FOTO: NBA.com

Questo contenuto è tratto da un articolo di Aaditya Krishnamurthy per Fadeaway World, tradotto in italiano da Anna Cecchinato per Around the Game.


Allen Iverson è stato più che un giocatore-franchigia, a Philadelphia. Sebbene non abbia mai vinto un titolo NBA durante la sua carriera, è ancora oggi ricordato come uno dei giocatori più elettrizzanti della storia dei Sixers, e non solo. AI era in grado di fare cose in campo che pochi potevano vantare all’epoca; e anche fuori dal campo, era una delle figure più eccentriche della lega.


A rendere ancora più impressionanti le sue prestazioni era il fatto che Iverson conducesse uno stile di vita dai ritmi folli anche fuori dal campo. Cosa di cui l’ex allenatore dei Raptors, Sam Mitchell, cercò di approfittare per metterlo in difficoltà, invano.

La sera prima di una partita tra Phila e Toronto, coach Mitchell stava cenando in un ristorante, quando vide entrare Iverson insieme ad amici. Nel tentativo di “sabotare” la partita della sera successiva, Mitchell continuava a chiamare il cameriere e far arrivare alcolici e cibo al tavolo di Iverson. A fine serata, però, AI si avvicinò a Mitchell e gli disse: “Coach, non funzionerà, io amo Toronto”.

Meno di 24 ore dopo, la conferma – sotto forma di 51 punti segnati – che provocare Iverson non fosse mai una buona idea:

Iverson era uno dei giocatori più difficili da fermare, in quegli anni. Quando era in giornata, sembrava che qualsiasi giocatore, allenatore o squadra potesse fare poco per fermarlo.

E no, provocarlo o cercare di “sabotarlo” non era una scelta saggia, soprattutto la sera prima di una partita: Mitchell ha imparato la lezione a sue spese.