La cavalcata trionfale al Torneo NCAA della Syracuse versione 2002/03 è tra le singole stagioni più entusiasmanti della storia universitaria. Abbiamo ripercorso i passi della loro storia.


Quando si parla di geografia economica ed industriale americana, non si può non citare immediatamente la florida produzione dello stato di New York. A riparo dagli occhi indiscreti della metropoli, infatti, si trova una zona da sempre dedita al duro lavoro, alla fatica, alla produttività. Luoghi di acciaierie ed immigrazione, da cui provengono diverse personalità gigantesche della cultura e dello sport statunitense.


Syracuse, città da circa 150 mila abitanti situata nella contea di Onondaga, è probabilmente uno degli emblemi di quest’America dal colletto blu. Chiamata in questo modo per la somiglianza con le saline (in questo caso lacustri) dell’omonima città siciliana, ha da sempre fornito gran parte della manodopera necessaria alle fabbriche della zona, crescendo demograficamente nel primo Novecento grazie ai continui afflussi dall’Europa.

Ad arrivare, per larga parte, furono immigrati italiani, attratti da quel sogno americano creduto ai tempi così facilmente realizzabile e forse confortati da un nome così familiare. 

Gli italiani diedero, come spesso accadde, un’impronta cestistica a quei territori nell’immediato dopoguerra.

Le ragioni dietro alla predilezione per la Palla a Spicchi erano diverse, quasi sempre legate alla praticità – ed economicità – dettate dal campo piccolo e dall’assenza di attrezzature o dispositivi di protezione specifici per poter giocare. Nel momento in cui negli States nasce la prima Lega professionistica di pallacanestro, perciò, la città non può rimanere fuori. Fin dalla stagione inaugurale i Syracuse Nationals, fondati nel 1946 dall’imprenditore abruzzese Danny Biasone, entrano quindi a far parte della NBA, conquistando il loro unico Titolo nel 1955.

Al momento del trasferimento, nell’estate 1963, a Philadelphia, dove sarebbero diventati i 76ers, i ragazzi di Biasone lasciano quindi una delle capitali del basket statunitense.

La legacy di un luogo così denso di storia, al momento dell’addio dei Nationals, ricade per la prima volta sui soli Syracuse Orange, squadra dell’Università locale che vanta già una partecipazione al Torneo NCAA (1957). Gli arancioni saranno per i quattro decenni successivi l’orgoglio della città, diventando una presenza fissa alle fasi finali della contesa universitaria.

Nonostante i successi interni alla Conference e gli avanzamenti nel tabellone, tuttavia, la zampata finale per arrivare alla Vittoria non si concretizzerà mai. Fin quando, durante i primi giorni di primavera del 2003, non arriverà l’inaspettato riconoscimento.

I protagonisti: Boeheim, Carmelo, McNamara

Nel momento cruciale del trasferimento della franchigia locale a Philly – datato 1963 – Jim Boeheim, futuro coach della cavalcata di quarant’anni dopo, è già, sorprendentemente, un membro degli Orange. Nato a Lyons, cittadina a meno di 70 chilometri da Syracuse, Boeheim ha infatti iniziato il proprio percorso nell’Università di casa nel 1962, quando – da giovanissima guardia di scarsissime speranze – era riuscito ad entrare in squadra da walk-on ovvero da studente sprovvisto di borsa di studio.

Dopo un primo anno di scarso impiego da parte di coach Fred Lewis, con cui i rapporti non saranno mai troppo stretti, riuscirà ad imporsi all’interno della rotazione, chiudendo il proprio anno da senior con 14 punti di media in 28 partenze (su 28) in quintetto. Proprio in quell’ultimo anno così prolifico, il 1966, Jim ed il compagno di backcourt Dave Bing (futuro Hall of Famer e sindaco di Detroit) saranno tra i protagonisti della seconda partecipazione della storia di Syracuse al Torneo.

Terminata – dopo una sconfitta al secondo turno contro Duke – la propria carriera collegiale, Jim naviga per qualche stagione nella mediocrità del semi-professionismo americano dell’epoca, accasandosi agli Scranton Miners (Si, fan di The Office, si tratta di quella Scranton), con cui vincerà un paio di campionati della Eastern Professional Basketball League.

