Questo contenuto è tratto da un articolo di Marc J. Spears per Andscape, tradotto in italiano da Marco Marchese per Around the Game.
L’ala Draymond Green era sia mentalmente che fisicamente in paradiso quando ha osservato l’Oceano Pacifico insieme ai suoi compagni dei Golden State Warriors, durante il training camp sull’Isola di Oahu. Green avrebbe solitamente saltato un evento di riunione di squadra del genere. Ma dopo la morte dell’Assistant Coach Dejan Milojevic lo scorso gennaio, ed alcune successive riflessioni, il trentaquattrenne ha compreso di aver bisogno di riunirsi ai suoi compagni di squadra. Perciò, con in mente Milojevic, Green si è goduto le onde del mare ed il cameratismo con i suoi compagni dei Warrios. “Per prima cosa, amo l’Oceano,” ha rivelato Green ad Andscape dopo la gara d’esibizione vinta per 91-90 contro i Los Angeles Clippers alla University of Hawaii lo scorso 5 ottobre. “Rinfresca e revitalizza. Ma, secondariamente, vivere quei momenti insieme ce ne farà ricordare. Abbiamo seguito delle sedute di yoga, poi ci siamo tuffati nell’Oceano.”
“Sono questi i periodi che mi mancano. Il basket è una cosa. Andare lì fuori a giocare ogni partita, per me sarà sempre motivo per scendere in campo e provare a dare il meglio delle mie abilità, al miglior livello. Ma tra 20 anni ci ritroveremo a dire: ‘Ricordi quando eravamo alle Hawaii a nuotare nell’Oceano?'”.
Draymond Green
Green inizierà la sua 13° stagione in NBA con i Golden State Warriors. Una carriera così longeva non era di certo nelle sue aspettative quando è stato selezionato al Draft con una scelta al Second Round nel 2012. Ma la realtà ha avuto un’eccezionale tenuta difensiva, cambiando i pronostici con 4 Titoli NBA, 1 premio Defensive Player of the Year nel 2017 ed una carriera di lungo corso con i Golden State Warriors.
Green ha detto ad Andscape di essersi allontanato un po’ dai suoi compagni di squadra per 3 principali ragioni: essere un padre di famiglia, con moglie e 4 bambini, una mentalità da veterano fatto e cresciuto ed il pensiero di essere meno coinvolto dopo aver colpito con un pugno l’allora compagno di squadra Jordan Poole nel 2022 durante gli allenamenti. La mentalità di Green è cambiata quando Milojevic è deceduto all’età di 46 anni per un arresto cardiaco durante una cena di squadra a Salt Lake City. Draymond stava per lasciare l’hotel dei Warriors per raggiungere la cena quando lo sfortunato evento ha preso piede. Sono stati rilasciati parecchi tributi a Milojevic, ed una volta messi in atto Green ha compreso che fosse giunto il momento di un cambiamento. “Quando Deki è venuto a mancare la scorsa stagione, c’erano le foto di tutti e robe simili. Ed ho compreso, ‘Tutte quelle foto, e tu non ci sei in nessuna di esse perché ti stavi annoiando a fare qualcos’altro’,” ha rivelato Draymond Green. “Perciò, tutti quei momenti che ognuno ha vissuto fino in fondo. ‘Bene, devo farlo. Devo fare questa cosa. Devo fare in modo che il mio corpo sia pronto. Devo farcela.’ E ci si dimentica di vivere. E quindi bisogna tornare a lottare. Perciò per me è stato un grande reminder circa il fatto che mi stessi perdendo la parte divertente di tutto questo. E quindi, tutto ciò che si fa è prepararsi ed essere pronti. Mi mancava la parte divertente del tutto.”
“E quindi, la mia enfasi sarà su quest’aspetto quest’anno. Vado quasi sempre alle cene di squadra. Ma mi riferisco più ai momenti nel prepartita, quando si giunge all’arena, ed è tutto boom, boom, boom e poi la sfida. E mi dico ‘Devo andare.’ Tutto il divertimento si trova nel mentre.”
