Il nativo di Akron ha espresso in diverse occasioni il proprio disappunto nei confronti del front office. Si è arrivati alla riappacificazione finale?

Il tema del momento nella NBA è – ovviamente – il futuro di LeBron James. L’ultimo All-Star Game disputato a Cleveland nel weekend tra il 18 ed il 20 febbraio, infatti, ha lasciato aperti molti dubbi circa la possibilità di vedere ancora il Re in maglia Los Angeles Lakers nel prossimo futuro, dettati anche da dichiarazioni – controverse – dello stesso James.

Ecco di seguito una breve cronologia di quanto accaduto nelle ultime settimane, con la spiegazione delle possibili radici del problema e il rimando agli approfondimenti già usciti sul nostro sito.


9-10 febbraio: La mancata trade per John Wall e l’immobilismo di Pelinka (Approfondimento QUI)

Forse l’origine del recente malcontento di LeBron, al di là dell’evidente frustrazione tecnica accumulata in una stagione così complessa. Nelle ultime giornate di trade market, Rob Pelinka sta cercando di dare uno scossone al roster di LA, in modo da farlo tornare competitivo nell’ultima parte di stagione. Il predestinato a partire è ovviamente Russell Westbrook, peccato originale della dirigenza giallo-viola (in questo caso con ancora il sostegno di LBJ).

Brodie, tuttavia, ha tra i front office della Lega ben pochi sostenitori, e piazzarlo – visto un contratto così oneroso – appare sempre più difficile. Di offerta concreta sembra esserci solamente quella degli Houston Rockets, che offrono ai Lakers John Wall in cambio di Russell e la scelta al primo giro dei Lakers al Draft 2027, l’ultima first-round pick rimasta a Pelinka dopo le sanguinosissime trade per costruire il roster attuale.

Il general manager, ben conscio di come la scelta, data la timeline ristretta dei Lakers, abbia la possibilità di acquisire un valore decisamente elevato (trovandosi al centro degli inevitabili anni di ricostruzione di LA) decide di non cedere, facendo saltare la trattativa e causando il malcontento di LeBron, che avrebbe probabilmente voluto almeno un movimento nelle ultime giornate di contrattazioni.

La mancata acquisizione dell’ex-Wizards, poi, almeno secondo quanto riportato da Sports Illustrated, sarebbe la causa dell’ingresso in campo di un altro dei protagonisti delle ultime settimane: Rich Paul, potentissimo agente a capo della scuderia Klutch Sports, che ha in cura gli interessi tanto di LeBron quanto di Wall.

Paul, una volta risolta la situazione-Simmons, avrebbe infatti chiesto ai Lakers di affondare su Wall per far terminare al proprio assistito la vita da separato in casa agli Houston Rockets. Il mancato assenso di Pelinka a quest’operazione, quindi, rappsenterebbe la ragione principale del forte sostegno che LBJ ha ottenuto dalla propria agenzia in questa fase.

Nelle stesse ore della questione-Wall, i Lakers non sono poi riusciti a concludere nemmeno la trattativa che sembrava essere cominciata con New York Knicks e Boston Celtics per cedere Talen Horton-Tucker e portare in California uno tra Dennis Schroder e Cameron Reddish, esuberi delle due franchigie della Eastern Conference che avrebbero cercato di colmare ad LA rispettivamente la carenza di playmaking e di attitudine difensiva mostrata dalla squadra nella prima metà di regular season. Un’ulteriore fonte di delusione per The King.

Giovedì 17 febbraio: ‘F**k them picks’

Ad una settimana esatta dagli eventi sopracitati, LeBron torna a far parlare di sé attraverso un tweet che a tutti sembra indirizzato meno che agli apparenti protagonisti. James, infatti, posta una foto del general manager di Los Angeles Rams Les Snead, in cui il dirigente dei freschi campioni NFL – noto per i suoi scambi aggressivi e la sua volontà di rinunciare al futuro della franchigia in cambio di giocatori pronti a vincere subito – indossa una maglietta in cui viene espressa in maniera eloquente la propria posizione sulla costruzione via Draft.

