I Milwaukee Bucks sono un disastro. Uno di quei disastri che non puoi fare a meno di vedere, nonostante sia doloroso per ogni appassionato del gioco che possa definirsi tale. Hanno perso male contro i Chicago Bulls, hanno perso male contro i Memphis Grizzlies e hanno perso anche contro i Brooklyn Nets, il cui obiettivo stagionale è evitare di vincere troppe partite.

24esimo attacco e 26esima difesa, -11 di Net Rating: in ciò che i Bucks hanno mostrato in campo finora non c’è niente di positivo, nessuno spunto interessante da cui partire, solamente un deserto tattico ed emotivo.

Partiamo dalla fase offensiva. Poter schierare Damian Lillard, Giannis Antetokounmpo e una discreta batteria di tiratori e riuscire a non avere uno dei migliori Offensive Rating in NBA è un’impresa ai limiti del miracoloso, ma guardando le partite se ne capiscono facilmente le ragioni.


L’attacco dei Bucks è lentissimo e davvero troppo scarno, una confusa alternanza di Pick&Roll di Lillard, penetrazioni a testa bassa di Antetokounmpo e tiri fuori ritmo del role player di turno. Mai un’uscita dai blocchi per Dame, mai una ricezione dinamica per Giannis. In un gioco che richiede studio e complessità, il playbook dei Bucks è un libro per bambini.

Milwaukee gioca l’81% dei possessi offensivi a difesa schierata, quinta frequenza più alta in NBA. Un dato ancora più inquietante è quello che riguarda la frequenza di rimbalzi offensivi catturati, 19.7%, la peggiore in assoluto, nonostante la presenza di Brook Lopez, Antetokounmpo e Bobby Portis.

Talvolta capita che dati e eye-test si contraddicano tra di loro, ma in questo caso parlano entrambi la stessa lingua: la superficialità offensiva dei Bucks è disarmante.

Ora, per quanto la vena offensiva sia mediocre, la parte più delicata dei problemi dei Bucks riguarda la difesa. Per capirne l’origine è però necessario fare un passo indietro.

Fino a due anni fa, l’enorme solidità dei Bucks di coach Mike Budenholzer in Regular Season si basava su una drop coverage eseguita a regola d’arte. Jrue Holiday tormentava i palleggiatori avversari, passando perfettamente sui blocchi, mentre Lopez e Antetokounmpo li aspettavano al varco, chiudendo ogni chance di concludere efficientemente nel pitturato.

Oggi il buon Brook ha due anni in più, e soprattutto Holiday non c’è più, sostituito in qualche modo da Gary Trent Jr, e nonostante ciò la tattica difensiva è rimasta invariata, prestando il fianco al punto di forza di quasi tutti gli attacchi avversari. I palleggiatori avversari escono dai blocchi quasi del tutto indisturbati, spesso hanno metri e metri per il tiro dal palleggio e altrettanto spesso possono sfruttare un comodo 2-contro-1. La difesa, in queste condizioni, diventa inevitabilmente un bagno di sangue.

Se a queste carenze di natura (anche) strutturale aggiungiamo un effort sostanzialmente nullo, il bilancio diventa catastrofico. I Bucks concedono 154.1 punti per 100 possessi in transizione (29esimi), frutto di tante corse non fatte e tantissime incomprensioni ed errori di comunicazione.

La prossima clip ne è un esempio:

Cameron Johnson cattura il rimbalzo e si avvia piuttosto lentamente verso la metà campo di Milwaukee. Nessuno ferma la palla, quindi Lopez prova a mandare Trent Jr, che non obbedisce. Al secondo tentativo del centro di spostare il compagno, Johnson va a canestro indisturbato.

Solitamente dopo un’atrocità di questo genere il timeout è automatico, invece il gioco prosegue e da lì a poco nasce il parziale con cui i Nets hanno portato il match dalla loro parte.

E questo è solamente un esempio, pescato in mezzo ai tanti episodi simili delle prime cinque partite stagionali.

Doc Rivers, la condanna

I tutt’altro che perfetti Bucks di Adrian Griffin avevano comunque totalizzato 30 vittorie in 43 partite; da quando sulla panchina c’è Doc Rivers, invece, il record è un impietoso 18-23. Doc ha ereditato una contender al titolo e l’ha trasformata, dati alla mano, in una squadra mediocre, senza certezze.

La sensazione guardando le partite dei Bucks è che a regnare sia l’anarchia, sotto ogni punto di vista. E il tempo rimasto a disposizione non è moltissimo. Lillard, che era arrivato in pompa magna alla ricerca di un titolo che potesse coronare la sua carriera, ha da qualche mese spento 34 candeline, mentre su Antetokounmpo iniziano a comparire le prime insistenti voci di trade.

Rivers era reduce da anni di fallimenti ai Playoffs, prima ai Clippers e poi ai Sixers, ed è stato ancora una volta assunto in virtù del suo status e del buon rapporto con i giocatori. E questo, ad oggi, è il risultato: un clamoroso autogol che potrebbe determinare la fine del progetto tecnico della franchigia. Una condanna che i Bucks hanno deciso di autoinfliggersi.