Draymond Green
Anche Stephen Curry ha rilasciato le sue parole ad Andscape.
“Esserci è stato un bene. Venire alle Hawaii è stato un ottimo cambio di passo. Certe volte può diventare un pò ripetitivo, con gli allenamenti, stessa vista, stessi suoni. Essere tutti riuniti lì, con le nostre famiglie. In definitiva, si cerca di trarre il meglio, e mi piace che fosse molto coinvolto nel sentirsi in un luogo sicuro.”
“Deki è stato un reminder di cosa sia la vita. Adesso non ci sono più segreti, abbiamo ancora un paio di anni per giocare a basket ad alti livelli.”
Stephen Curry
Green ed i Golden State Warriors hanno terminato le loro sfide amichevoli di preseason con quella contro i Los Angeles Lakers a San Francisco. L’8 volte membro All-NBA Defensive Team ha raccontato ad Andscape della realtà di essere vicino alla fine della carriera, del suo rapporto con Curry, del perché creda che la sua squadra potrà vincere, della partenza del compagno di lunga data, Klay Thompson, finito ai Dallas Mavericks ed altro nella seguente Q&A.
Qual è la tua mentalità approcciando la nuova stagione?
Tornare, creare un reminder per tutti, sia personalmente che come squadra. Ma un piccolo reminder per tutti: Siamo ancora qui. Godiamoci l’annata. Divertiamoci. Dico sempre di esserci più vicino adesso, alla fine, che ad inizio carriera. Voglio solo divertirmi.
Non ti divertivi prima?
Si, certamente. Ma a volte si viene coinvolti da tutto ciò che si affronta e ci circonda da non riuscire a notare che la gioia di cui si ha bisogno è proprio davanti a noi. Ma mi riferisco più al godersi ciò che concerne il tutto. Il gioco del basket è sempre divertimento. Lo faccio da tutta la vita. Infatti mi riferisco al divertimento prima della partita, dopo la partita, abbracciando ogni singola parte del viaggio. Ci si stufa di alcuni aspetti, dopo un pò. Si arriva presto all’arena, ed è una gran parte del tempo della propria vita. E quindi, per me, potermi godere un po’ di più i momenti che stanno in mezzo, non solo quelli durante le partite. Mi diverto sempre a giocare a basket. Ma dopo un po’ era diventato quasi: “Oh, un altro volo. Un altro allenamento.”. Ma per me, questa è un’altra opportunità di potermi divertire. E quindi porrò molta enfasi su quest’aspetto.
Cosa ne pensi dell’addio di Klay Thompson?
La partenza di Klay è solo un reminder, un avviso riguardo al fatto che nulla dura per sempre. Un giorno, tutto ciò che conosciamo raggiungerà la sua fine. Con l’addio di Klay abbiamo avuto un avvertimento di quanto fragile sia la vita e quanto velocemente possa cambiare tutto. Da un giorno all’altro tutto può prendere una piega differente in questa lega. Ciò, per me, è stato un reminder del fatto che in futuro la squadra potrebbe non essere la stessa. Potrebbero non essere le stesse persone. Non ho alcuna ragione per pensare che non rimarrò qui. Ma non si può mai essere davvero sicuri. In tutta onestà, con tutto il mio cuore spero di poter terminare qui la mia carriera. Però le cose cambiano, ed è la mera realtà dei fatti. E a volte le cose sono fuori dal proprio controllo. A volte non sono neppure sotto il controllo dei Warriors. Si tratta di sport. Ed è il business in cui ci troviamo.
Quando pensi al tuo primo training camp, avresti potuto immaginare una carriera così lunga?
