Collaborazioni offensive

Premettendo che non scriveremo un tomo, ma un semplice glossario, il più semplice possibile e alla portata di tutti, questa è forse la pagina più complessa da affrontare. Nelle precedenti pagine abbiamo accennato al concetto di collaborazioni, quali ad esempio il pick&roll, la più nota della combinazioni a due, o – in maniera collaterale – a quelle derivanti dai blocchi, l’elemento primario alla base di ogni tipo di azione complessa a due o più giocatori.

Proprio “azione” è una delle parole chiave di questo capitolo, uno di quei termini che molto spesso utilizziamo nei nostri articoli per definire una collaborazione a più giocatori. Le azioni (ci vedrete scrivere “play”, inteso come parte di un possesso offensivo, o “set”, se più concentrati sull’impostazione) sono la base di partenza per la costruzione dei sistemi, basati su un interpretazione delle collaborazioni secondo schemi predefiniti o l’esecuzione continuativa della azioni stesse.

Per evitare di risultare ridondanti, non staremo a ripetere le collaborazioni a due più basilari riguardanti il pick&roll (presenti in massa a pagina 2) o coinvolgenti i blocchi (pagina 1) – come, ad esempio, l’uscita da un pin down screen, un elevator screen e così via. Prenderemo insieme quelle collaborazioni che ci ritroviamo a trattare in maniera molto diffusa, o che necessitano di ulteriori spiegazioni:


  • handoff/dribble handoff: non ne abbiamo parlato prima ma, con ogni probabilità, è la collaborazione a due più utilizzata assieme al pick&roll. Si tratta di un consegnato, che può avvenire dal palleggio (dribble handoff, DHO) o senza che il portatore abbia messo palla a terra (handoff, HO), fra il portatore e un giocatore che si muove off ball. La sua utilità consiste nelle numerose opzioni a disposizioni di entrambi i giocatori coinvolti, soprattutto per il portatore: quest’ultimo può decidere di fintare il consegnato e attaccare il canestro (come spesso accade per Draymond Green), e in questo casi si parla di fake handoff; oppure di consegnare la palla portando un blocco in avvicinamento al difensore del compagno in uscita, regolando la distanza a piacimento. Uno dei maestri di quest’ultima interpretazione è Ben Simmons.
  • Chicago action: azione estremamente diffusa fra quelle coinvolgenti l’handoff, con impostazione di base a tre giocatori. Un primo bloccante imposta un pin down screen per un compagno in uscita dall’ala, il quale corre in punta per ricevere un dribble handoff da un terzo compagno in possesso della palla. Nel caso in cui sia il lungo a portare palla in punta, l’azione prende il nome di “delay Chicago Action”. Anche qui, quello che descriviamo è l’impostazione di base, mentre l’interpretazione dipende dal contesto.
  • Orlando Action: altra azione coinvolgente l’handoff, che – in questo impostazione – viene giocato in ala e seguito poi da un ball screen in zona più centrale.
  • Horns: abbiamo nominato il termine “horns” sia per il pick&roll, sia per i blocchi. Questo perché il set di base è lo stesso: doppio blocco sulla palla in un high pick&roll, e portatore che seleziona il bloccante da utilizzare. Quello che cambia dipende dalle interpretazioni, che vanno dal roll del bloccante attivo con pop di quello passivo, e viceversa, fino all’uso del bloccante inutilizzato come bloccante off ball per un quarto giocatore. Un’azione molto diffusa è l’horns flare: il bloccante attivo coinvolto nel ball screen si apre sul perimetro, mentre il bloccante passivo imposta per lui un flare screen (pagina 1).
  • Pistol: azione molto diffusa per attaccare nei primi secondi dell’azione. Di per sé una collaborazione a tre giocatori, disposti a triangolo (uno in punta, due nei pressi della linea laterale), ma che non necessariamente li coinvolge tutti. Più precisamente, l’azione si svolge potenzialmente in 2 fasi: inizia con due compagni nei pressi della linea laterale, uno senza palla, in posizione più avanzata in ala; l’altro, il portatore, più centrale. Quest’ultimo può decidere se passarla al compagno in ala o se portarla verso di lui per poi utilizzare un dribble handoff. In questa prima fase, la collaborazione fra i due può avere diversi esiti e, molto spesso, chiudere l’azione, che sia direttamente dall’handoff, o da una finta di consegnato o, ancora, da un dai e vai o un taglio backdoor (vedi sotto). Qualora questa prima fase non porti a nulla, subentra il terzo giocatore, situato in punta, il quale può decidere se andare a portare un ball screen o se agire da bloccante off ball per uno degli altri due compagni coinvolti.
  • double drag: ne abbiamo parlato per il drag screen (pagina 1). Collaborazione a 3 molto diffusa, con il portatore che sfrutta due blocchi on ball, uno consecutivo all’altro, in semi-transizione o transizione offensiva. Solitamente, a seguito del passaggio del portatore, uno dei due bloccanti (di norma, il primo) taglia a canestro, mentre l’altro si apre.
  • stagger: ancora doppio blocco, questa volta off ball, effettuato da due giocatori posizionati (staggered) anche a svariati metri di distanza l’uno dall’altro. I blocchi sono impostati per l’uscita di un giocatore senza palla, che riceve da un portatore completando la collaborazione a 4.
  • hammer play: set usato moltissimo dai San Antonio Spurs. Si parte da un impostazione 3 (fuori) – 2 (dentro): uno dei giocatori in ala riceve palla e un ball screen dal compagno dentro più vicino; sul lato debole, l’altro giocatore in ala si muove verso l’angolo, ricevendo un hammer screen (pagina 1) dall’altro giocatore dentro. Questo movimento viene eseguito in perfetto tempismo con il ball screen, dal momento che la fase successiva prevede un passaggio lungo la linea di fondo da parte del portatore designato.
  • floppy action: collaborazione a 5 giocatori. Portatore in punta, giocatore off ball posizionato nei pressi del pitturato in posizione accentrata, pronto ad uscire da uno stagger da un lato e da un down screen dall’altro.

