
Questo contenuto è tratto da un articolo di Mike Cortez per The Knicks Wall, tradotto in italiano da Niccolò Scquizzato per Around the Game.
La carriera di Carmelo Anthony ai New York Knicks è stata ricca di grandi momenti e va ricordata con affetto.
Melo è stato scambiato il giorno del mio compleanno. È stato il regalo di compleanno più dolce che un fan dei Knicks all’epoca potesse mai chiedere. Per la prima volta nella mia vita da adulto, i Knicks disponevano di due stelle di alto livello, e Melo era proprio una di queste e colui che mi aveva fatto innamorare della pallacanestro.
Il mio primo ricordo vivido della pallacanestro è il noto lob tra Shaq e Kobe, insieme ad alcuni vaghi momenti di Patrick Ewing, Latrell Sprewell e Allan Houston. Ai tempi delle NBA Finals del 1999, ero più interessato a giocare con le Tartarughe Ninja piuttosto che analizzare una partita di basket.
Il mio amore per il gioco è arrivato solo nel 2003, quando Carmelo Anthony ha guidato i Syracuse Orange al titolo nazionale (la storia QUI). Ciò che ha reso il campionato così speciale, oltre al fascino di casa, era il fatto che Carmelo fosse portoricano.
Non so se fosse solo la mia ansia o se anche altri si sentissero allo stesso modo, ma il me undicenne si sentiva un estraneo a guardare e a godersi la pallacanestro. Crescendo, gli sport portoricani tradizionali erano il baseball e la boxe, dove c’erano Bernie Williams, Tito Trinidad e prima di loro Roberto Clemente Wilfredo Gomez. Non c’erano portoricani nella pallacanestro.
Fu così che mi sono legato a Carmelo Anthony. Guardare uno dei miei connazionali dominare nel basket universitario mi ha fatto guarire dalla sindrome dell’impostore. Dal 2003 in poi, mi sono goduto Kobe, ho imparato la grandezza di MJ e ho ammirato il dominio di Shaq. Ma i miei due giocatori preferiti sono sempre stati LeBron James e Carmelo Anthony.
Passiamo subito a sette anni dopo. I Knicks hanno vanificato ogni possibilità di ottenere LeBron, il che significa che tutte quelle spudorate sconfitte e lo sfoltimento del roster non sono serviti a nulla. Al posto di LeBron, ho dovuto convivere con Danilo Gallinari come miglior giocatore della mia squadra. Amar’e Stoudemire ha salvato i tifosi dei Knicks da questa situazione. Adoro Gallo come chiunque altro, ma se questo è il miglior giocatore della tua squadra… accidenti!
C’è stato il brindisi di Chris Paul nel giugno 2010 [al matrimonio di Melo, ndr], che prometteva un big three composto da lui, Amar’e e Carmelo. Amar’e ha fatto la sua parte utilizzando tutta la sua barra del turbo (insieme alla cartilagine rimasta del suo ginocchio) per riportare i Knicks alla ribalta. Il sacrificio di S.T.A.T. non dovrebbe mai passare in secondo piano. È stata proprio la sua incredibile partenza all’inizio della stagione 2010-11 a rendere possibile l’arrivo di Carmelo.
La pazienza di Carmelo, o per alcuni la sua mancanza, è costata ai Knicks un’occasione per ottenere Point God, che non sarebbe andato sul mercato fino al 2012. Se Anthony avesse aspettato la fine del lockout, i Knicks avrebbero potuto utilizzare tutti i loro asset per Paul. Ma per la gente è molto più facile parlare dei soldi degli altri. Carmelo non ha voluto aspettare l’ignoto. Anche se l’affare è diventato un argomento polarizzante, lo scambio in sé è stato positivo. Le mosse fatte dai Knicks dopo lo scambio, invece, non sono state altrettanto buone.
Melo è stato ottimo fin dall’inizio. Tornato a casa a New York, il nativo di Red Hook si è messo in gioco per la sua città. Mentre la squadra aspettava di ricostruire intorno a Carmelo durante l’estate, lui ha raccolto il testimone da Stoudemire, in corsa per portare i Knicks ai Playoffs per la prima volta dal 2004.
Durante il primo turno contro i Boston Celtics, la squadra ha scoperto di quanto aiuto avrebbe avuto bisogno Carmelo per dare una svolta alla situazione. Un triste tema ricorrente per Stoudemire a New York è stato quello di mancare ad ogni possibile serie Playoffs a causa di bizzarri infortuni; in questa serie si è trattato di una distorsione alla schiena durante il riscaldamento pre-partita.
Il one-man show ha quasi funzionato in Gara 2. Carmelo ha fatto a pezzi la difesa dei Celtics in quella che si è rivelata essere la sua migliore prestazione nei Playoffs a New York, grazie a una partita da 42 punti, 17 rimbalzi e 6 assist nella sconfitta di soli tre punti il 19 aprile 2011.
Il problema è che il secondo violino di quei Knicks era Toney Douglas, che ha aggiunto solo 14 punti con il 31,3% al tiro. La serie si sarebbe conclusa con uno sweep, con il big three dei Celtics alle prese con i loro ultimi anni di competitività prima dell’imminente regno di LeBron.
