Brunson, stella dei Knicks, sta portando la Grande Mela sul palmo della propria mano.
Jalen Brunson, per la città di Philadelphia, rappresenta allo stesso tempo una fonte di sogni e di incubi: nel 2016 e nel 2018 ha aiutato la sua Villanova a vincere ben 2 titoli NCAA al Wells Fargo Center, arena in cui, domenica scorsa, ha trascinato i New York Knicks alla vittoria in Gara 4 contro i Philadelphia 76ers con una prestazione storica da 47 punti e 10 assist. I tifosi di NY erano presenti in gran numero, e lui e la squadra non hanno deluso: finalmente c’è qualcosa per cui essere davvero orgogliosi. Penso al 12 aprile, a circa un’ora dalla palla a due contro i Brooklyn Nets, quando Sandra Brunson guardava emozionata il marito Rick e il figlio Jalen fare due tiri sul parquet del Madison Square Garden. Quella serata sarebbe stata cruciale per i Knicks, perché il sedino finale non era ancora deciso. In quel momento, però, i tifosi pensavano solo a guardare il leader di una squadra ammaliante e coesa come questi Knicks, che avevano galvanizzato la città. “MVP! MVP!” cantava un tifoso, seguito dal “F— Boston!” di un altro e da un “Secondo seed, arriviamo!”.
Ovviamente, Brunson non si è conferito il titolo di Re di New York da solo: è troppo umile e prudente dentro e fuori dal campo, ad eccezione del podcast “Roomates Show” che porta avanti con il compagno e amico Josh Hart e il co-host Matt Hillman. Onestamente, questo nomignolo non dovrebbe interessargli molto ad oggi. Tuttavia, negare l’impatto che sta avendo sulla città sarebbe ugualmente ingeneroso. Quando sono arrivato al MSG venerdì scorso, Brunson e Donte DiVincenzo stavano tirando da 3, con DDV e la famiglia dell’ex Dallas che hanno riso fragorosamente in seguito ad un tentativo di schiacciata da parte di JB. Forse è stata questa la sua unica brutta decisione in stagione. Sandra Brunson, nel frattempo, faceva trasparire la sua immensa gratitudine. A Long Island, New York, Sandra è nata e cresciuta, dichiarandosi fin da subito fan sfegatata dei New York Giants di football. Sa cosa significhi giocare nella città più famosa del mondo, e ricorda quando Jalen correva sul parquet con papà prima delle partite. Ora la stella è lui, proprio nella città delle stelle. Non è solo il glamour, la brillantezza che vengono associati a Brunson, ma anche la tenacia e la durezza in una città piena di duri.
“Tutto ciò che so è che, crescendo qui, vedevo che tutti lavoravano duro. I newyorchesi sono così, testa bassa e lavorare. Non cerchiamo riconoscimenti di chissà quale tipo. Ciò appartiene a molte città, ma io sono di New York, e per me significa molto vedere quel ragazzino che sognava tutto questo e ora è tornato da professionista. Non posso spiegare a parole la gioia che mi provoca, tutti qui sono felici quando pensano alla squadra, ed è incredibile vedere ciò che uno sport può suscitare.”
(Sandra Brunson)
Quella sera ho parlato con Sandra Brunson, e nel frattempo suo figlio veniva premiato come giocatore del mese a Est per marzo; poco dopo, avrebbe giocato mettendo a referto 30 punti e 11 assist (con 0 palle perse) contro Brooklyn, e domenica 14 avrebbe chiuso la Regular Season con 40 punti, 8 rimbalzi e 7 assist contro i Chicago Bulls per confermare definitivamente il secondo posto nella Conference. Un bel risultato, ancora più dolce se pensiamo che i Knicks hanno avuto una settimana di tempo per riposare prima di affrontare Philadelphia, che è dovuta passare dal Play-In. Brunson è il migliore giocatore dei Knicks dai tempi di Carmelo Anthony, che ha lasciato la Grande Mela nel 2017. Ma New York, lo sappiamo, è una città che ha vissuto di point guard, cosa che rende la fama di Brunson ancora più romantica. Questa città, come evidenziato da Monica McNutt di ESPN, soffriva da anni la mancanza di una PG di alto livello, e Brunson ha accettato la sfida andando oltre ad ogni aspettativa. Il prodotto di Villanova preferisce non parlare tanto, anzi, preferisce farlo con le sue azioni:
“È come se non volesse mai deludere nessuno. Sa che continuando con questo mi pegno i risultati si vedranno, vuole solo lavorare. Non ne parla molto perché sente di fare semplicemente il suo dovere.”
