Nel 1950, Nat Clifton divenne il primo giocatore di colore a firmare un contratto NBA.

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Questo contenuto è tratto da un articolo di Marc J. Spears per Andscape, tradotto in italiano da Davide Corna per Around the Game.



C’è una lunga lista di giocatori che sono passati da Chicago e sono poi diventati All-Star in NBA: Isiah Thomas, Dwyane Wade, Derrick Rose, Doc Rivers, Maurice Cheeks, Mark Aguirre, Terry Cummings, Michael Finley, Tim Hardaway, Rickey Green, Juwan Howard, Cazzie Russell, George Mikan, Jeff Hornacek, Hersey Hawkins, Antoine Walker e Anthony Davis.

E poi, c’è un ex-All-Star NBA che viene spesso dimenticato: Nat Clifton, che più di 70 anni fa divenne il primo giocatore afroamericano a firmare un contratto NBA. “Tutti quelli che l’hanno conosciuto probabilmente non ci sono più”, ha detto a The Undefeated la figlia di Clifton, Jataun Robinson-Swopes.

Clifton era un fenomeno sia a basket che a baseball alla DuSable High School di Chicago negli anni ’40, dopo che la sua famiglia si era trasferita in Arkansas, quando Nat aveva 8 anni. Era stato preso soprannominato Sweetwater”, “acqua dolce”, per la sua predilezione per le bibite zuccherate; da bambino, infatti, Nat non poteva permettersi di comprare le bibite in commercio, e quindi si era abituato a versare semplicemente dello zucchero in un bicchiere d’acqua. Come dichiarò lui stesso al New York Times, “mi diedero quel soprannome da bambino, perché l’unica cosa che volevo bere era acqua zuccherata”.

Clifton andò a giocare a Xavier University, in Louisiana, prima di servire per tre anni nell’esercito. Dopo il periodo di leva, Clifton diventò il primo afroamericano a giocare per i Dayton Metropolitans; poi giocò per i New York Rens, composti esclusivamente da giocatori di colore, e in seguito per gli Harlem Globetrotters, anche loro composti in quel frangente solo da giocatori neri.

Sebbene lo stipendio di $10.000 di Clifton con i Globetrotters fosse probabilmente il più alto di sempre per un giocatore di colore, “Sweetwater” si scontrò con Abe Saperstein, proprietario dei Globetrotters, per il fatto che i bianchi venissero pagati di più.

Nel 1950 i Globetrotters cedettero il contratto di Clifton ai New York Knickerbockers per $12.500, di cui $2.500 andarono allo stesso Nat, che divenne il primo afroamericano a firmare un contratto NBA, unendosi ad altri “pionieri” di colore come Chuck Cooper e Earl Lloyd. Cooper fu il primo afroamericano scelto al Draft NBA, chiamato dai Celtics alla numero 14 nel 1950; Lloyd, scelto allo stesso Draft con la pick numero 100 dai Capitals, fu il primo afroamericano a giocare una partita NBA.

Tutti e tre ebbero a che fare con il razzismo, sia dentro che fuori dal campo. Robinson-Swopes ricorda i racconti di suo padre a riguardo:

“La squadra non lo trattò male. Ma in altri posti… Ad esempio, non lo accettavano negli hotel che ospitavano la squadra. La squadra lo difendeva e lottava per lui, ma lui ci diceva sempre che non avrebbe augurato a nessuno delle esperienze del genere. C’era gente piena di pregiudizi, per strada lo chiamavano ‘negro’, gli dicevano – Torna a casa, negro! Ci diceva sempre che era dura.”

Clifton era anche convinto che il fatto di essere nero in una Lega che era allora a forte prevalenza bianca gli impedì di essere riconosciuto maggiormente come la stella che era.

“Sapevo segnare, avevo già dimostrato di essere bravo in attacco sia con i Globetrotters che a Xavier”, dichiarò Clifton a The Associated Press. “Ma in NBA, visto che ero grosso e forte fisicamente, venivo accoppiato a gente come George Mikan, Dolph Schayes, Bob Pettit e Ed McCauley. Inoltre, non c’erano giochi disegnati per me. Perché? Essendo l’unico nero in squadra, ho sempre pensato che il motivo fosse questo.”

