Un viaggio attraverso le clausole più assurde inserite nei contratti NBA: tra bonus impossibili, curiosità e follie di agenti, giocatori e dirigenti.
Gratta, gratta gratta, amico mio
– Franco Califano
si nun voi mori’ de fame
come stavo a mori’ io.
Nella storia della NBA, circa 4.700 giocatori sono riusciti a scendere in campo in una gara ufficiale. La matematica o la statistica non sono mai state il mio forte, ma credo che le probabilità di raggiungere questo traguardo siano simili a quelle di trovare un lingotto d’oro in una piscina comunale.
Per la stragrande maggioranza degli atleti l’arrivare nella lega non significa “avercela fatta”, dato che la carriera media in NBA dura circa quattro anni: il che, come il Califfo ci ricorda, invita a “grattare” il più possibile, perché del doman non v’è certezza.
Questo assunto ha portato – e continua a portare – agenti e atleti a cercare di strappare i migliori contratti possibili: a volte inserendo clausole assurde che possono, se scoperte, portare al pubblico ludibrio. In altri casi sono invece le franchigie che inventano postille al limite della commedia, cercando di tutelarsi da giocatori in forza ai loro roster che evidentemente non danno troppe garanzie.
Molte di queste condizioni sono venute a galla, altrettante probabilmente non le conosceremo mai: di seguito vediamo una rassegna delle più curiose, raggruppate in diverse categorie.
CATEGORIA GRATTONI
Per questa categoria è difficile non partire da questo capolavoro.
Ultima partita dell’anno per i Bucks, che hanno tutte le intenzioni di far riposare i propri titolatissimi in vista dei Playoffs alle porte: Giannis e Middleton su tutti non hanno nemmeno la divisa addosso. Jrue Holiday invece è in quintetto, anche se dopo una manciata di secondi – e un curioso fallo volontario – viene sostituito e non rientrerà più per il resto della gara. 8 secondi che gli valgono 306mila dollari, un bonus previsto in caso la point guard dei campioni in carica avesse disputato 67 gare stagionali. Un peccato non venirgli incontro, quando si era fermato a 66…
Altro caso interessante è stato quello – qualche stagione precedente – legato a Moe Harkless e le sue percentuali nel tiro da tre punti. La stagione 2016/17 sta volgendo al termine, mancano quattro gare e l’ala dei Blazers ha una percentuale dalla lunga del 35.1%.
Chissenefrega, direte voi. Per il vecchio Moe, invece, ci sono 500mila motivi per mantenere tale statistica, ed essendo la media così in bilico c’è un solo modo per farcela: non tirare mai.
Degli ultimi 192 minuti della Regular Season, Harkless ne gioca 88 senza prendersi neanche un tiro da tre punti: curiosa privazione, per uno che ne aveva lasciati partire quasi 200 in un anno. Prima dell’ultima gara contro i Pelicans, viene scoperto e interrogato da un giornalista. “Hai intenzione di tirare da 3 oggi, Moe?” – “Tu lo faresti?” Effettivamente…
Oltretutto, i Blazers hanno già un sicuro posto Playoffs, quindi la marachella di Harkless non rischia di compromettere chissaché. Rispetto.
Questo tipo di clausole, comunque, non riguardano esclusivamente i giocatori: possono toccare anche i dirigenti delle franchigie.
In seguito all’affair-Sterling, la moglie Shelly assume l’incarico di cedere i Clippers a Steve Ballmer, ex CEO di Microsoft e attuale proprietario della squadra.