No. Cercavo solo di rimanere per 30 giorni in più ogni 30 giorni. Ogni 30 giorni mi guardavo allo specchio dicendomi: “Chissà se mi spediranno in G-League domani?!”. In pratica, avevo un contratto da 2 anni in corso, col terzo anno non garantito. Nei primi anni provavo solo ad arrivare all’anno successivo del contratto. Dopo i primi anni, penso al quarto anno: è lì che entra in gioco la pensione. Sono arrivato al quarto anno ed ho iniziato ad accumulare la pensione. Al decimo anno c’è la pensione ed assicurazione completa per tutta la famiglia. Agli inizi della mia carriera pensavo a tutto questo. Poi sono arrivato al sesto anno, ed ho firmato un prolungamento. Allora non pensavo che sarei rimasto per sempre. Cercavo solo di rimanere quanto più a lungo possibile in NBA. Non avrei mai potuto sognare che sarei rimasto ancora qui. Non era tra i miei pensieri perché è una cosa davvero rara. Perciò, perché proprio io? Quando ero giovane c’erano tantissimi giocatori forti in giro per la lega. Cosa, giusto nel cuore della mia mente, mi avrebbe dovuto portare a pensare che sarei rimasto qui? Mi avrebbero potuto mandare in 13 posti differenti. Io stavo provando a farcela. Poi le cose vanno avanti e si pensa: “Ho fatto qualcosa di speciale qui. Abbiamo fatto cose speciali. Quanto riusciremo ad andare avanti? Bene, prova a farlo durare un po’ di più. Oh, amico, abbiamo la chance di poter terminare con un Titolo. Ed è incredibile. Concentriamoci su questo e l’unica cosa che potremo fare sarà provare a realizzarlo.”
Quando sei stato in hotel, c’è stata qualcosa che hai fatto e che forse la scorsa stagione invece non avresti fatto?
Sono andato in spiaggia, sull’Oceano con i ragazzi, ed anche a fare altre cose. Qualche anno fa, amico, mi sono davvero distanziato. Dovevo. Ne avevo bisogno. Quando è accaduto quell’incidente con Poole, ne avevo davvero bisogno. Perciò, mi sono davvero allontanato molto. E nel farlo mi sono perso molte cose. Ma quando si sceglie di farlo è dura tornare indietro. Diventa un mindset, e diventa il mindset di chiunque: “Beh, lo vedremo qui ma probabilmente non lì.”. E mi è mancata davvero tanto questa m****. Mi ha sempre fatto andare avanti.
Ti hanno affaticato le vittorie di Titoli, il lavoro alla TNT in TV, gli spot pubblicitari, il denaro e tutto il resto?
Si. E c’è la famiglia. Molte cose sono cambiate. Quando le cose cambiano, e si affronta qualcosa di simile, si finisce con l’allontanarsi. Mi stavo già distanziando per istinto naturale. Ho avuto 4 figli. Stavo provando a creare un business e tutto il resto con naturalezza. Poi c’è stato l’incidente con Poole e ho pensato: “Devo davvero pensare a me stesso, starmene da parte, lontano dai riflettori.”. Non sono sicuro che fosse davvero la cosa giusta. Ma mentre stava accadendo pensavo fosse giusto. Col senno di poi è stato perfetto. Ci ritroviamo spesso a pensare: “Se avessi saputo questa cosa in quel periodo, allora avrei fatto in questo modo.”. Quindi, in quel periodo è ciò che mi sembrava giusto. Ma ciò che penso davvero è che non fosse proprio la cosa migliore per me. Non sono un solitario, neanche lontanamente. Non so come la gente possa riuscirci.
Sei stato visto mentre facevi surf dopo la partita: anche questo fa parte del divertimento?
