FOTO: Basketball HOF / Twitter

Nella notte si è tenuta l’enshrinement ceremony, la cerimonia di introduzione, della Classe 2023 nella Naismith Memorial Basketball Hall of Fame. I protagonisti e le protagoniste hanno preso parola, come è uso, per un discorso, dopo l’introduzione da parte degli ospiti selezionati, ringraziando e raccontando i propri sentimenti riguardo al più onorevole dei riconoscimenti. Di seguito, alcune delle dichiarazioni più memorabili, legate soprattutto ad aneddoti e storie, oltre le solite frasi di circostanza, subito dopo la lista completa dei presenti:

  • Gene Bess
  • Pau Gasol
  • David Hixon
  • Gene Keady
  • Dirk Nowitzki
  • Tony Parker
  • Gregg Popovich
  • Dwyane Wade
  • Becky Hammon (Women’s Committee)
  • Gary Blair (Women’s Committee)
  • Jim Valvano (Contributor Committee)
  • 1976 US Women’s Olympic Team (Women’s Veterans Committee)
  • Holly Rowe (Curt Gowdy Award for Electronic Media)
  • Marc Spears (Curt Gowdy Award for Print Media)
  • CBS Sports College Basketball (Curt Gowdy Award for Transformative Media)
  • Tom Konchalski (John Bunn Lifetime Achievement Award)
  • PeacePlayers (The Mannie Jackson Award)

Tony Parker

Per il francese è un momento molto speciale, e lo ha raccontato lui stesso QUI. Prima ancora che per la sua introduzione, per le connessioni stabilite con il resto della Classe 2023:

“Ho molte connessioni con questa classe: Pau Gasol, compagno e rivale, con la maglia della nazionale; Dirk Nowitzki, sono venuto al ritiro del numero, siamo grandi amici e la rivalità in Texas è stata forte; DWade, abbiamo giocato 2 volte alle Finals e non tutti sanno che sei il giocatore preferito di mio fratello, perciò ogni volta in casa urlava “Dwyane Wade”, e non sapevo come farlo smettere – ma siamo 1 a 1, va bene così. Becky Hammon, la mia sorella maggiore. Coach Pop, mi hanno detto che è la prima volta che un giocatore e il suo allenatore entrano allo stesso tempo – sì, non riesco a liberarmi di lui.”


Tony Parker ha scelto come accompagnatori Tim Duncan e Manu Ginobili, perciò non sono ovviamente mancate le battute:

“Tim Duncan è la miglior ala grande di sempre, ma ha superpoteri nei suoi occhi, voglio parlare di quelli. Non parlava mai per avere la palla, mi guardava e basta. E quando hai 19 anni e vieni dalla Francia, ti fa paura quando Tim Duncan ti guarda. Molti si lamentavano chiedendo palla, come Bruce Bowen, mi diceva sempre “sono in angolo”, ma Timmy mi fissava e basta. Ecco perché per me è speciale.”

“Manu è il più unico con cui abbia mai giocato. Non aveva prezzo, da point guard, vedere le facce di Pop ai suoi passaggi. Manu ne aveva due: quelli leggendari, e quelli nelle gradinate – i preferiti di Pop. Abbiamo avuto un inizio difficile, i media argentini dicevano che non la passavo abbastanza a Manu. Non ho mai capito, Pop è il coach, tutti i disegni erano per Timmy e io ero la point guard, cosa avrei dovuto fare?”

Un aneddoto molto divertente riguarda il rapporto di Duncan con i francesi (ovviamente, scherzando), tirato fuori prima e durante il ringraziamento a Gregg Popovich:

“Timmy non mi ha mai parlato nel rookie Year, tutti mi prendono per pazzo se lo dico ma è vero: a lui non piacciono i francesi. Non gli piace il mio accento.”

“Potrei dirti molte cose, Pop, sui metodi e le parole che hai usato per motivarmi, ma ci sono i miei figli piccoli. A 19 anni, nel mio rookie Year, mi hai preso da parte e mi hai detto che sarei stato titolare. E io ero tipo:” Davvero? Lo hai detto a Timmy?”, credevo ancora che non gli piacessero i francesi ed ero spaventato. Sei sempre stato un secondo padre per me, Pop, grazie, ti voglio bene.”