La vendita fila piuttosto liscia, ma quando l’affare è fatto, dal contratto saltano fuori alcune clausole tra il surreale e il miserabile, che non possiamo annotare. A Miss Sterling viene riconosciuto il titolo di “Clippers Number One Fan”, ruolo che pur rimanendo sulla carta non verrà mai tolto a Billy Cristal. Inoltre, ha chiesto e ottenuto 12 biglietti gratis a partita – di cui due a bordo campo – oltre a 6 parcheggi, 12 VIP pass e, in caso di vittoria dell’anello dei Clippers, tre anelli celebrativi. Aspetta e spera, Shelly…
CATEGORIA PESO
Zion Williamson ha recentemente vergato un’estensione contrattuale da 193 milioni di dollari, cifra che potrebbe salire in caso di vari bonus in caso di selezioni nell’All-NBA Team o altri premi. Un’altra clausola difficilmente verrà dall’entourage giocatore: prevede che il giocatore venga pesato regolarmente e la somma del suo peso e del suo grasso corporeo non dovrà mai superare una certa soglia, per sbloccare ulteriori premi da questo sontuoso contratto (tutti i dettagli QUI).
Questo “stimolo” extra non è una novità, anzi: nel tempo giocatori come Mario Chalmers o “Big Baby” Davis hanno avuto simili trattamenti per garantire un maggior impegno nella cura del proprio corpo.
Sull’esempio della clausola per Glen Davis, i Lakers dopo il Draft 2010 decidono di applicare lo stesso principio per la loro 58esima chiamata, Derrick Caracter, centro undersized in uscita da UTEP. Il suo contratto post Summer League gli garantiva solo 250mila dollari annui, che potevano addirittura raddoppiare in caso il suo peso non superasse i 125 kg.
Non mangio più carne rossa o cibi trattati. Ho scoperto che eliminando questi cibi sto molto meglio e ho molta più energia.
Dopo neanche un anno in NBA, Derrick inizierà un viaggio in giro per il mondo, passando da Puerto Rico al Brasile, e fino alle Filippine. Giudicando da alcune fotografie, abbiamo l’impressione che abbia ripreso con le carni rosse…
Altro veterano di questo bonus contrattuale è l’indimenticato Boris Diaw, che negli anni precedenti alla vittoria dell’ultimo anello degli Spurs ha alzato ulteriormente il livello del suo gioco, anche aiutato da una miglior condizione fisica. San Antonio aveva previsto per lui fino a 500mila dollari-extra in caso fosse riuscito a restare al massimo sui 254 pounds dopo tre sessioni ufficiali di peso: a ottobre, dopo la sosta per l’All-Star Game e all’inizio della post-season. A quanto pare, dal 2012 al 2014, il francese è riuscito ad ottemperare alle richieste; sul dopo non ci giurerei…
CATEGORIA AUTOSTIMA
Questa categoria è a mani basse la mia preferita.
A metà tra la gag e la follia, si scoprono, nei meandri dei contratti professionistici, clausole figlie o di un’insensata autostima o di un ottimo senso dell’umorismo.
Humour che di certo non manca a casa Luke Ridnour, che nel 2015 ha risposto ai giornalisti di essersi “divertito” quando in meno di una settimana è stato scambiato da ben quattro squadre: da Seattle a Memphis, poi a Charlotte a infine a Toronto, decretando un record NBA che difficilmente verrà battuto.
Nel 2006, però, una postilla nel suo rinnovo di contratto coi SuperSonics aveva fatto alzare più di un sopracciglio, alla ricerca di un senso: un bonus di oltre un milione e mezzo di dollari in caso venisse nominato Defensive Player of the Year. Spoiler: non è mai successo, e chi anche solo vagamente lo ricorda in azione sa bene il perché.
Profondo rammarico invece per il prossimo protagonista e la sua “clausola autostima” mai realizzatasi.
Rafer Alston, aka Skip To MY Lou, è stato uno dei pochi esemplari di giocatore da playground puro – affiliato al carrozzone dell’And 1 Mixtape Tour – a costruirsi una carriera NBA solida e duratura, nel suo caso durata ben 11 anni, disputando anche delle Finals con Orlando nel 2009.
Anni in cui è stato per lo più una point guard di supporto, ma in cui la fiducia in sé nata nelle strade del Queens non è mai calata, spingendolo a chiedere un contributo extra di circa 350mila dollari al suo contratto in caso di chiamata all’All-Star Game.
Caro Skip, per me saresti stato titolare alla partita delle stelle ogni singolo anno.