Divertirsi in ogni momento. E provare ad alimentarsi della gioia. Pensate, ci sono ragazzi qui al quarto, quinto, sesto anno che pensano esattamente ciò che pensavo io a quell’epoca. Lo dobbiamo a loro il divertimento. Farli sentire come: “Beh, è davvero un grandissimo ambiente. Mi ha fatto non pensare ai giorni che mancavano. Mi ha fatto non pensare ai mesi ed agli anni di cui tenevo il conto.”. Lo dobbiamo a loro perché la realtà è che, per quanto ne avessero bisogno, i miei ex compagni Jarrett Jack e David Lee non mi hanno avuto nel ruolo dal quale avrei dovuto pensare a queste cose. Era il mio modo di pensare. Ma quando ero con i ragazzi, quella era la cosa meno importante. Quindi, lo dobbiamo a questi ragazzi, per essere in quel modo. Ci sono ragazzi che lottano per la loro vita. E, non fraintendetemi, anch’io lo sto facendo. Lo facciamo tutti. Dico sempre che in NBA ogni anno è l’anno zero, e bisogna sempre dimostrare di poterne far parte. Mi avvio al mio 13° anno. Qui ci sono ragazzi che stanno provando a costruire la loro carriera. Lo devo a loro, creare una atmosfera positiva e farli sentire bene, a loro agio, alleggeriti dallo stress. Perché, indovinate? Anche loro vivono lo stress quotidiano di raggiungere una pensione. Il minimo che possa fare, essendo qualcuno che non ha più quella pressione, è apportare una quantità di energia e gioia perché quei ragazzi ci osservano e pensano: “Com’è questo posto? E come dovrebbe essere?”. Voglio che pensino che questo sia un posto speciale. Un posto divertente. Si arriva e si può essere sé stessi.
Hai firmato un quadriennale da $100 milioni l’anno scorso: pensi di poter giocare dopo la sua fine?
Ciò che è pazzesco è che ero parecchio concentrato su questo 2 anni fa. E quest’estate ero ancora più confuso perché pensavo: “Ah, sono finito.”. E poi: “No, per niente. Devi ottenere di più. Puoi andare oltre.”. Mi sto godendo tutto, ogni giorno. Un altro pensiero che avevo era di aver iniziato a parlare di come sia la fine. Ma in realtà il mio corpo non sente neanche lontanamente di essere vicino alla fine. Perciò è meglio togliersi il pensiero dalla mente. Qualsiasi cosa accadrà, l’accetterò. Ma adesso basta programmare. L’1% delle persone riesce a terminare le cose per come vogliono. Basta pensare che tutto vada a finire come si vuole terminando troppo in anticipo. Saprò quando sarà giunto il momento, ma finché non ne sarò certo, mi godrò ogni singolo momento. Mi sento davvero bene. Quindi, fin quando non sarà giunto quel momento, al diavolo i pensieri. Al diavolo tutto ciò. Mi godrò ogni attimo di tutto questo: è il mio obiettivo. Ed è il mio piano. E potrà essere un cliché, ma è il mio mindset.
Hai perso Klay. Non avete messo sotto contratto un big tra i free agent, ma sono stati aggiunti tanti giocatori complementari. Perché hai buone sensazioni riguardo questi Warriors?
Per me è diverso. Si tratta di qualcosa di fresco. E, cosa più importante, siamo underdog. Nessuno pensa che potremo farcela ancora. La cosa più bella è poter dire alla gente: “Vai al diavolo!”. Perciò, perché no? … A primo impatto mi ha ricordato molto il 2022.
Tu e Steph siete più vicini adesso che Klay se n’è andato? Apprezzate di più il tempo che passate insieme?
Ascolta, il nostro rapporto è sempre stato il nostro rapporto. La cosa che ho sempre ritenuto interessante di noi 3 è che non abbiamo mai fatto pensare a nessuno cose come: “Hey, ci siamo noi tre e poi ci siete tutti voi.”. Non ci siamo mai comportati in questo modo. Perciò non si tratta di una situazione come quella in cui noi eravamo tre fagioli ed uno dei fagioli del baccello è saltato fuori. No, noi siamo sempre stati parte integrante del gruppo. Perciò, si, se n’è andato. Non è più qui. Sembra molto diverso quando si è qui, si cammina e ci si guarda intorno e non c’è lui. Lo spogliatoio sembra diverso. Si arriva e non si legge il suo nome. Tutto è diverso. Abbiamo sempre accolto i nostri compagni di squadra.
