60 anni in compagnia di 6 stelle e 6 album indimenticabili: ’60, ’70 e ’80.
The ’60s: Wilt and Jimi, are you experienced?
Gli anni ’60 negli Stati Uniti… li possiamo respirare ancora se lo desideriamo. Chiudiamo gli occhi e passeggiamo per l’incrocio tra Haight e Ashbury a San Francisco ed eccoci nella Summer of Love. La brezza della Baia, l’emozione di essersi ormai lasciati definitivamente alle spalle la seconda guerra mondiale, e con essa ormai anche il boom economico degli anni ’50.
Le vibrazioni dell’aria che ci colpiscono il volto quando prendiamo Clayton Street ci riportano la mente alla tensione della questione razziale, che scorre come un fiume per nulla sotterraneo nella faglia culturale americana. L’indimenticata pressione della guerra in Vietnam. La riscoperta del fatto che le rivoluzioni siano lo spettro delle esigenze inespresse dell’uomo, che di catene da spezzare ce ne sono sempre molte… troppe. Ed ecco che allora la creatività dei giovani, degli artisti e – perché no – degli atleti, prende possesso del palcoscenico.
Ma vi mettiamo in guardia, non stiamo per parlare di un semplice “uomo”. Stiamo per incontrare un essere catapultato direttamente sul pianeta Terra dalla mitologia greca. Un Dio o un Gigante se preferite, che incarna perfettamente il sincretismo tra doti divine e bisogni e fragilità umane tipico di quelle divinità: The Big Dipper, l’Orsa Maggiore del basket, Wilt Chamberlain. E a nostro parere non vi è miglior colonna sonora di Are you experienced? di Jimi Hendrix. Album del 1967, il vero e proprio anno della rivoluzione. In realtà l’intera decade degli anni ‘60 ha rappresentato una rivoluzione nel mondo musicale, ma la chitarra elettrica di Jimi Hendrix è stato uno dei più prorompenti fulmini a ciel sereno del panorama musicale mondiale.
217 centimetri per 130kg, Wilt smette in fretta di far preoccupare mamma Olivia per i suoi polmoni fragili e nella complicata area metropolitana del nord di Philadelphia, ancor più in fretta, si affranca dai limiti umani, dimostrando la propria sovrumana potenza fisica e mentale. Il nostro Aiace Telamonio avrebbe potuto praticare qualsiasi sport olimpico. 217 centimetri lanciati a rapidità inverosimile sul campo degli Overbrooks Panthers, potente, muscoloso, agile. La rivoluzione del basket. Hendrix la rivoluzione della chitarra. Distorsione del suono usata a virtuosismo da un lato. Il controllo dell’area pitturata usato come rivoluzione del concetto di lungo e di atleta dall’altro. Riff e movimenti di post potenti e armoniosi in una fusione nucleare unica.
Alzate il volume dello stereo mentre Purple Haze si svolge su un intervallo di quarta aumentata, l’intervallo del Diavolo, e Wilt inizia a bombardare le difese inermi tenendo il pallone come un’arancia sopra la sua testa. Il feedback, la reverse guitar e il riff di Jimi ti prendono a schiaffi mentre The Big Dipper inanella una quantità di record realizzativi utilizzando un mix letale di schiacciate, appoggi e fade away.
Il tutto condito da pump fake che ti vedono il pallone praticamente arrivare in faccia e una sensibilità di polpastrelli degna di un clavicembalista della filarmonica di Vienna.
I difensori hanno provato a fermarlo con le unghie e letteralmente con i denti, i cui segni Wilt più di una volta mostra ai propri allenatori, ben profondi sulle braccia. Denti che anche le corde della Stratocaster di Hendrix hanno conosciuto, ma non con il tentativo di fermare e crear danno, ben altro, con il solo intento di creare un suono mai sentito prima di quel momento.
Wilt, abbiamo detto, era una vera e propria divinità. E come Zeus nella mitologia greca, anche the Stilt nutriva una passione molto terrena, le donne. Wilt sostenne di aver intrattenuto rapporti di amorosi sensi con circa 20.000 fanciulle durante la sua non lunga vita (tra le quali innumerevoli dive di Hollywood e anche, pare, la mamma di Quentin Tarantino).