FOTO: Syracuse.com

Il richiamo di casa, tuttavia, continua a farsi sentire e nel 1969 Jim viene convinto dalla proposta del nuovo allenatore Roy Danforth, diventando assistente part-time di SU. Il ritorno coincide con un cambio radicale della cultura degli Orange, che diventano una presenza fissa in post-season, raggiungendo per la prima volta le Final Four nel 1975. Coach Danforth lascia tuttavia l’università l’anno seguente, gettando il comitato atletico in grandi perplessità.

Jim, diventato nel frattempo assistente a tutti gli effetti, è convinto di essere l’uomo giusto e si presenta al colloquio con due assi nella manica che convincono rettore e responsabili.

“Se mi assumete vi porto qui Luis Orr e Roosevelt Bouie, con cui ho già parlato, altrimenti vado a Rochester, che mi ha fatto un’offerta, e loro vengono con me. E guardate che ci vado domani, non aspetto tre settimane dopo tutto il lavoro che ho fatto.”

– Jim Boeheim

Al pensiero di perdere due prospetti interessanti ed un potenziale allenatore per un college di Division III, Cliff Winters, vice rettore dell’università deputato alla scelta del nuovo coach, mette da parte la tattica al risparmio con cui si era approcciato al colloquio e insegue per i corridoi Boeheim – che nel frattempo aveva sbattuto la porta per concludere la propria scena da Oscar – dandogli il lavoro.

Jim comincia quindi l’avventura dei suoi sogni, l’unico lavoro che aveva realmente mai desiderato dai tempi dell’entusiasmante stagione ’66. Il suo legame con Syracuse è così profondamente radicato che un giorno, durante una vacanza estiva alle Hawaii insieme a Rick Pitino (al tempo suo assistente) e signora, tira fuori la più grande dichiarazione d’amore che la città abbia mai sentito dedicarsi, tanto da rimanere ancora oggi un emblema di quei territori.

Alla domanda su quale sia per lui la città perfetta per vivere, Boeheim si discosta dalle risposte mainstream dei Pitinos, che avevano indicato rispettivamente San Francisco e New York, rispondendo con tutta la naturalezza del mondo.

“Syracuse. D’altronde anche le Hawaii a luglio assomigliano a Syracuse (per niente, ndr). Per otto mesi all’anno hai il miglior clima del mondo. Gli altri quattro, beh, giochiamo a pallacanestro.”

– Jim Boeheim

Nonostante la passione viscerale che lo lega agli arancioni tuttavia, Jim non riesce, nelle prime ventisette stagioni a portare l’agognato trofeo nello stato di New York. Sebbene la squadra viva un’ininterrotta striscia di annate vincenti (la prima stagione perdente di Syracuse nell’era Boeheim è stata quella appena conclusa, numero quarantasette, nel caso ve lo chiedeste) agli Orange manca infatti il salto di qualità definitivo.

Ci vanno vicino un paio di volte, perdendo contro Indiana e Kentucky le finali del 1987 e del 1996, ma nulla di più. Nel 2002, poi, era arrivata la massima delusione, con la squadra addirittura esclusa dal Torneo.

Nell’approcciarsi alla stagione successiva, perciò, Boeheim appare deciso a dare la svolta definitiva al proprio percorso ad SU, puntando al riconoscimento finale. Per farlo, si servirà di un giovane liceale del Maryland che ha visionato in una scalcinata palestra di Baltimore qualche settimana prima.

Il giovinotto in questione, nonostante il nome – Carmelo Anthony – che senza conoscerlo indurrebbe ad annoverarlo tra i grandi immigrati italiani che devono a Syracuse la propria fortuna, è in realtà il figlio di una poverissima famiglia newyorchese trasferitasi a Baltimore dopo la morte del padre, Carmelo Iriarte.

A Baltimora – città nota al tempo come The Pharmacy a causa dell’irreale diffusione di droghe di ogni natura – Anthony vive in condizioni di estrema povertà e solitudine. Mamma Mary lavora tutto il giorno come donna di servizio per garantire ai suoi cinque figli un piatto caldo in tavola, mentre Carmelo si divide tra turni massacranti come lavamacchine sulla Martin Luther King Boulevard e qualche partitella al campetto con gli amici, in cui – nonostante l’apparente disinteresse del giovane verso una carriera professionistica, ritenuta troppo distante ed utopica – tutti gli riconoscono un talento fuori dal comune.