Proprio come Jordan era il blocco che Ewing non avrebbe mai superato, LeBron lo è stato per Carmelo, solo che LeBron non si è fermato a metà carriera per giocare a baseball. I suoi Miami Heat hanno dominato l’Est durante i migliori anni dei Knicks sotto Carmelo, spazzandoli via nella post-season del 2012. Il peak di LeBron ha sfortunatamente coinciso con quello di Carmelo.
Una cosa che LeBron non potrà togliere è l’anno d’oro di Carmelo e dei Knicks. Prima di questa stagione sotto la guida di Jalen Brunson, il 2012-13 è stata di gran lunga la stagione più divertente dei Knicks dagli anni Novanta. In quella stagione, Carmelo ha rivendicato il Madison Square Garden come casa sua.
Il momento della firma sarebbe stato solo uno dei tanti grandi momenti di quella stagione. Quell’anno Carmelo ha vinto il titolo di miglior marcatore della lega, J.R. Smith è stato premiato con il Sesto Uomo dell’Anno e i Knicks hanno vinto 54 partite – ad oggi il più alto numero di vittorie dal 1997 – assicurandosi la seconda testa di serie a Est.
Nel primo turno di quella post-season, Carmelo e i Knicks si impongono sui Celtics prima che J.R. abbia la possibilità di rifilare una gomitata a Jason Terry come accaduto nel 2011. La gomitata ha incrinato l’umore della squadra e ha innescato una serie di eventi sfortunati che non menzionerò perché Roy Hibbert si è rivelato essere un miraggio di giocatore.
Sembrava che fosse destino che Carmelo incontrasse LeBron nelle finali della Eastern Conference nel 2013, con un supporting cast finalmente all’altezza del Re. Il destino aveva chiaramente altri piani, il che non era necessariamente un bene per Carmelo o per i Knicks.
Il paradosso dei Knicks del 2012-13 e di Carmelo è che erano in anticipo sui tempi: Carmelo ha giocato il quattro moderno prima che diventasse moderno, solo che odiava quel ruolo. È ingiusto affermare che la sua riluttanza a giocare da quattro a tempo pieno abbia direttamente portato all’approdo di Andrea Bargnani a New York, ma di certo ha spianato la strada per quello.
Dopo il 2013, le cose non sono andate bene. Tutti i sentimenti negativi dei tifosi nei confronti di Carmelo hanno iniziato a prendere forma in questo periodo. I bei momenti sono diventati delle comparse, mentre il nucleo di quella grande squadra è evaporato rapidamente.
L’ultimo momento di Carmelo è arrivato nel 2014, la sua più grande impresa come Knick. In un’edizione a caso del Friday Night Knicks, Carmelo ha iniziato la partita con il fuoco dentro. Non è stato nulla di così fuori dall’ordinario. Carmelo ha terminato il primo quarto con 20 punti con 8/10 dal campo, sorprendente, ma credibile per un giocatore che ha già dimostrato di poterne segnare 50 con praticamente solo jumpers.
All’intervallo le cose cominciano a farsi speciali. Carmelo non si è raffreddato. È stata un’esibizione di tutti i modi in cui Carmelo può torturare un difensore. Ha combinato i tiri dal gomito con penetrazioni a canestro. Ha dominato i difensori e ha preso solo la rete da tre punti. Ha tirato fuori il suo brevettato jab step e le sue virate.
Era tutto normale. Il momento in cui si è percepito che quella sera stava accadendo qualcosa di speciale è arrivato all’ultimo possesso del secondo quarto. Carmelo prende un rimbalzo, corre verso la metà campo e scocca una tripla allo scadere, chiudendo il primo tempo con 37 punti. Aveva la possibilità di unirsi a una compagnia speciale e di ristabilire il record di punti in una singola partita al MSG.
Il numero magico era 62. Avrebbe superato di un punto Kobe Bryant, di due il suo giocatore preferito da bambino, Bernard King, e avrebbe riportato il record alla squadra di casa. Carmelo ha giocato il secondo tempo come se sapesse quale numero avrebbe dovuto raggiungere. Ha segnato altri 19 punti nel terzo quarto e ha sigillato il record nel classico stile Melo, battendo un raddoppio sulla linea di fondo e segnando il suo 62esimo punto della serata con l’aiuto della tabella.
Ciò che ha reso speciale la serata è stato il fatto che fu l’ultimo momento significativo prima che J.R. Smith, Iman Shumpert e altri lasciassero la squadra. È sembrato un addio da parte di quel nucleo, nonostante la loro finestra fosse molto piccola. E per Carmelo Anthony, ha consolidato la sua legacy a New York con un vero e proprio momento d’oro che avrebbe vissuto nel tempo.
Tutto ciò che è avvenuto dopo questa partita non è memorabile. James Dolan ha portato Phil Jackson a dirigere la squadra, cosa che all’inizio è sembrata una manna dal cielo, ma che si è subito trasformata in un disastro. Il Maestro Zen e Melo erano una coppia tossica, con il primo che ha dato vita ad una strana campagna diffamatoria contro il suo miglior giocatore.