E se Wilt era anche il Dio del sesso oltre che del parquet, Jimi ne era il Re. Rock e donne. Esibizioni dall’alto tasso erotico. La chitarra come partner sul palco, come oggetto sessuale, come protuberanza fallica capace di trafiggere il cuore delle fan adoranti in una transverberazione assimilabile all’Estasi di Santa Teresa d’Avila del Bernini.
“You know you’re a cute little heartbreaker – Foxey
You know you’re a sweet little lovemaker – Foxey
I wanna take you home
I won’t do you no harm, no
You’ve got to be all mine, all mine.“
La capacità del chitarrista di Seattle di unire i più disparati generi in una sola produzione, dal blues al soul, con note hard rock e addirittura pennellate di psichedelia, ha reso Are You Experienced? uno degli album di debutto più influenti della storia del rock, capace di far scuola ancora dopo 50 anni. Questo album è storia, innovazione, unicità, in una sola parola: un capolavoro.
E un capolavoro tecnico e atletico è anche quello con cui Wilt, dalla stagione 1959/60 al 1973, sciocca il mondo sul campo. Dagli Overbrooks Panthers, ai Kansas Jayhawks, passando per gli Harlem Globe Trotters verso i Philadelphia Warriors e 76ers e poi i Los Angeles Lakers.
2 Titoli NBA, 4 MVP della stagione, 1 MVP delle Finals, 1 MVP dell’All Star Game, miglior rimbalzista di sempre, 100 punti in una partita (immortalati nella celebre foto del foglio di carta nientedimeno che dal Premio Pulitzer Paul Vathis), una stagione da 50 (!) punti a partita, 3 regole cambiate a causa sua…
… Excuse me while I kiss the sky!
The ’70s: Earl and Stevie, la ricchezza della verità
Regalare ai propri fan un album di alta qualità non è mai facile, ma regalare un’autentica pietra preziosa della musica tutta è un’impresa titanica, e questo è Songs in the Key of Life.
Un menù ricchissimo, costituito da 21 portate ricercate e complesse quanto la pallacanestro innovativa e creativa che ha portato negli anni ’70 Earl The Pearl Monroe partendo, questa volta non come Wilt dal nord di Philadelphia, ma dal Sud della stessa città!
My all-time favorite ballplayer was Earl Monroe. Earl the Pearl. Yeah, he was nice. See, everybody remember him from the Knicks, you know, when he helped win that second championship. I’m talking about when he was with the Bullets down at Winston-Salem Stadium… before that game, with 42 points a game the whole season. 41. 6 points the whole season.
You know what they called him? Jesus. That’s what they called him – Jesus. ‘Cause he was the truth. Then the white media got a hold of it. Then they got to call him Black Jesus. He can’t just be Jesus. He got to be Black Jesus. You know, but still… he was the truth.
È così che Spike Lee e Denzel Washington ci raccontano Earl in uno degli scorci a nostro parere più romantici del film He Got Game. Romantici perché ritraggono un giocatore dipinto dagli occhi del tifoso che lo ama, che cerca ispirazione in lui.
Come non immedesimarsi e rimanere scossi dal ritmo sinuoso ed elegante di the Pearl mentre taglia il campo come un coltello nel burro. Osservatelo mentre Stevie Wonder suona Love’s in Need of Love Today. Sfidiamo anche i più cinici di voi a non avere un tremito!
Soul, R&B, dal jazz fusion al funk, 21 brani in cui Stevie suona spesso tutti gli strumenti o è altrimenti affiancato da personaggi del calibro di Herbie Hancock e George Benson. Allo stesso modo, the Black Jesus conosce e propone arrangiamenti raffinatissimi in campo.