“Non ho mai sognato di giocare in NBA. Non era il mio obiettivo. Pensate a tutte le persone del mio quartiere o delle case popolari che sono fortissime a giocare a basket. Dopo qualche anno fuori da quel brutto ambiente ci ritornano. Non c’è speranza, basta guardare le statistiche. Quando guardi i numeri non pensi di poter essere quell’uno su un milione che ce la fa.”

– Carmelo Anthony

Durante il suo anno da junior a Towson Catholic High School, tuttavia, la mentalità del giovane nativo di New York cambia in modo definitivo: Melo si convince di poter sfondare nel mondo della Palla a Spicchi ed inizia a concentrarsi unicamente sul parquet, pagandone le conseguenze nella forma di diverse sospensioni causate da assenze ingiustificate a lezione.

Proprio in questa terza annata (in cui passa dai 14 punti della stagione precedente a 23 a gara, conditi da 10.3 rimbalzi) coach Boeheim si decide di andare a vedere in prima persona quel prospetto della zona di ci tutti cui i giornali locali – su tutti il Baltimore Sun – parlavano così bene.

La prima impressione del coach non sembra essere particolarmente positiva, visto che tutto il palazzo si rende conto dopo pochi minuti di come Jim, forse provato dal viaggio in macchina, si sia addormentato nel bel mezzo della partita. Una volta avuta la possibilità di incontrarsi faccia a faccia, però, i due si capiscono subito, dando vita a quello che sarà un sodalizio intensissimo.

“Si è addormentato il giorno in cui è venuto per reclutarmi. Me lo ricordo lì, addormentato. Ho guardato e l’ho visto russare nella sedia. La prima volta che ci siamo incontrati, però, c’è stata una sintonia immediata. Avevamo questa energia. Avevamo conoscenze in comune di suoi ex giocatori ed il legame con Baltimore e con la zona era fortissimo per entrambi.”

– Carmelo Anthony

Nonostante le tinte fatalistiche con cui l’odierno Melo ricorda il proprio primo approccio col mondo Orange, tuttavia, le cose non sono andate così lisce come parrebbe visti gli esiti.

Dopo essersi inizialmente legato a Syracuse, infatti, Melo – che si è trasferito per il proprio anno da senior liceale alla quotatissima Oak Academy, nel Virginia – si impegna verbalmente con altre quattro scuole, decidendo infine per SU solo ed esclusivamente grazie alle rassicurazioni sul minutaggio di Boeheim. Jim, infatti, dopo aver perso il proprio titolare Preston Shumpert, sta cercando ossessivamente un’ala piccola con punti nelle mani e ha trovato in Carmelo il giocatore giusto per provare ad andare fino in fondo.

Una volta risolta la questione-Anthony, poi, il coaching staff deve iniziare a pensare ad un supporting cast adeguato da affiancare alla propria stella annunciata. Per raggiungere questo obiettivo, Boeheim si rivolge ad un luogo conosciuto: si tratta ancora una volta di Scranton, Pennsylvania, la cittadina con l’ufficio più famoso d’America in cui Jim aveva iniziato la propria carriera post-collegiale.

Nella Electric City, infatti, sta deliziando il pubblico delle high school locali un giovane playmaker già da tempo in tendenza sui primissimi siti di video-highlights: si tratta di Gerry McNamara, point guard di Bishop Hannan High School.

FOTO: Pennlive.com

McNamara sembra essere il prospetto perfetto per la pallacanestro di Boeheim e per diventare il secondo violino; tiratore da fuori ante litteram, Gerry è abituato a gestire le pressioni devastanti che solo i tifosi sportivi del New England sanno dare: da qualche mese, infatti, passa ore a firmare autografi prima e dopo ogni partita ed ha un sito internet a lui dedicato in cui si riportano le gesta dell’ “eroe locale che si sta facendo un nome in tutto il Paese”. Insomma, Gerry non sembra essere il tipo di giocare che sarebbe intimidito dalla marea arancione che spesso affolla il palazzetto di Syracuse. E questo a Boeheim piace molto, soprattutto viste le straordinarie doti tecniche che accompagnano questo tipo di lucidità.

“La sua forza principale sono il tiro da fuori e la creation per i compagni. Giocherà da uno e da due.”

– Jim Boeheim

In aggiunta alla prontezza mentale e tecnica, poi, Gerry può far valere un’umiltà ed una semplicità che sembrano ben sposarsi con la mentalità blue-collar della città newyorchese. A dimostrarlo sono le stesse motivazioni dietro alla scelta di SU, preferita alle decine di altre università in lizza solo ed unicamente per la propria vicinanza alla casa dei genitori e al Canada, dove McNamara è solito recarsi per passare lunghissimi weekend di pesca.

