Prestazioni, impatto, statistiche avanzate e record di squadra. Diversi candidati, chi sarà il Most Valuable Player?

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Alla riapertura delle danze dopo l’All-Star Break, tra le altre cose, entra come ogni anno nel vivo la contesa del premio individuale più prestigioso dell’NBA: l’MVP della stagione regolare.

Le discussioni sui criteri per assegnare il premio spopolano ciclicamente ogni primavera, ma la verità è che non ne esiste uno gerarchicamente sopra gli altri, anzi tutto dipende dalla situazione contingente, oltre che dall’aura che accompagna determinati giocatori in determinate stagioni.

A volte a essere premiato è il miglior giocatore della squadra con il miglior record, altre volte è il giocatore con le statistiche più appariscenti, altre ancora quello con le migliori statistiche avanzate (come accaduto lo scorso anno) o quello con la miglior “narrativa”. L’unica cosa di cui possiamo essere certi è che la decisione finale non verrà condivisa da tutti, non ci sarà quasi mai un MVP votato unanimemente come nel 2016, perché i candidati sono sempre tanti e con argomentazioni valide.


Per fare un minimo di ordine, occorre indicare dei favoriti, che sicuramente ci sono, e degli outsider. Lo possiamo fare dividendo i migliori giocatori della stagione 2021/22 in tier:

  • Tier 1: i frontrunner, coloro che quasi sicuramente si contenderanno il premio fino alla fine.
  • Tier 2: Gli outsider, giocatori che molto probabilmente non vinceranno ma potrebbero entrare nel dibattito con un’ultima parte di stagione miracolosa.
  • Tier 3: I giocatori che sicuramente non vinceranno il premio in questa stagione, ma meritano comunque di essere nominati.

Tier 1: i favoriti

  • Nikola Jokic

Non basterebbe un intero libro per raccontare quello che sta facendo Nikola Jokic in questa stagione, le sue prestazioni sono quasi un unicum nella storia.

A testimoniare la grandezza della sua annata non sono tanto le statistiche di base, nonostante viaggiare a 26 punti e 8 assist di media con il 63% di True Shooting non sia proprio alla portata di tutti, quanto le statistiche avanzate che provano a calcolare l’impatto generale (all-in-one) di un giocatore.

Su tutte, il serbo registra al momento un Box Plus/Minus (di Basketball Reference) pari a 14.1 che, se confermato a fine stagione, sarebbe il più alto della storia. Se pure volessimo togliere il fattore difensivo, influenzabile dai rimbalzi, il 9.4 di Offensive Box Plus/Minus sarebbe comunque il quarto migliore a livello all-time.

Se si considera invece la statistica avanzata LEBRON di Basketball Index, lo scenario non è così esaltante ma quasi, considerando che il 7.21 di Jokic rappresenterebbe il quinto miglior dato dal 2009, anno in cui parte il calcolo di questo dato.

Come si spiegano certe rarità nelle statistiche avanzate?

In primo luogo con l’efficienza al tiro fuori scala che sta mantenendo. Il suo 63% di True Shooting è nove punti percentuali sopra la media della lega, ed è frutto di completezza nelle varie conclusioni: 71% al ferro, 56% dal mid-range, 38% da 3 punti. Il suo scoring è tutt’ora abbastanza sottovalutato; basti considerare che segna con il 60% di eFG% in situazioni di post-up, superando del 10% il re della lega in questo particolare, Joel Embiid, di cui parleremo in seguito.

Ma ciò che rende davvero unico il gioco di Jokic è senza dubbio l’abilità innata nel coinvolgere i compagni. Le sue skills di realizzazione vengono spesso messe al servizio della squadra, quando gli avversari cominciano a utilizzare i raddoppi e Nikola riesce praticamente sempre a trovare la soluzione migliore. È infatti responsabile in media del 38% degli assist per i canestri segnati dai suoi compagni.