Quando Deki è morto ed hai provato ad essere più presente, sei anche riuscito a superare l’episodio con Jordan Poole?
No, non si è trattato di dover necessariamente superare quell’evento. Sono andato oltre già ben prima. Non si può star seduti tra la folla a rimuginare sul passato. Mi sono scusato per tutti i miei errori. Ho provato a fare tutto nella maniera più corretta. Non riesco a star seduto lì e perder tempo pensandoci. Ciò che è fatto è fatto, e sapete cosa penso? L’ho superato già molto tempo fa, ma ho continuato a crescere. Si continua a comprendere ciò che conta di più. A volte ci fermiamo a lamentarci. Io cerco di ricordare a me stesso: “Tutti affrontano m****. Cosa rende la tua così speciale? Si tratta solo della tua m****. Che non sminuisce quella di qualcun altro. Loro hanno la loro.”. Perciò ho osservato la situazione: è accaduto. Ma l’ho superato tempo fa e ho cercato di fare qualunque cosa per andare oltre, ed aiutare la gente ad andare oltre. La situazione di Deki non è stata semplice, ma è stata ciò che è stata. Si va a lavorare ogni giorno con qualcuno. E poi tutto d’un tratto non avviene più. Stavo uscendo dall’hotel per andare ad una cena dopo una seduta di massaggi. La mia security mi ha detto: “Dobbiamo aspettare. Il security manager dei Warriors, Johnny Murray ha detto che sia accaduto qualcosa a Deki e che ci sia l’ambulanza. Non è nulla di buono.”. Stavo proprio uscendo dalla porta dell’hotel quando la security mi ha comunicato tutto questo.
Il patriarca dei Warriors Al Attler è deceduto il 20 agosto dopo aver stabilito il record di 64 anni come uomo-franchigia, coach, giocatore, general manager ed ambasciatore. Non sappiamo se tu abbia trascorso molto tempo con lui, ma cosa ne pensi della sua dipartita?
All’inizio di questi miei 13 anni stava molto più qui attorno a noi. Ovviamente, con l’invecchiamento ed alcuni acciacchi, non è riuscito a stare con noi con costanza. Ma all’inizio della mia carriera parlava spesso alla squadra. Mi ricordo di un discorso in particolare. Ci ripeteva: “Io vengo dal New Jersey, ma non sono un hooligan.”. Ce lo ripeteva sempre, e lo diceva spesso anche a me. Io vengo da Saginaw, Michigan, ma non sono un hooligan. Perciò ho trascorso la maggior parte del mio tempo con lui nel passato, più che negli ultimi anni. Ma essere in quest’organizzazione, avere il suo supporto, riuscire a far vivere certi momenti a questa franchigia, certamente per lui dev’esser stato davvero speciale. Era un uomo che è rimasto per 64 anni nella stessa organizzazione. In primis c’è un fattore sbalorditivo, in secundis ammiro il fatto di appartenere ad una franchigia che onora, apprezza e rispetta una persona del genere. Posso solo lottare e sperare di esserci ancora. Era un uomo speciale. Quando veniva da noi portava una luce speciale. Non ho incontrato mai nessuno che avesse del rancore per Al Attles. Essere quel tipo di persona, avere quel tipo di presenza quando si arriva in qualsiasi posto, e la gente muove montagne per non far avere nulla da ridire a quella persona. Qualcuno sarà entusiasta di averlo fatto, perché lo ha fatto per quella persona. E non ha neppure chiesto che fosse fatto. Non ho mai conosciuto nessuno che provasse astio per lui. Ed è una cosa speciale.