“Se potesse scegliere tra diventare un professionista nel basket o nella pesca, pescherebbe.”

– Gerry McNamara Sr.

Insieme a Gerry e Melo, arrivano il centro Matt Gorman, newyorchese di Watertown, e la guardia Billy Edelin, anch’essa proveniente dal Maryland. In tutto, la squadra che si presenta ai nastri di partenza della stagione 2002/03 consta di quattro freshmen, tre sophomore, cinque junior e due soli senior – di cui, uno Ronneil Herron, fuori dalle rotazioni della squadra. Un gruppo rinato dalle ceneri del deludente 2002, giovane, affamato, anomalo per i tempi e considerato poco credibile per la vittoria finale. L’esito sembra scontato.

La stagione: dalle sconfitte ai successi

La prima partita della stagione dei Syracuse Orange che a fine anno solleveranno il trofeo dei campioni NCAA è una sonora sconfitta per mano della Memphis nel Coaches vs. Cancer Classic (match peraltro sentitissimo da Boeheim, da poco guarito da un tumore alla prostata che qualche anno prima aveva portato via suo padre). Nonostante i 27 punti di Melo, infatti, la squadra racimola unicamente 63 punti complessivi contro i Tigers, che escono vincitori dal Madison Square Garden.

Da quel momento, tuttavia, il gruppo ingrana, vincendo undici partite consecutive, di cui nove in doppia cifra, con una media di 87.8 punti segnati e 67.3 subiti.

Il dominio incontrastato non convince però critica e pubblico. Gli Orange, infatti, rimangono unranked per le prime nove settimane di regular season e giocano in un Carrier Dome semivuoto. Il vento sembra cambiare realmente per la prima volta solo il 1° febbraio 2003, quando a Syracuse arrivano i Pittsburgh Panthers di coach Ben Howland, seconda seed del ranking.

Per l’occasione, l’arena di Syracuse riesce finalmente a riempirsi di quasi tutti i suoi 35.446 posti a sedere, facendo segnare un record di spettatori per la stagione collegiale.

La partita è da subito sentitissima; vincendo, i Panthers potrebbero raggiungere per la prima volta nella propria storia la prima posizione nelle graduatorie; al contempo gli arancioni, per la prima volta in stagione, rischierebbero di entrare nelle grazie di chi stila le particolari classifiche NCAA.

Nonostante gli entusiasmi del pubblico, tuttavia, non sembra esserci scampo per SU, che rientra negli spogliatoi per l’intervallo sul punteggio di 43-31. Nel secondo tempo, il vento inizia radicalmente a cambiare. Boeheim decide per una volta di abbandonare la propria scaltra zona 2-3 in favore di una più aggressiva marcatura a uomo che permette ai suoi di rientrare grazie ad un’ottima presenza a rimbalzo e all’intensità di Hakim Warrick, stella difensiva di SU. A concludere la rimonta, poi, ci pensano dei minuti finali di livello tarantiniano.

Si parte con i quattro punti nell’ultimo minuto di Jeremy McNeil, centro di riserva al terzo anno che fino a quel momento aveva le non invidiabili medie di 4.3 punti e 28.6% ai liberi. I primi due messi a referto contro Pitt sono proprio due tiri dalla Linea della Carità. A 46.9 secondi dalla fine. Sul 65-63, per pareggiare la partita.

“Non pensavo li segnasse entrambi, ma almeno uno sì. Ne metteva sempre uno in allenamento, ma mai tutti e due.”

– Carmelo Anthony

Dopo il secondo canestro di Jeremy – una putback dunk o’neliana – Syracuse si ritrova a difendere due punti di vantaggio con 10 secondi sul cronometro. Dopo un’ottima pressione a tutto campo, Pittsburgh riesce in qualche modo a far arrivare la palla a Carl Krauser, il quale, pressato da McNamara, perde clamorosamente il possesso prima di riuscire a tirare, portando il cronometro a 0 sul risultato di 67-65.

I 30.000 del Carrier Dome, allora, invadono il campo per festeggiare l’ennesima vittoria casalinga dei propri beniamini. Il loro urlo di gioia viene però prontamente strozzato dagli arbitri, i quali – rivisto il replay dell’azione – convengono sul fatto che Krauser sia riuscito a chiamare un timeout con ancora 0.8 secondi.