Pau Gasol

Pau Gasol ha raccontato i suoi tanti viaggi, come abbiamo fatto anche noi, spiegando la passione nata guardando il Dream Team e ringraziando i tanti giocatori non americani che hanno aperto la strada, da Toni Kukoc, suo accompagnatore, a Rik Smits e molti altri. Il suo arrivo a Memphis non è stato facile, prevalentemente a causa della barriera linguistica, ma per fortuna aveva qualcuno da imitare (letteralmente), Shane Battier:

“Quando sono stato scelto non ero molto a mio agio con la lingua, ma mi sono accorto che Shane Battier, mio compagno, lo parlava bene ed era molto intelligente, perciò ho iniziato a copiare le sue parole. Alla prima conferenza, quando ci hanno chiesto le nostre emozioni al debutto, sono stato furbo e ho mandato lui per primo. Ho ripetuto l’ultima parola che ho riconosciuto, “elettrizzante”. Suonava bene.”

La parte più emotiva e memorabile del suo monologo, però, è riservata a Kobe Bryant, al quale lo spagnolo era legato come pochi altri. Non è mancato il classico aneddoto sulla mentalità vincente della defunta leggenda giallo-viola, di grande ispirazione per Pau e per tutti i presenti:

“Ai Lakers ho conosciuto la persona che ha alzato il mio livello come nessun altro, che mi ha insegnato cosa serva per vincere ai massimi livelli, che mi ha mostrato quanto duro tu debba lavorare e la mentalità da avere, Kobe.

La notte che mi sono unito alla squadra sono arrivato in hotel a mezzanotte, mi ha scritto se potesse venire nella mia stanza a darmi il benvenuto. Gli ho detto che era tardi, che magari avrebbe preferito farlo il giorno dopo, ma insistette per venire subito, nonostante la squadra giocasse il giorno dopo. Voleva essere sicuro che ricevessi il messaggio: ‘Benvenuto in squadra, sono felice che tu sia qui, adesso andiamo a vincere un titolo insieme. Buonanotte.’. Non sarei qui senza di te, mi manchi e ti voglio bene.”

Infine, lasciato per ultimo ma facente parte dell’esordio del monologo, molto simpatica la scena con il fratello Marc, seduto con il resto della famiglia:

“Mio fratello Marc era un ragazzo speciale. Giocavamo in giardino, provava a battermi, mi sono sempre assicurato di farmi valere come fratello maggiore, ma a un certo punto è cresciuto. Abbiamo vinto per il nostro paese. Siamo stati scambiati l’uno per l’altro, credo siamo gli unici fratelli. E abbiamo vissuto un momento molto speciale nella palla a 2 dell’All-Star Game 2015 al Madison Square Garden. Grazie Marc.”


Gregg Popovich

Coach Pop è apparso incredibilmente emozionato, descrivendo il momento come “inimmaginabile”, soprattutto per un “Division 3 guy”. Dopo aver ripercorso a ritroso la propria carriera e aver ringraziato molte personalità che hanno forgiato la sua figura di allenatore, fra cui coach K, lo spettacolo ha avuto inizio. La gag con gli accompagnatori non poteva mancare:

“Una sola parola per descrivere il perché io sia qui: duh! Sono questi ragazzi. Mi hanno assegnato il lavoro di creare un ambiente vincente. Riconosco i miei meriti. Sapete cosa ho fatto? Ero lì. Li ho guardati, ho assistito a loro che vincevano quei titoli. E non potete togliermelo.”

Dopo queste parole, Popovich si è staccato dal microfono per unirsi agli accompagnatori, dando vita a un’altra scenetta basata sull’equivoco che fosse tutto finito. Ovviamente Pop ha ripreso a modo suo, partendo con gli “attacchi ad personam” a David Robinson, Tony Parker, Manu Ginobili e Tim Duncan, ai quali ha riconosciuto tutto il merito dei suoi successi:

“OK, ho imprecato. Non mi piace, so che è rude, ma devi essere te stesso. Sapete perché? Bambini, tappate le orecchie: i giocatori hanno le antenne per le stronzate. Se non sei genuino, lo notano subito. Perciò ho fatto un accordo con David Robinson: ‘Pop, fino a quando non pronuncerai il nome di Dio invano, ci sarò per te.'”