“F**k them picks”

James, ancora scottato per la mancata rivoluzione di Pelinka, spaventato proprio dalla possibilità di cedere una scelta, commenta con in maniera chiara:

“Legend! My type of guy”

La sottile polemica si coglie da sé.

Sabato 19 febbraio: Cleveland, Home Sweet Home (Approfondimento QUI)

Dopo aver parzialmente ritrovato il buon umore nel macchiettistico All-Star Draft della sera di giovedì 10, LeBron parte per Cleveland in vena di dichiarazioni. Il Media Day dell’All-Star Game, infatti, è un sunto perfetto della mediaticità da sempre intrinseca al personaggio-James, che ancora una volta decide di dare ai giornalisti quello che chiedono: colpi di scena e polemiche.

A far comprendere da subito quale sia il tono del weekend è l’intervista rilasciata a Jason Lloyd per The Athletic, in cui James afferma senza mezzi termini di lasciare aperto uno spiraglio per un eventuale ritorno ai Cleveland Cavaliers.

“La porta non è chiusa ad una soluzione del genere. Non sto dicendo che tornerò e giocherò. Non lo so, non so cosa mi riservi il futuro. Non so nemmeno quando sarò Free Agent.”

Le motivazioni dietro ad una dichiarazione di questo tipo potrebbero essere diverse. Innanzitutto l’ambientazione, elemento da non sottovalutare dal punto di vista mediatico ed emotivo: LeBron, come detto, rilascia queste dichiarazioni già arrivato a Cleveland, la città in cui è nato e dove ha portato il primo titolo dopo 52 anni nel 2016.

È possibile che ritrovare luoghi così familiari in un’occasione di celebrazione della propria iconica carriera (come è stata la premiazione dell’NBA 75) abbia fatto riaffiorare qualche ricordo di troppo nella mente del Re, che si sarebbe lasciato andare a dichiarazioni non propriamente opportune.

A confermare una visione del genere sarebbero le parole di Darius Garland, stella proprio dei Cavs e – soprattutto – altro giocatore rappresentato da Rich Paul. Quasi contemporaneamente all’intervista di James, Garland ha dichiarato senza mezzi termini di voler costruire la propria legacy nella prima Cleveland da Playoffs senza LeBron James. Una differenza di vedute che sembra più una rettifica da parte del burattinaio Paul che una coincidenza

“I nostri ragazzi vogliono creare la propria legacy personale. È un nuovo look, una nuova sensazione, una rinascita per Cleveland. Significherebbe molto per tutti noi.”

Allontanandoci da questo inutile – e pericoloso – esercizio esegetico e analizzando la dichiarazione dal punto di vista economico-sportivo, una terza parentesi ai Cavs nel breve periodo appare rasentare l’impossibile.

Innanzitutto, come detto dallo stesso Lebron, The King “non sa quando sarà free agent”; l’attuale accordo con i Lakers scade nell’estate del 2023, ma in offseason James potrebbe accordarsi entro il 4 agosto per un’estensione biennale da 97.1 milioni di dollari. Un contratto ricchissimo, in grado di garantirgli uno stipendio di oltre 50 milioni di dollari a 40 anni. Cifre a cui Cleveland non potrebbe nemmeno avvicinarsi, visto il risicato spazio salariale previsto per le prossime stagioni. I Cavs – che quest’anno hanno evitato di poco la luxury tax – si troveranno alle prese con le difficili estensioni contrattuali di Garland, LeVert e Okoro: i primi due già dal 2023/24 potrebbero trovarsi nel primo anno del nuovo contratto, mentre il rinnovo del terzo potrebbe attivarsi dal 2024/25.

In due anni tutto può cambiare ma, al momento, intasare il cap con un contratto ricco ed impossibile da scambiare – vista l’età – come quello di James non sembra essere una buona idea.