È andato ben oltre con l’immaginazione Adonal Foyle, sbarcato ai Warriors dal Draft 1997, scelto all’ottava chiamata dopo una carriera collegiale importante in quel di Colgate University. Mezzo milione di dollari in caso di nomina a MVP, altro mezzo milione in caso di nomina a MVP delle Finals. Risate.
La sua migliore stagione in carriera non supererà i 6 punti e i 7 rimbalzi a uscita.
Ultimo eroe dalla clausola di MVP mancato è Nick Collison, con un bonus fissato a 100mila dollari: una cifra tutto sommato contenuta, che fa pensare a un puro divertissement in sede notarile.
CATEGORIA WEIRDOS
Avete indovinato: la speciale categoria dedicata alle clausole più assurde e particolari parte con una storia legata ai Clippers…
Nel 2008 il Barone firma un quinquennale da 65 milioni di dollari coi cugini sfigati della Città degli Angeli, reduci da una stagione imbarazzante da 23 vittorie e 59 sconfitte. Baron Davis arriva pronto ad affiancare Elton Brand, nella speranza di creare un asse quantomeno leggermente più vincente.
Risultato: Brand esce dal contratto, accasandosi a Philadelphia, lasciando Davis da solo a combattere contro i mulini a vento.
Sterling è talmente disperato che è disposto ad offrire al giocatore simbolo del suo roster un bonus da un milione di dollari in caso giocasse almeno 70 partite e se la squadra chiudesse a 30 vittorie stagionali. Proprio così: evidentemente il front office Clippers riteneva una stagione da 30-52 come un traguardo interessante.
Purtroppo manco questa soddisfazione pecuniaria per il Barone: nell’unica delle tre stagioni in cui resta sano per 70 gare, la squadra si ferma a 29 vinte. Sigh.
A proposito di stranezze non poteva mancare il Red Rocket Matt Bonner, carriera da fedele scudiero ultra-decennale con due titoli NBA agli Spurs, soprattutto grazie a percentuali di tiro mantenute sempre altissime, sia da due, sia da tre punti che ai liberi. Per certificare questo talento, nel 2010, gli Spurs gli hanno offerto un incentivo che sembra uscito direttamente dalla mente diabolica di Pop: 100mila dollari extra nel caso le percentuali combinate raggiungessero il 169%. Purtroppo Bonner non andrà oltre un 157% combinato.
Difficilmente superabili in quanto ad assurdità, ecco le ultime postille contrattuali scelte.
La prima riguarda Steve Novak, ricordato soprattutto per le due stagioni a New York in cui, grazie a un tiro dalla lunga distanza molto affidabile, si è ritagliato un discreto spazio. Proprio negli anni ai Knicks, la dirigenza ha imposto sul suo contratto una clausola che nel caso non venisse rispettata comportava una sonora multa da oltre 100mila dollari. Novak avrebbe dovuto evitare completamente di entrare a contatto con cani, a causa di una forte allergia che avrebbe rischiato di comprometterne la sua salute, quindi impedirgli di giocare.
Per la seconda facciamo un salto indietro nel tempo: una delle più romantiche clausole a un contratto mai esistite non poteva che essere legata al nome di quell’adorabile fricchettone di Bill Walton.
Nell’estate del 1978, un anno dopo il titolo NBA raggiunto, la leggenda di UCLA chiede la cessione ai Portland Trail Blazers, in rotta con il front office per il trattamento riservato a lui e a diversi suoi compagni nella gestione dei loro infortuni. Nel caso di Walton è una frattura al piede, che la società chiede di “trattare” con antidolorifici: il centrone salterà l’intera stagione, un po’ per protesta, un po’ per la serietà dell’infortunio, lasciando finalmente l’Oregon nel 1979, per firmare con i San Diego Clippers.
Un accordo da 7 milioni di dollari in 7 anni e la famosa clausola di cui sopra: 8 biglietti per ognuno dei 7 concerti di Bruce Springsteen previsti alla Sports Arena a fine ottobre. Scelta romantica e anche molto pratica: i concerti erano tutti soldout e con una passione per il rock nettamente superiore a quella per la pallacanestro, perdersi il concerto del Boss per Walton era impensabile.