Nella pallacanestro degli anni ’70 non erano pronti per l’armonia di hesitation spiazzanti seguite dal marchio di fabbrica di Earl, lo spin move. Un movimento che solo lui era in grado di proporre in ogni punto dei 28 metri e in ogni momento della partita con un’efficacia e naturalezza imbarazzante, per poi chiudere con un jump shot dall’alta parabola, spesso fuori equilibrio, in contro tempo e cadendo all’indietro. Jazz e movimenti sincopati. Jazz che Earl ama molto a tal punto da fondare un’etichetta di produzione musicale, guarda caso dal nome Reverse Spin Records.
E lo stesso Stevie condisce Songs in the Key of Life con spazzolate jazz, il tutto perfettamente amalgamato in un’opera ricchissima dalla quale attingeranno future generazioni di artisti, sia come fonte di ispirazione, che come base per campionamenti di singoli di successo (15 anni dopo Coolio non riesce a resistere agli archi – sintetizzati – di Pastime Paradise e sforna Gangsta’s Paradise, suo singolo più noto). Tutti brani di una qualità incredibile, scritti con una classe e una genialità difficilmente imitabili, capaci di regalare grandi emozioni anche a chi non è un critico musicale, perché la magia di questo album accoglie tutti tra le sue braccia.
Tutto questo con personalità e ricerca di sonorità inimitabili ma anche con profondo spirito di innovazione, come ad esempio con il funky di All Day Sucker, che si fa avanguardia della black music nell’affascinante viaggio che la porterà all’approdo sui lidi del rap.
Non si può non trovare traccia di Stevie Wonder nella musica dagli anni ’70 ad oggi. E gli appassionati della palla a spicchi non possono a loro volta non riconoscere il tocco di Black Jesus nello stile di giocatori come Jason Kidd, Andre Miller, Tony Parker… nelle loro finte, no looks, spin move e nei tiri dalla media.
Tuttavia, mentre Stevie Wonder ha la capacità di essere conosciuto da praticamente tutti i 7 miliardi di persone che affollano il globo terracqueo e il doppio LP di Songs in the Key of Life porta con sé la maggior parte dei successi noti a tutti, Earl the Pearl Monroe rimane una perla – per l’appunto – rara. Una gemma da scovare immergendosi con lui nei campi dei Baltimore Bullets e dei New York Knicks al ritmo dei suoi cambi di tempo, delle sue virate e del suo gioco in mid-range… e con il sottofondo delle note di I Wish di Stevie Wonder poter concordare con Denzel che si… Earl era la dannata verità!
The ’80s – Isiah e i NWA: The Strength of Street Knowledge
Ghetto di West Side Chicago. Anni ’70. Un giovane ragazzo di colore nato da una signora del Mississippi cammina per le strade. Vestiti sgargianti rubati al fratello maggiore. Atteggiamento sicuro. Il fratellone, che di mestiere non fa propriamente l’agente immobiliare, nota la camminata spavalda ma non lo riconosce e per mettere subito in chiaro chi controlla la zona del quartiere estrae e punta il ferro.
Isiah ebbe quel giorno uno dei primi assaggi di come vanno le cose ai giovani ragazzi di colore. Avrebbe presto imparato a difendersi, ad attaccare, a non farsi mettere sotto da nessuno, a costo di essere odiato. La strada glielo aveva insegnato.
You are now about to witness the strength of street knowledge!
A South Central LA negli anni ’80 le stelle non erano i divi di Hollywood, né i musicisti della pop music. Le stelle erano i gangster e gli spacciatori. Le gang a Los Angeles in quel periodo erano più di 600 e il business della marijuana, della cocaina e ancora di più del crack, le rendeva realtà imprenditoriali quanto mai redditizie per quanto illegali e pericolose. La città era in uno stato di guerra. Una delle gang di Los Angeles era però più organizzata delle altre, meglio strutturata e aveva un acronimo molto particolare: LAPD, Los Angeles Police Department.
Ed è proprio contro questa gang che un gruppo di giovani artisti, Dr. Dre, DJ Yella, Mc Ren, The D.O.C., The Arabian Prince e Eazy E, si scagliò con il suo primo album: Straight Outta Compton!
Incazzato, cattivo, con un ritmo unico. In pratica una pietra miliare dell’hip-hop. Questo è Straight Outta Compton, il primo grande esempio di Gangsta Rap che ha fatto parlare di sé per i suoi testi ben oltre l’accettabile, con come primo grande esempio Fuck tha Police.
