Micheal_Jordan_NBA_Around_the_Game

 


© The Basketball Writers

 

Questo articolo, scritto da Bob Bajek per The Basketball Writers e tradotto in italiano da Pietro Campagna per Around the Game, è stato pubblicato in data 16 gennaio 2020.

 

 

 

 

 

L’All-Star Game torna a Chicago dopo 32 anni.

 

I Bulls non manderanno nessun rappresentante alla partita delle stelle, ma l’ultima volta il giocatore più importante della storia della franchigia sfruttò l’occasione per cambiare la sua carriera. Con il tempo lo United Center sarebbe diventato “La casa costruita da MJ”, ma prima doveva lasciare il segno anche sul vecchio Chicago Stadium.

 

Il 1988 è stato un anno spartiacque per Michael Jordan, nonostante i titoli fossero ancora lontani. L’All-Star Game nella windy city si dimostrò l’occasione perfetta per svoltare.

 

Ai tempi Jordan era già idolo dei tifosi, tutti volevano essere “like Mike”, ma le altre stelle della Lega e soprattutto i media non apprezzavano allo stesso modo il quasi venticinquenne, spesso descritto come un giocatore tutto flash e niente sostanza, senza mentalità da vincente. MJ in quel weekend consolidò la sua posizione di miglior giocatore della Lega, dominando con prestazioni memorabili lo Slam Dunk Contest e la partita della domenica, facendo valere anche il suo status di stella di casa.

 

Con l’All-Star Game di ritorno nel 2020 potete scommettere che molti di questi ricordi torneranno nelle menti dei tifosi dei Bulls. Ma non va dimenticato il contesto, che rende la leggenda ancora più bella…

 

 

NO RESPECT

 

Jordan sentiva di non essere trattato come meritava dopo la stagione 1986/87, nella quale aveva registrato la più alta media punti, 37.1 a partita, dalla stagione 1961/62 (Wilt Chamberlain, 50.4 a sera). MJ nella stessa stagione registrò anche 430 rimbalzi, 377 assist, 236 rubate e 125 stoppate, diventando il primo giocatore nella storia a fare una stagione con oltre 200 rubate e 100 stoppate. Nonostante i numeri da capogiro, i media continuavano a non dargli il rispetto che si era meritato.

 

Finì secondo, dietro Magic Johnson, nelle votazioni per l’MVP, peraltro con un margine significativo, ricevendo 449 punti rispetto ai 733 di Magic. Il terzo classificato fu Larry Bird con 271 punti. I giocatori, i media e i tifosi consideravano ancora Magic e Larry i giocatori simbolo della Lega, soprattutto perché avevano vinto 7 degli ultimi 8 titoli, mentre Jordan ancora non aveva anelli alle dita.

 

Gli veniva criticato di essere troppo egoista, di non rendere i suoi compagni migliori. Dopotutto il suo record ai Playoffs era di 1-9 al tempo, e vincere è l’unica cosa che conta per valutare un giocatore, o così dicevano – suona familiare vero? A volte le cose non cambiano…

 

 

Ma le critiche erano fondate?

 

Nel 1986/87 Jordan aveva dati migliori di Magic e Bird in Player Efficiency Rating, Win Shares e Value Over Replacement, nonostante fosse la fonte primaria di gioco in una squadra con un record di 40 vinte e 42 perse.

 

Bird e Magic si scontrarono alle Finals di quell’anno, beneficiando di un supporting cast infinitamente migliore di quello che invece aveva a disposizione MJ. Bird aveva tre compagni – McHale (15.2 WS), Parish (9.2 WS) e Danny Ainge (6.7 WS) – con Win Shares maggiori del miglior compagno di Jordan, John Paxsons (6.0 WS), mentre Magic ne aveva addirittura cinque di compagni con dati migliori – James Worthy (9.3 WS), Byron Scott (7.7 WS), A.C. Green (7.6 WS), Kareem Abdul-Jabbar (7.5 WS) e Micheal Cooper (6.1 WS).

 

Essendo uno sport di squadra Magic e Bird riuscirono a vincere di più, nonostante Jordan individualmente sormontasse entrambi. Ma MJ doveva essersi segnato a calendario il weekend del 6 e 7 febbraio 1988…

 

 

L’OMAGGIO A DR. J PER SUPERARE DOMINIQUE WILKINS

 

Potrebbe essere difficile da ricordare, ma le schiacciate erano l’highlight principale del basket, prima che Curry cominciasse a tirare da metà campo. Lo Slam Dunk Contest fu introdotto nel 1976 nella ABA, e nella NBA nel 1984, con l’intento di mettere in mostra l’incredibile atletismo delle stelle della Lega. Ad oggi l’evento ha visto la partecipazione di 13 presenti e futuri membri della Hall of Fame, contando anche Kobe, Dwight Howard, Vince Carter, Giannis e Paul George.

 

Oggi i giocatori saltano di tutto, dai compagni di squadra ai SUV, ma ai tempi la competizione era ancora nuova, meno elaborata.