La sicurezza del palazzo, perciò deve trovare un modo per far uscire 30.000 assatanati di arancio vestiti e riprendere il gioco. Non esattamente un’operazione semplice. Ristabilito l’ordine pubblico, Pittsburgh effettua la rimessa verso Brandin Knight, alla di belle speranze a cui era stato dato l’onere del tiro della disperazione.

Knight, tuttavia, tira un airball clamoroso da poco dopo la metà campo, causando una nuova sirena con conseguente seconda invasione di campo.

Gli ufficiali di campo, però, vogliono vederci chiaro anche in questo caso e si avvicinano al monitor per cercare di scorgere nell’azione eventuali falli. Si rischia una rivolta manzoniana, tanto che Boeheim si trova costretto a prendere il microfono e gridare ai suoi.

“Levatevi dal campo e fateci capire cosa sta succedendo!”

La seconda volta, nonostante gli attimi di confusione, è però quella buona e l’arbitro Ed Corbett assegna la vittoria a Syracuse. Melo si strappa la maglietta salendo sul tavolo del referto, Boeheim ringrazia il pubblico lanciando qualche frecciatina agli occasionali (“evidentemente ci voleva la seconda seed per farli venire.”) e gli Orange entrano finalmente nel novero delle migliori squadre collegiali del Paese.

Da lì in poi la stagione si trasforma in una lunga marcia verso il torneo, con 10 vittorie e solamente due sconfitte a completare il calendario. Melo – in questa run finale – si staglia come futuro prospetto NBA in modo definitivo, chiudendo l’anno con 22.2 punti e 10 rimbalzi di media e venendo unanimemente considerato dai media uno dei rari casi di One&Done del sistema vigente (in cui i grandissimi prospetti non passavano nemmeno dal college, al pari di LeBron James).

Anthony, tuttavia, rifugge le attenzioni, concentrandosi unicamente sui risultati di squadra, immerso com’è tanto nell’esperienza universitaria quanto nell’ambiente-Syracuse

“Ho amato il college. Ho giocato a basket e sono andato ai party, e tutti mi amavano perché giocavo a basket e andavo ai party.”

– Carmelo Anthony

“A Melo importava che vincessimo. In una partita contro Oklahoma State aveva avuto una brutta gara, ma avevamo vinto, e lui era felicissimo. Di solito questi prospetti sono arrabbiati se giocano male, perché gli scout sono lì a vederli, a lui importava di SU.”

– Jim Boeheim

Gli Orange di coach Boeheim si presentano quindi al torneo con la testa di serie numero tre della regione East. Le prime due partite, giocate al Fleet Center di Boston, si risolvono con due agili vittorie a danno rispettivamente di Manhattan e Oklahoma State che permettono agli Orange di raggiungere le Sweet Sixteen, un successo inaspettato per una squadra così giovane. Battuta anche Auburn con un tiratissimo 79-78, SU si trova davanti Oklahoma per un posto nelle ultime otto del tabellone.

La partita contro i Sooners è il manifesto della pallacanestro di Boeheim. Oklahoma chiude la sfida con 47 punti segnati e più palle perse (19) che canestri (18), una sinfonia della 2-3 che non può che esaltare Boeheim.

Dopo la straordinaria vittoria contro OU, Syracuse si trasferisce – sostenuta da una città ormai in delirio per la March Madness – al Louisiana Superdome di New Orleans, dove, davanti ad oltre 54mila spettatori, si giocheranno le Final Four della NCAA. L’autista del pullman, tuttavia, non ha bisogno del navigatore, perché Jim Boeheim, seduto accanto a lui, è perfettamente  in grado di indicargli la strada: si tratta dello stesso stadio in cui gli Orange hanno perso la Finale del 1987, come ricorderà lui stesso al termine della gara del lunedì.

“Penso di aver avuto fino ad oggi un conto in sospeso con questa arena.”

La prima partita dell’Atto Finale è contro i Texas Longhorns di TJ Ford e James Thomas, cliente scomodissimo per una squadra “piccola” come gli Orange, vista la fisicità di una guardia come Ford. Anche in questo caso, Boeheim fa ricorso ad una magia difensiva, lasciando metri di spazio dall’arco al poco preciso Ford e impedendo ogni possibile penetrazione. Una scelta quasi da rec center, che permette a SU di vincere, scioccando gli stessi giocatori di Jim.