Nel 1981 Isiah Thomas viene scelto con la pick numero 2 dai Detroit Pistons. 185 cm di rabbia dissimulata da un viso da ragazzino che ricorda un vero gangster proprio della sua città natale, Baby Face Nelson.
L’NBA presto si accorge della dicotomia dell’animo nero del Profeta Isiah da West Side Chicago. Un brutto carattere, ma una grande leadership. Bipolare. Diviso tra l’odio per chi si frappone tra lui e il successo. Tra lui e il canestro. E l’amore per il gioco. “Isiah vuole ucciderti”, questo è quanto alcuni riportano dopo averci avuto a che fare.
Isiah, con la sua energia elettrizzante, le sue penetrazioni devastanti, gli assist, la difesa tosta sui portatori di palla e anche doti di rimbalzista inattese per un ragazzo di quella stazza, fonda a Detroit – come Dre a Compton – la sua personale gang del parquet, i Bad Boys.
Isiah Thomas non ha solamente il merito di guidare i Bad Boys a due Titoli consecutivi nel 1989 e nel 1990 e vincere il Titolo di MVP delle Finals. Isiah, insieme a Joe Dumars, Dennis Rodman e Bill Lambeer, cambia l’approccio fisico delle partite NBA.
Colpi proibiti, intimidazioni e risse. The strength of street knowledge. E come abbiamo già raccontato sulle pagine di Around the Game nel pezzo “The Breakfast Club… uova, ghisa e Anelli!”, questa rivoluzione consentirà a un certo talento da North Carolina – seppur al prezzo di sacrifici e duro lavoro – di elevarsi fisicamente e mentalmente e diventare the GOAT.
Mentre i Bad Boys di Detroit si scontrano letteralmente con tutte le squadre NBA che hanno il fegato di affrontarli, a Los Angeles, i N.W.A danno voce alla strada.
Le loro parole sono veri e propri messaggi dal fronte. Sono i profeti del disagio razziale che si respira negli Stati Uniti. Ma come Cassandra, spesso i profeti non vengono ascoltati, anzi, vengono perseguitati. Ed è così che la comunità medio borghese losangelina rimane scandalizzata dai loro testi tanto da dar vita a manifestazioni pubbliche degne del Medioevo in cui i vinili di Straight Outta Compton vengono bruciati. La National Security, l’FBI e, soprattutto, la polizia di Los Angeles vedono in brani come Fuck tha Police una minaccia alla loro autorità e all’ordine precostituito (e il primo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti?).
Proprio nella Detroit di Isiah, la polizia irrompe sul palco del concerto degli NWA quando il gruppo inizia a intonare Fuck tha Police dopo che invano erano stati rivolti loro messaggi intimidatori e discriminatori nemmeno troppo subliminali riguardo all’esecuzione di quel brano.
Un Profeta a Detroit, città sporca e dura che ha conosciuto gli scontri razziali del 1967. Dall’altra i profeti inascoltati del gangsta rap degli anni ’80. Quanto da loro preconizzato prese poi vita nei primi anni ’90, dopo che il motociclista Rodney King venne brutalmente aggredito e picchiato da dei poliziotti che poi vennero interamente assolti. La comunità nera esplose come una polveriera mettendo letteralmente a ferro e fuoco Los Angeles…al grido di Fuck tha Police!
Certo, gran parte del risalto è legato alle tematiche forti inerenti agli ormai inaccettabili problemi sociali americani, ma non bisogna sminuire la qualità compositiva di questo album, creato dal tocco magico di Dr. Dre, ora non a caso uno dei più importanti produttori del mondo hip-hop.
Provate a metter su questo album e a non muovere il culo… e provate ad ammirare il Profeta all’opera con i suoi Bad Boys e a non voler prendere in mano un pallone da basket e distruggere chiunque vi si pari di fronte. Beh, se ce la fate, tranquilli…vi mandiamo sotto casa il “World’s Most Dangerous Group” aka Niggaz Wit Attitudes.