cosa vi ha detto Mass all’intervallo di QUELLA partita?”, trovando nel proprio giocatore un inopinato segreto professionale. Oggi, Pinckney ha alle spalle una lunga carriera da assistente allenatore, cominciata proprio a Villanova. Al momento di mandare il proprio figlio a giocare, tuttavia, non ha avuto dubbi: Northwood.
Harold Jensen, scelto al sesto giro del Draft 1987, ha all’attivo soltanto un paio di stagioni con i Philadelphia Aces, nella USBL. Oggi è un consulente finanziario. Pressley, l’altro titolare, è invece una leggenda del Badalona, dove è approdato dopo qualche anno di buon livello ai Sacramento Kings. Mark Plansky, il freshman, ha invece concluso la propria carriera a Livorno, nel 1991, senza particolari acuti.
Tutti, comunque, rimangono legati a quella che PJ Carlesimo, all’epoca allenatore di Seton Hall, ha definito: “la partita più vicina alla perfezione che si potesse giocare.” Se ancora oggi esiste una Villanova culture, quindi, è merito di un gruppo che era troppo piccolo per vincere, ma ha vinto lo stesso.