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Clifton mantenne una media di 10.3 punti, 8.5 rimbalzi e 2.7 assist giocando quasi sempre titolare per i Knicks dal 1950 al 1957. Fece la sua unica apparizione all’All Star Game al Boston Garden, nel 1957, totalizzando 8 punti, 11 rimbalzi e 3 assist, che contribuirono alla vittoria dell’Est.

Clifton fu poi scambiato con i Fort Wayne Pistons nel 1957, e si ritirò dall’NBA l’anno seguente. Dopo essere tornato agli Harlem Globetrotters per due stagioni, subì infortunio al ginocchio e si ritirò definitivamente dal basket. Lavorò quindi come tassista a Chicago.

Robinson-Swopes dice che suo padre, che fu introdotto nella Black Athletes Hall of Fame nel 1978, era una celebrità a Chicago anche molti anni dopo la fine della sua carriera, e andava spesso a vedere le partite dei Bulls. “C’era anche gente che veniva a casa nostra cercando di avere un suo autografo. Oppure cercavano di trovare il suo taxi. Dicevano sempre che mio padre era stato un grande cestista, si ricordavano di lui. Faceva un sacco di interviste e dava molti consigli, ma non tornò mai in NBA come coach. Guidava un taxi perché voleva mantenere un basso profilo, ma poi qualcuno lo scoprì e la voce si diffuse”.

Clifton, ovviamente, guidava un taxi perché aveva bisogno di soldi: gli stipendi non erano elevatissimi, e quando si ritirò dall’NBA, la lega doveva ancora introdurre una pensione per i giocatori – la prima offerta di questo tipo arrivò nel 1965. Michael Jordan in merito ha dichiarato:

“Allora non c’era alcun piano di benefit. Per questo giocatori come Clifton spianarono la strada non solo per i neri, ma anche per gli sportivi bianchi. I giocatori come Nat Clifton dovrebbero ricevere qualche riconoscimento per aver reso l’NBA ciò che è oggi. Senza persone come lui, la gente come me non avrebbe quello che ha oggi”.

Clifton morì per un infarto mentre lavorava come tassista il 30 agosto del 1990. 24 anni dopo la sua morte, venne introdotto nella Basketball Hall of Fame.

“Ero orgogliosa di lui, ma ero triste perché lui non poteva essere lì a ricevere il riconoscimento”, ha detto sua figlia. “E mi sentii fuori posto. In quel momento dissi – era ora! Ma non lo intendevo in senso negativo. Se fosse stato lì, anche lui avrebbe detto la stessa cosa. Aveva aspettato per anni, era stato nominato più volte, ma non era mai entrato nella Hall of Fame, e ogni volta rimaneva deluso”.

Jerry Colangelo, presidente della Hall of Fame e nativo di Chicago, ha dichiarato: “Una cosa che ho notato qualche tempo fa è che molta gente è stata trascurata, e così abbiamo creato nuove categorie come quella dei pionieri afroamericani. Era l’unico modo per farli entrare, perché altrimenti nessuno si ricorda più di chi ha giocato negli anni ’40. Quando facciamo le selezioni per queste categorie, non c’è nessuno che abbia conosciuto gli atleti o li abbia visti giocare. Poi però senti i racconti e l’impatto che hanno avuto, come hanno dato inizio a un cambiamento della società e della cultura. Meritano di essere onorati e riconosciuti.”

Robinson-Swopes era, per conto del padre, fra le persone a cui hanno reso onore i Memphis Grizzlies durante il Martin Luther King Day del 2020.

“Avevamo lo stesso cuore”, ha detto la figlia. “Eravamo come anime gemelle. Ogni anno nel Black History Month la gente gli rende onore, ed è bello. Vorrei solo che fosse qui ora, perché dopo un po’ la NBA ha inizato a mancargli.”