“Ho giocato spesso a zona al liceo, ma nessuna zona è come questa.”

– Hakim Warrick

In Finale, Boeheim e i suoi dovranno affrontare i Kansas Jayhawks di Roy Williams, per tutti vincitori annunciati del Torneo. La squadra di Lawrence rappresenta infatti l’esatto opposto degli Orangemen: alti, fisici, vincenti e rimpinzati di senior, tra cui spiccano Kirk Hinrich e Nick Collison, prossimi al passaggio in NBA.

I giovani Orangemen sono poi gravati dal peso della “maledizione” che sembra colpire università e coach: tra le prime file c’è Rony Seikaly, esponente del gruppo del 1987, e qualche posto più indietro era previsto (ma non verrà) anche Derrick Coleman, compagno del libanese in quella squadra e autore del libero sbagliato che costò la vittoria ad SU.

Melo e i suoi, visibilmente emozionati durante il riscaldamento, vengono strigliati prima della partita dall’unico senior realmente presente in squadra: Kueth Duany, guardia sudanese e capitano della squadra. Duany tranquillizza i compagni, ricordando tutti gli accorgimenti tecnici studiati in preparazione e spronando tutti a fare del proprio meglio un possesso alla volta, senza pensare a quanto la posta sia alta. Consigli decisamente azzeccati.

Le due squadre si inseguono sostanzialmente per tutto il match, con Syracuse che sembra tenere un leggero vantaggio. A 58 secondi dalla fine il risultato è di 80-77, con Melo – 20 punti fino a quel momento – che ha in uno-contro-uno la possibilità di chiudere i conti. Il successivo errore getta in un abisso ben conosciuto i tifosi in arancione, convinti ormai della rimonta di KU. Warrick, però, stoppa con veemenza il successivo tentativo di Micheal Lee, lasciando solo 1.5 sul cronometro. Syracuse è campione nazionale.

L’isteria collettiva che ne segue è la sintesi della fatica necessaria per raggiungere l’obiettivo. A Boeheim viene portato ancora in campo un telefono con in linea Derrick Coleman, ormai redento e desideroso di complimentarsi con il proprio allenatore, Melo – completamente immerso tra la folla – inizia a sventolare per tutto il palazzo il giornale della vittoria, Gerry, autore di una partita e di una stagione incredibili (tanto da chiudere la finale con sei triple segnate) riceve il trofeo per non mollarlo praticamente più.

FOTO: NCAA.com

C’è anche il tempo per un litigo tra allenatore e stella, simbolo del rapporto quasi paterno venutosi a creare tra Boeheim ed Anthony. Obnubilato dalla vittoria, infatti, Melo sta urlando ai  quattro venti di voler rimanere per altri tre anni a Syracuse e ripetersi, causando la reazione inviperita del coach, che lo mette letteralmente alla porta, sapendo di fare la cosa giusta per la sua carriera.

“Leva il culo da questo campus, non voglio vederti mai più.”

Dove sono oggi

Kueth Duany, dopo il titolo, ha avuto una sfortunata carriera professionista tra Germania, Finlandia ed ABA, abbastanza simile a quella di Hakim Warwick – per quanto quella di quest’ultimo sia stata più fortunata ed in leghe di maggior rilievo come Cina, Turchia, Grecia ed Israele.

Jeremy McNeil, l’eroe della gara contro Pittsburgh, non è invece mai andato oltre la D-League. Il titolare nel suo ruolo, Craig Forth, fa il preside, mentre il sesto uomo, Billy Edelin è un cancelliere del tribunale di Onondaga e insegna pallacanestro ai ragazzi di Syracuse.

Carmelo Anthony, seguito il consiglio di coach Boeheim, è invece una star NBA da oltre 17 anni, e sta lottando per cercare di trovare un senso all’ultimo esperimento-Lakers. Coach Jim, almeno per la stagione appena terminata, è ancora l’allenatore dei Syracuse Orangemen, e, pur avendo all’attivo solamente un titolo NCAA, è considerato un’assoluta leggenda del mondo collegiale.

Quando smetterà – forse già dalla prossima stagione – il suo posto verrà preso da un assistente di poche pretese a cui piace pescare, Gerry McNamara. Un altro che, se gli venisse chiesto, risponderebbe di voler vivere solo a Syracuse, perché per otto mesi c’è il clima migliore del mondo e gli altri quattro, beh, we play basketball.