C’è anche un altro scenario. Nel caso in cui James decidesse di tastare la free agency a fine 2023, senza dunque rinnovare con i Lakers, per limitare i danni rimarrebbe la possibilità di un accordo annuale, che fornirebbe anche a LeBron facoltà di scegliere liberamente nell’estate 2024. Tuttavia, visto il meccanismo di recidività della luxury tax, Cleveland preferirebbe evitare di eccedere il cap per quanto possibile nelle prossime stagioni in modo da pagare meno tasse durante la propria championship window.

A complicare ulteriormente le cose, poi, la chiosa finale, in cui James afferma, senza lasciare alcun spazio ai dubbi, di voler giocare con il figlio Bronny nella stagione 2024/25.

Un’eventualità che spariglia ancora di più le carte sul futuro del Re e – soprattutto – allontana i Cavs dalla corsa: perché scegliere Cleveland se la volontà è quella di giocare con LeBron Jr?

Difficilmente i Cavs manterranno la propria scelta del 2024 per scommettere su un prospetto di medio – se non basso – valore come il giovane James: al momento alcuni rank danno infatti Bronny intorno alla venticinquesima posizione (anche se altri parlano di secondo giro, dove però difficilmente andrà a cadere, se selezionarlo significasse arrivare direttamente anche al padre). Da un asset come una prima scelta, una probabile (futura) contender come Cleveland potrebbe trarre uno scambio vantaggioso per puntare al titolo 2025, autoescludendosi così dalla corsa ai due James.

A questo punto, quindi, l’estensione con LA fino alla stagione 2023/24, per poi scegliere in base alla franchigia che selezionerà Bronny dove giocare nell’annata successiva, sembra essere lo scenario più plausibile per soddisfare i desideri espressi dallo stesso LeBron.

La giusta lettura sulla questione, perciò, potrebbe essere quella data nella giornata di lunedì 21 da Brian Windhorst.

“Quello che sta facendo James è forzare i Lakers a muoversi nella prossima offseason. Prima lo ha fatto dolcemente, ora lo sta facendo duramente.”

19-25 febbraio: dalle lodi a Sam Presti all’incontro riparatore

Non pago del polverone sollevato con l’intervista a Lloyd, James decide di alzare ancora l’interesse intorno alla discussione nella conferenza stampa post-allenamento durante l’All-Star Saturday. Ai giornalisti, infatti, LeBron rilascia dichiarazioni contrastanti, tra cui spiccano le lodi a Sam Presti, general manager degli Oklahoma City Thunder e, come fatto notare da molti, tra i pochi potenziali interessati a Bronny, vista l’enorme mole di scelte accumulate.

“L’Mvp di OKC è Sam Presti. Lui è l’MVP. Giddey è forte, ma, voglio dire, Sam Presti, non capisco che tipo di occhio abbia per scegliere KD, Russ, Ibaka, Jeff Green.”

Terminato il weekend, con tanto di tiro della vittoria, la settimana si apre con la firma di Goran Dragic, obiettivo dei Lakers nel buyout market, per i Brooklyn Nets. Un altro colpo per James, che decide di prendere di petto la questione, facendo organizzare una riunione da Rich Paul con Pelinka e Jeanie Buss.

Da lì, una pioggia di smentite, con LeBron che ritratta molte delle sue dichiarazioni nella conferenza stampa post-sconfitta contro i Los Angeles Clippers e Rich Paul che fa la parte del paciere, ricordando la “stretta collaborazione” che lega il gruppo – che cura gli interessi anche di Anthony Davis – ai Lakers e l’ottimo rapporto tra le parti.

Le dichiarazioni – e i tweet – tuttavia sono difficilmente cancellabili o modificabili, e – nonostante, come detto, l’ipotesi più comune sia quella di una permanenza di James – le tensioni non sembrano essere ancora superate.