– Sandra Brunson
Nel 1990, Christopher Walken recitò nel film “King of New York”, facendo nascere una wave culturale. 5 anni dopo, la rivista “The Source” incoronò con questo titolo Notorious B.I.G. in copertina. E ancora, il 5 volte campione MLB Derek Jeter divenne un’icona dell’anima della città, così come lo è ancora oggi Jay-Z. Il titolo di re di NY è sempre stato in costante transizione, ma una volta ottenuto, in realtà, ti resta per sempre. Come ha detto Chris Herring, autore di “Blood in the Garden: The Flagrant History of the 1990s New York Knicks“, se sei uno sportivo e sei il re di New York, allora sei uno dei nomi più importanti nello sport in generale, perché sei nella città più importante e con il mercato più grande.
Dando un’occhiata al processo, è quasi impossibile categorizzare l’ascesa di Brunson come se non si trattasse di una fiaba. Suo papà giocò in NBA per quasi 10 anni, partecipando alle ultime Finals dei Knicks nel 1999, perse contro i San Antonio Spurs. Tom Thibodeau, coach di Jalen, al tempo era assistente allenatore. La sua etica del lavoro è chiara a tutti fin da quando lui e il papà si allenavano insieme. Dal secondo giro al Draft al fianco di Luka Doncic ai Dallas Mavericks, Jalen ha agito da attore non protagonista per poi scegliere di prendersi le luci della ribalta rifiutando i soldi dei Mavs e selezionando con cura il palcoscenico più importante.
Bonze Malone scrisse la cover story di B.I.G per The Source, e da lì la corona di Re di New York non gli è mai stata effettivamente tolta. Tuttavia, Malone ammette ancora una cosa, da tifoso dei Knicks le immagini della stagione del 1994 con le Finals perse in Gara 7 sono come un flashback di guerra, ma questo non deve dare per scontato l’avere Brunson ora in squadra. Per lui l’ex Mavs è tenace e impavido, ma allo stesso tempo ordinato come un’orchestra. Va bene concentrarsi sul passato, ma esso non deve rovinare o inquinare quello che si ha ora di fronte.
”Il titolo ‘Re di New York’ come ho sempre detto l’ho dato a B.I.G per una ragione e non voglio che la gente pensi che sia intercambiabile. Quindi appartiene a lui, Jalen invece, per quello che sta facendo per la città di New York, è l’MVP ed è anche quello che tutti cantano.”
Becky Hammon, nel dicembre del 2023, fece scalpore quando affermò che i Knicks non avrebbero mai potuto vincere un titolo con Brunson come loro miglior giocatore in quanto secondo lei, opinionista di ESPN e pluricampionessa WNBA come coach, la pallacanestro favorisce giocatori più alti. E storicamente i primi violini delle squadre campioni NBA effettivamente erano più alti di Brunson. Solamente Isiah Thomas con i Pistons e Stephen Curry con Golden State hanno sdoganato questo pregiudizio, dimostrando che anche guardie più basse possono essere i migliori giocatori di un roster campione NBA. Brunson, anche se si dovesse essere sentito attaccato da quelle dichiarazioni, non ha mai risposto e ciò ha aumentato l’amore che la città di New York ha nei suoi confronti. È il quarto miglior marcatore della lega nonostante non sia il più veloce e nonostante possa ancora migliorare come tiratore. ”New York nella sua essenza era una città di colletti blu. Anche se un’enorme quantità di denaro arriva dal porto, essa si basa sul lavoro manuale degli operai, sul settore manifatturiero e sulle persone che lavorano duramente. E quando i Knicks vincono tutta la working class assume quasi un po’ di regalità”, ha spiegato Dallas Penn, nativo del Queens e critico culturale di New York.