Jackson è arrivato e ha sventrato il roster, da Mike Woodson a Raymond Felton. Ciò non ha spaventato Carmelo che, ancora una volta, ha fatto tutto il possibile, rimanendo sulla nave che affonda. La stagione successiva ha giocato solo 40 partite, mentre i Knicks finirono con 17 vittorie nel primo anno di Derek Fisher come allenatore.
Non a caso, i critici hanno rimproverato a Carmelo di essere stato avido, scegliendo di rimanere in una squadra in ricostruzione piuttosto che unirsi a Kobe Bryant a Los Angeles o a Derrick Rose, Jimmy Butler e Joakim Noah a Chicago. La situazione è mutata per un breve tempo quando i Knicks hanno finalmente trovato un po’ di fortuna nel draft del 2015. L’unica mossa azzeccata di Jackson come presidente della squadra è stata quella di selezionare Kristaps Porzingis con la quarta scelta nel 2015.
L’inizio stagione del rookie Porzingis ha ridato vita a Carmelo e ai Knicks, portando a uno scambio per Rose e all’aggiunta di Noah una stagione dopo. Questo “superteam” potrebbe essere stato più adatto a competere a Chicago due anni prima, perché la squadra finì col vincere solo 31 partite. È stato l’ultimo sussulto di Carmelo a New York. La stagione successiva è stato ceduto agli Oklahoma City Thunder, aiutando inconsapevolmente New York a ottenere Mitchell Robinson con la scelta al secondo giro inclusa nell’affare.
Ed improvvisamente, è finita.
Nonostante i cattivi rapporti con Jackson, Carmelo è e sarà sempre ben accolto a New York. Alcuni tifosi un po’ troppo amanti delle metriche avanzate non si sono ancora resi conto del divertimento che Carmelo ha suscitato a New York, perché lui ha davvero contribuito a ripristinare la sensazione di eccitazione ed intrattenimento quando si guardano i Knicks.
Ora che si è ufficialmente ritirato, gli appassionati di basket possono guardarsi indietro e rendersi conto che uno dei migliori realizzatori che il gioco abbia mai visto ha chiamato il Madison Square Garden casa sua. E non credete alla mia parola: credete a quella di Kobe, di Paul Pierce o di Kevin Durant. Qualunque sia la vostra opinione sulla sua “voglia di vincere”, non è in discussione quanto Melo sia stato un marcatore prolifico.
Mi sembra strano parlare usando il tempo passato. Ed è triste che non si sia accasato in qualche squadra verso la fine della sua carriera. Chissà quanto in alto sarebbe potuto salire nella classifica dei marcatori?
Per adesso, Carmelo Anthony chiude la sua carriera NBA al nono posto nella classifica dei marcatori di tutti i tempi con 28.289 punti. È il giocatore più decorato di USA Basketball con il maggior numero di partite giocate (31), il secondo per punti seganti (336) e con tre medaglie d’oro. È un giocatore di prima fascia nella Hall of Famer e la sua maglia dovrebbe essere appesa alle travi del Madison Square Garden.
Il recente dibattito su Melo è se la sua maglia debba essere ritirata, mentre una stella come Bernard King è stato esclusa. C’è una soluzione semplice a questo problema: ritirarle entrambe. Carmelo e Bernard hanno avuto a New York un percorso molto simile. Nessuno dei due ha reso i Knicks una vera e propria contender, ma hanno restituito una sensazione di eccitazione quando si andava a vedere una partita al MSG.
A prescindere da tutto, sapevi che se Carmelo Anthony avesse giocato quella sera, avresti assistito ad una grande prestazione offensiva. Sia che si trattasse del suo elegante jumper, sia che si trattasse di mettere in difficoltà il povero Brandon Bass o qualsiasi altra ala che doveva sorvegliarlo sulla linea di fondo, guardare Carmelo giocare è sempre stato intrattenimento allo stato puro.
Non ho mai avuto modo di vedere Bernard King nel suo periodo di massimo splendore, ma sento che è stato in grado di suscitare sentimenti simili. Non si tratta di una mia idea originale, ma di un’idea che appoggio. Ritirate le maglie di King e Melo – riconoscete il loro contributo alla franchigia.
Forse la squadra ritiene che sia troppo tardi per King. Non è troppo tardi per Melo. A New York è stato sette volte All-Star, è al settimo posto nella classifica dei marcatori di tutti i tempi e detiene ancora il prezioso record di punti in una singola partita al MSG. Il ritiro del numero 7 lo renderebbe solo il terzo Knick di sempre a raggiungere le travi senza aver vinto un campionato, insieme a Patrick Ewing e Dick McGuire.
Lascio la decisione ai ragazzi che vengono pagati profumatamente da James Dolan. Da parte mia, dico solo grazie, Melo. Grazie non solo per essere venuto a New York, ma per esserti divertito qui.
Come si suol dire: “Once a Knick, always a Knick”. Carmelo Anthony sarà sempre un Knick nella mia mente, una leggenda dei Knicks che non dovrebbe mai essere dimenticata.