 

Jordan aveva vinto l’anno prima, e quindi avrebbe dovuto difendere il titolo sul campo di casa da Dominique Wilkins, Clyde Drexler, Greg Anderson, Jerome Kersey, Otis Smith e il vincitore del 1986, Spudd Webb.

 

La sfida tra MJ e ‘Nique fu l’attrazione principale, qualcosa che i tifosi aspettavano dal 1985, quando Wilkins vinse il duello (Jordan vinse il titolo del 1987 con Wilkins fuori per infortunio). Questa leggendaria sfida che vedeva rivali due incredibili scorer e atleti si mostrava anche durante le partite, come ad esempio quella del 10 dicembre 1986:

 

 

Quel 6 febbraio 1988, due si diedero battaglia in un Chicago Stadium pronto ad esplodere. ‘Nique si affidò alle sue tipiche devastanti windmill, e a delle self-oop che si potevano sentire dalle file più lontane del pubblico. Jordan divenne Air Jordan contando sulla sua capacità di galleggiare in aria, saltando da molto lontano.

 

 

MJ disse ai giornalisti che avrebbe voluto emulare il suo idolo di infanzia, Julius Erving, e la sua storica schiacciata dalla linea del tiro libero (1976). Sono in molti a pensare che Dr. J fu il primo a rendere la schiacciata una forma d’arte, e Michael seguì le sue orme.

 

 

Wilkins stava vincendo la finale contro Jordan, e con l’ultima schiacciata avrebbe potuto matematicamente prendersi il titolo, ma la sua windmill ricevette un punteggio di 45 su 50 dalla giuria, che contava sull’ex Chicago Bears Gale Sayers e sul ritirato Tom Hawkins, originario di Chicago.

 

Jordan a quel punto creò l’aspettativa tra il pubblico, andò verso la parte opposta del campo, e dopo una rincorsa spiccò il volo verso il canestro. 50 punti, il titolo di Slam Dunk Champion e una perfetta icona per le sue scarpe.

 

 

 

 

A SCUOLA DA MJ

 

Jordan, poi fece il bis con la partita della domenica, brillando tra le altre stelle. Sul campo c’erano 16 Hall of Famers, sei dei quali capaci di vincere più premi di MVP. Il “Monte Rushmore della NBA”, composto da Magic, Bird, MJ e Abdul-Jabbar, condivise il campo che oggi tragicamente è il parcheggio dello United Center.

 

Jordan sicuramente ricordava che Isiah Thomas e altri lo avevano escluso dalla partita delle stelle del 1985, complice la gelosia per la rapida ascesa di “His Airness”. Con questo ricordo ben chiaro in mente, Jordan non fece prigionieri.

 

 

Magic (17 punti e 19 assist), Thomas (8 punti e 15 assist),  Malone (22 punti e 10 rimbalzi) e Wilkins (29 punti) giocarono una buona partita. Jordan andò nella stratosfera.

 

La prima azione della partita è simbolica, Alex English, stella dei Nuggets, taglia a canestro e prova un floater, respinto con perdite dal padrone di casa. Poi un gioco di prestigio in palleggio per mantenere il contropiede dopo un rimbalzo, un canestro di abilità e atletismo evitando Fat Lever, Magic e James Donaldson, lasciando Danny Ainge senza parole in panchina.

 

Poi? Un’altra stoppata sul futuro rivale Karl Malone, conclusa con contropiede e schiacciata a canestro. Un morbidissimo jumper in faccia a Lever, una chiusura su Olajuwon, un tap-in in schiacciata, un meraviglioso assist per Ewing e una schiacciata su alley-oop di Thomas…

 

MJ chiuse la gara con 40 punti, tirando 17/23, 8 rimbalzi, 4 rubate, 4 stoppate e 3 assist, e ovviamente il titolo di MVP della gara.

 

 

E ALLA FINE…

 

L’incredibile weekend di MJ servì a spazzare via le critiche più dure da parte della stampa e degli altri giocatori, che finalmente si resero conto che Jordan era speciale, destinato a lasciare un segno indelebile sulla storia del gioco. O comunque se non volevano ammetterlo sicuramente da quel momento avrebbero fatto più fatica a contestarlo.

 

A maggio vinse il suo primo premio di MVP con 35 punti, 5.9 assist e 5.5 rimbalzi di media, e 21.2 di Win Shares. Vinse anche il premio di difensore dell’anno, con 3.2 rubate e 1.6 stoppate. Portò a casa la sua prima serie Playoffs, continuando a produrre numeri impressionanti in tutto il 1988, con il suo primo anello dietro l’angolo.

 

Negli anni successivi, segnò per sempre la storia del gioco, vincendo 6 titoli e diventando un’icona della pop culture.

 

 

L’All-Star Game del 1998 fu il punto di svolta.

Lo consacrò come il più grande di sempre, e da lì in poi non si sarebbe più guardato indietro.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

© The Basketball Writers

 

Questo articolo, scritto da Bob Bajek per The Basketball Writers e tradotto in italiano da Pietro Campagna per Around the Game, è stato pubblicato in data 16 gennaio 2020.