Insomma, non è strettamente necessario guardare le statistiche più complesse per riconoscere quello che sta facendo Nikola Jokic, anche se sicuramente aiutano. Oltre a essere migliorato nella metà campo difensiva, nell’attacco dei Denver Nuggets passa tutto dalle sue mani, e tra i compagni non c’è un singolo creator in grado di togliergli carico offensivo; non a caso, il suo On/Off è +24.7 (il più alto nella lega), e con lui in panchina i compagni segnano 103.3 punti ogni 100 possessi (nono percentile). E al netto di tutto questo, Denver occupa al momento il sesto posto nella Western Conference.

Per tutti questi motivi, se dovessimo considerare il solo e puro impatto totale sul campo, probabilmente non ci dovrebbero essere molti dubbi nell’assegnare il secondo MVP consecutivo al serbo.

  • Joel Embiid

Al fianco di Nikola Jokic troviamo, per il secondo anno consecutivo, un altro centro. Joel Embiid. Separato dall’MVP della scorsa stagione solo da un infortunio al ginocchio, la stella dei Philadelphia 76ers si gioca le sue chance grazie a un 2022 in cui finora ha giocato divinamente. Dopo un avvio di stagione in linea con i suoi standard, ha infatti concluso un mese di gennaio da 34 punti e 5 assist di media con il 64% di True Shooting, seguito da un febbraio da 32 punti e 5 assist di media con il 60% di TS.

Grazie all’exploit avuto nel nuovo anno, la sua media punti in stagione sfiora quota 30, e i 4.5 assist di media rappresenterebbero il suo career-high, frutto di un sensibile miglioramento nel coinvolgimento dei compagni e nella gestione dei raddoppi, testimoniato anche dal rapporto assist:usage pari a 0.68, anche questo mai così alto in carriera.

A colpi di prestazioni realizzative stupefacenti Embiid si è dunque guadagnato la presenza nel dibattito per l’MVP. Tuttavia, il suo impatto generale risulta probabilmente ancora un gradino sotto rispetto a Jokic, per continuità nell’efficienza e produzione per i compagni. Guardando alle avanzate, il camerunense è inferiore al serbo per BPM e LEBRON, con rispettivamente 9.9 (comunque un dato straordinario) e 6.4. Il suo On/Off è invece +9.8, alto ma non paragonabile a quello di Jokic, soprattutto grazie a un miglior supporting cast a disposizione.

La distanza tra i due, però, è tutt’altro che incolmabile. Se Embiid continuerà a segnare così tanto e con questa facilità, e i Sixers concluderanno la stagione regolare con un record significativamente superiore a quello dei Nuggets, l’MVP andrà con buone probabilità a lui.

Per il secondo dei due fattori, sarà decisiva la presenza del nuovo arrivato James Harden, il cui apporto si preannuncia esaltante (qui le prime impressioni sul fit Harden-Embiid).

  • Giannis Antetokounmpo

Stiamo forse cominciando a dare per scontato l’uscente MVP delle Finals? Il dubbio è legittimo, dato che mentre tutti parlano di lotta a due, lui viaggia a 29 punti e 6 assist di media con il 63% di True Shooting. E nonostante le assenze sparse di Jrue Holiday e Khris Middleton e quella prolungata di Brook Lopez, i Milwaukee Bucks sono ancora in piena corsa per le primissime posizioni della Eastern Conference.

E’ francamente impressionante come Antetokounmpo riesca a tenere certi numeri e un certo impatto, anche nella sua metà campo, nonostante adotti quella che da fuori sembra velocità da crociera. Le sue statistiche avanzate non hanno granché da invidiare a quelle degli altri due, e soprattutto a Embiid, di cui supera anche l’efficienza al tiro; il BPM del greco è infatti 11.3, e il suo On/Off +11.8.

Come detto prima però, nell’assegnazione di questo premio la percezione e la narrativa del momento sono fattori che fanno spesso la differenza. Oltre al pericolo di dare per scontato un giocatore che ormai si gioca lo scettro di migliore della lega, si può considerare anche la cosiddetta “fatica dei votanti”, che per il vincitore del 2019 e del 2020 (e Finals MVP pochi mesi fa) può risultare determinante.

Per quanto sta facendo vedere sul campo, però, è impossibile escludere Antetokounmpo da questa discussione.