Anche il taglio, un movimento cioè effettuato da un singolo giocatore, è uno degli elementi di una collaborazione. Qui tratteremo i più diffusi o quelli più complessi, facenti cioè parte di collaborazioni offensive basate su schemi e azioni, ripetute in maniera continuativa anche in diverse zone del campo e in maniera consequenziale in uno stesso possesso – da cui il termine continuative offence.

  • Backdoor cut: partiamo dalla parte facile. Il tagliante finge di andare verso il portatore di palla, per poi tagliare rapidamente verso il canestro alle spalle del difensore, colto di sorpresa.
  • Split cut: un esempio di quanto tagli e actions siano legati è lo “split”. In origine, questa è una collaborazione a tre giocatori con un giocatore in ala, uno in punta e uno in post. La palla passa dal giocatore in ala a quello in post: a questo punto, dei due fuori uno taglia a canestro mentre l’altro resta aperto sul perimetro. Nella maggior parte dei casi, il giocatore che passa la palla in post va poi ad effettuare un blocco per l’altro compagno in punta (che si apre in ala) e va infine a tagliare a canestro. Molto nota è la split action giocata dai Golden State Warriors, che hanno anche ideato una variazione: il lungo – anziché in post – riceve in punta, mentre il passatore va a portare un blocco per il giocatore in ala. A questo punto, si innescano una serie di possibilità che vanno dal taglio backdoor prima che arrivi il blocco al ricciolo e ri-blocco per il primo passatore.
  • Blind pig: collaborazione che consiste in due tagli. Uno effettuato dal ricevitore a partire dal post medio verso la punta, seguito da un altro (di un secondo giocatore) backdoor verso il canestro.
  • Iverson cut: parte come una collaborazione a quattro, ma può finire con il coinvolgere tutti e cinque i giocatori. L’impostazione di base è con due giocatori – fra cui il tagliante – alle ali opposte, i due bloccanti ai rispettivi (posizione detta Horns) e un portatore in punta. Uno dei giocatori in ala taglia verso la parte opposta sfruttando i due blocchi portati dai compagni al gomito, mentre il giocatore in ala non coinvolto va a rilocarsi nel lato opposto. Il portatore in punta, nell’assetto originale, la passa al tagliante, che riceve in uscita dai due blocchi. Quest’ultimo puà appellarsi a mille varianti: ricevere sul perimetro e tirare, giocare palla in post a uno dei bloccanti, giocare un isolamento, tagliare anziché aprirsi qualora il difensore sia rimasto indietro e i difensori dei bloccanti non siano attivi etc. L’Iverson cut puà anche servire da “decoy” (azione fantoccio, esca) per attirare le attenzioni della difesa e servire il quinto giocatore non coinvolto nel taglio.
  • Zipper cut: qui inizia la parte complicata. Quella zipper è una continuative offence risalente ai Boston Celtics degli anni ’60, e si basa su quello che è definito “zipper cut”. Quest’ultimo parte da un’impostazione con il portatore in punta e gli altri 4 compagni allineati (da sinistra a destra) all’altezza circa della linea del tiro libero (2 in ala, 2 ai gomiti). Uno dei due giocatori in ala taglia a canestro, e il giocatore al gomito più vicino imposta per quest’ultimo un down screen, permettendogli di uscire in punta. Nel frattempo, il portatore è andato ad occupare la posizione originaria del tagliante. Da qui poi partono le varie opzioni: palla al low post o al tagliante in uscita verso la punta; pick&roll laterale; uscita del giocatore nell’ala opposta e relocation del tagliante originario. Quel che importa, è che l’impostazione (1 in punta, 4 allineati) potrebbe potenzialmente ripetersi all’infinito, seppur con interpreti diversi.
  • Flex cut: la “flex offense” è un altro tipo di attacco continuativo, basato sul flex cut a cui segue quello che viene definito “screen the screener” (pagina 1). L’impostazione prevede 2 giocatori, tra cui il portatore, fuori dal perimetro nella zona centrale, uno a centro area e due agli angoli opposti: il flex cut viene effettuato verso il canestro da uno dei giocatori in angolo, il quale riceve un back screen da un compagno, mentre il portatore effettua un passaggio verso l’altro compagno sul perimetro; a questo punto, se nulla si concretizza, quello che era il portatore va a bloccare-il-bloccante, e cioè il compagno che ha portato il back screen per il flex cut, il quale esce in punta. A questo punto, si ha praticamente di nuovo l’assetto originario: chi effettua lo screen the screener va a rilocarsi nell’angolo vuoto, chi ha effettuato il flex cut puà portare il back screen sull’angolo opposto per un altro flex cut, mentre in punta restano comunque due giocatori.
  • Shuffle cut: uno degli elementi della shuffle offence ideata negli anni ’50 da coach Bruce Drake a Oklahoma University. Lo shuffle cut viene effettuato a seguito di un ribaltamento da parte del portatore originario, che effettua un taglio backdoor alle spalle di un bloccante all’altezza dell’high post, ricevendo palla dall’ala opposta. Nel continuare la shuffle offence, il bloccante del tagliante porta anche un altro blocco nei pressi della linea di fondo.
  • UCLA cut: la UCLA offence è un sistema offensivo ideato da John Wooden a UCLA. Uno dei suoi elementi minimi è lo UCLA cut: taglio che consiste in un dai-e-vai sfruttando un back screen all’altezza del post alto.
  • Curl cut: il “ricciolo”. Il tagliante sfrutta il blocco per passarci davanti aggirandolo. Viene effettuato qualora il difensore del tagliante resti dietro il blocco per evitare un backdoor o un taglio diretto a canestro.