Quando si è scaldato prima della gara contro i Nets a inizio aprile indossava un paio di Kobe 6 player edition ispirate alla WNBA. Il suo footwork è un po’ un cenno al defunto hall of famer Kobe Bryant, così come la sua implacabile voglia di vincere. Ad ogni set difensivo lui riesce sempre a rispondere. Quella che potrebbe essere la sua qualità migliore rimane al tempo stesso un’enigma, anche ora con le sponsorizzazioni o con il fatto che il Madison Square Garden sia di nuovo al centro dei playoff Jalen Brunson riesce a dire quanto basta per far affasciare i fan, ma mai troppo.
“I beat writer vicino alla squadra lo descrivono un po’ simile a Jeter, non diceva mai nulla di importante alla stampa e aiutava avere quest’area mistica intorno in cui le persone provavano a capire a cosa stesse pensando.”
– Chris Herring
Il rumore intorno a Brunson si fa sempre più forte anche a causa dell’arena in cui gioca. Il Madison Square Garden è stato inaugurato nel 1897 e ha subito quattro restaurazioni, la più recente delle quali nel 1968 e dove son mancati i titoli sicuramente non è mancata la storia. Le ultime partite che hanno portato agli ultimi titoli dei Knicks e dei Rangers, rispettivamente nel 1973 e nel 1994, furono giocate qui e furono vinte da giocatori come Willis Reed, Clyde Frazier e Mark Messier. Nel 1971 venne combattuta “La Battaglia del Secolo”, la prima della trilogia tra Muhammad Ali e Joe Frazier, qui iniziò la decaduta del boss della droga Frank Lucas ed è qui che Marilyn Monroe cantò “Happy Birthday” al presidente John F. Kennedy. Per quanto riguarda il basket sono storici il gioco da 4 punti di Larry Johnson, il doppio nichel di Michael Jordan oppure le triple di Reggie Miller, il quale grazie al più grande tifoso dei Knicks di sempre occuperà sempre un posto importante al Madison Square Garden.
Nel corso del tempo la percezione di Brunson ha superato la realtà, la sua passione procede di pari passo alle speranze dei tifosi dei Knicks che lo vedono come il loro salvatore. Ed ecco perché in un recente estratto per “The Players Tribune” ha definito i tifosi di New York come una famiglia. Brunson in un certo senso recita a Broadway ed è il direttore d’orchestra di una squadra che unisce Hart, Anunoby, McBride e Hartenstein, diventati delle star nei loro ruoli.
Dal punto di vista sportivo, il titolo di “Re di New York” sembra essere a portata di mano. L’unica vera rivale è Breanna Stewart delle New York Liberty, in quanto negli altri sport non sembra avere rivali. I Rangers stanno andando bene e hanno vinto il President Trophy, ma Matt Rempe non gode della popolarità di Brunson, nel baseball i Mets non hanno star power e Judge degli Yankees sta avendo una delle sue stagioni peggiori per media in battuta. Nel football invece i Giants non hanno nessun giocatore di valore dai tempi di quell‘Odell Beckham Jr., e i Jets lo scorso anno sono stati frenati dall’infortunio al tendine d’Achille di Aaron Rodgers dopo soli 4 snap della partita d’esordio. Cosa manca quindi a Brunson per assumere questo titolo?
Per Herring basterebbe che portasse i Knicks alle finali di Conference per poi poterlo consacrare come star, mentre Shaina Wiel sostiene che per avere quella carica debba portare un titolo alla città di New York. Quella notte contro i Nets tutto il Madison Square Garden si è lasciato andare a cori da “MVP”. Non è solo un candidato per l’MVP, è il loro MVP. Meno di 30 minuti prima di quella notizia Sandra Brunson, sua mamma, era emozionata. Da quando era al liceo ha sempre mandato un messaggio a suo figlio prima di ogni partita e quel giorno gli disse “quando loro lo fanno per te, tu fallo per la squadra”.
Monica McNutt ha detto: “È già una leggenda qui a New York, ma francamente è solo l’inizio”.