Chiudiamo con qualche parola sui sistemi. Questi sono insiemi di azioni oppure movimenti eseguiti secondo determinate impostazioni (UCLA offense, ma anche gli attacchi in continuità), più o meno rigide. Nel nostro caso, essendo questo – come chiarito più volte – un glossario semplificato e mirato ad aiutare la comprensione di termini che usiamo più spesso, andremo con un paio di esempi e poco più:

  • motion offense: termine generico per indicare un tipo di attacco basato sulla lettura della difesa avversaria, perciò scevro da schemi rigidi, e sull’attacco degli spazi vuoti e del vantaggio creato. Tra i termini più abusati:
    • ci sentirete parlare, ad esempio, di 5-out motion offense per descrivere quegli attacchi con 5 giocatori fuori (portatore in punta, due in ala, due in angolo) in cui chiunque effettui un passaggio, in mancanza di concretizzazione del vantaggio, deve portare un blocco o effettuare un taglio a canestro, rimpiazzando poi un compagno in una zona di campo qualora il tutto proseguisse senza finalizzare.
    • Celebre è anche la dribble drive motion offense di John Calipari, che parte con due potenziali portatori fuori dall’area, due giocatori negli angoli e uno all’altezza del post basso nel lato opposto alla palla. Questo sistema fa largo affidamento sulla capacità dei portatori di battere l’uomo e esercitare pressione al ferro, in modo da creare vantaggio e sfruttare così le rotazioni in emergenza della difesa.
  • triangle offense: “attacco triangolo” divenuto celebre con Tex Winter e coach Phil Jackson. La struttura di partenza consiste in un triangolo sul lato forte (ad esempio fra un giocatore in post, uno in ala e uno in angolo), che si scambieranno la palla secondo una serie di collaborazioni; sul lato debole sono spaziati sul perimetro gli altri due giocatori. L’idea di fondo è usare la ricezione in post come fulcro della collaborazione, con gli altri due (ala, angolo) a muoversi portando un blocco apposito o tagliando a a canestro.

Ovviamente, questi non sono tutti i sistemi esistenti nella pallacanestro, ai quali in futuro magari decideremo di dedicare articoli appositi maggiormente approfonditi.