“A Tony ho chiesto di essere perfetto. Se lo avessi allenato adesso, sarei in manette. Ma adesso mi dice che sono soft. Ti devi adattare.”

“A Timmy chiedevo di ascoltare ogni tanto quello che dicevo, o perlomeno di annuire. Volevo solo un po’ di soddisfazione, volevo sentirmi bene con me stesso, sentire di allenare questa squadra.”

“Con Manu non è stato facile. Quanto ha detto Tony, un paio di anni per adattarsi? [Parker annuisce] Manu un giorno è venuto da me e ha detto: ‘Pop, sono Manu, è questo che faccio’. A quel punto ho imparato a chiudere la bocca e a lasciarlo giocare. A volte è il meglio che puoi fare da coach.”

Insomma, un discorso in pieno stile Pop, anche in sede di Hall of Fame.


Dirk Nowitzki

Ad accompagnare la leggenda dai Mavs c’erano Steve Nash e Jason Kidd, suoi compagni a Dallas:

“Steve, ne abbiamo fatta di strada da quei tagli di capelli. Per me ha voluto dire tutto giocare con te, sei stato un modello e mi hai sempre incoraggiato. Sei diventato un amico per la vita. JKidd, sei il mio uomo. Eri un po’ vecchio quando sei venuto da noi. Ma eri un guerriero, ricordo che marcavi tutti a tutto campo, un meraviglioso giocatore a tutto tondo. Abbiamo vinto un titolo insieme, siamo legati per la vita.

Dopo l’applauso ha chiuso con un irriverente “mi sarebbe piaciuto giocare con questi due nel loro prime, ma mi sono dovuto accontentare”. Scherzi a parte, quei legami per la vita citati da Nowitzki sono stati il filo conduttore di tutto il monologo, durante il quale ha ringraziato i compagni e il grande amico, Mark Cuban:

“Ricordo quando Mark è venuto al primo allenamento dopo che aveva comprato la squadra e mi ha detto di giocare uno-contro-uno, ha detto di saper giocare un po’. Ti ho schiacciato dritto in testa e da lì abbiamo avuto una grande amicizia, perciò grazie di tutto.”

Il tedesco ha posto enfasi più volte sul concetto di lealtà, chiudendo con il ringraziamento al compagno di una vita, prima ancora che allenatore personale, Holger Geschwindner, che a malapena ha trattenuto le lacrime,


Dwyane Wade

A proposito di lealtà, a chiudere la Hall of Fame Class 2023 è stato Dwyane Wade. La leggenda dei Miami Heat ha dato vita a un bellissimo monologo, partendo dalle origini del suo percorso cestistico, in compagnia del padre nei playground, a 5 anni, pesando a malapena la palla, fino all’arrivo in NBA, passando per Marquette. A forgiare Wade sono stati i tanti infortuni, dal menisco alla spalla, e se vi doveste chiedere chi gli abbia dato la forza di andare oltre tutto ciò, eccovi la risposta:

“Sono qui perché la mia fede supera i miei dubbi. A tutti i giocatori, dal cuore, non importa quanto forte cadiate, ma come vi rialzate. Le vostre sconfitte sono carburante, le limitazioni che gli altri vi assegnano sono ispirazioni. Per questo ricordo a me stesso che i nostri eroi non sempre sono perfetti, bensì possiedono la sicurezza che li rende intoccabili. Veri. Quando qualcuno parla di Allen Iverson, è questo che dice.”

Allen Iverson, che lo ha accompagnato, è stato il vero protagonista del discorso di Wade, che lo ammira da sempre, come dimostra anche il numero di maglia:

“Ho visto in te il riflesso di me stesso. Il modo in cui giocavi era senza paura, non importa chi avessi davanti, non ti avrebbe fermato. Lo so, l’ho provato.”

Ad AI, Flash riconosce il ruolo di cambiamento, grazie allo stile rivoluzionario, allo swag, allo sbattersene del dress code e delle regole, arrivando a infrangere una barriera:

“Hai ispirato infinità di individui ad abbracciare la tua unicità. L’hai portata a chi è cresciuto con risorse limitate, ci hai mostrato che il successo di può ottenere anche nelle avversità. Le fatiche rendono più importanti i tuoi risultati. Sei la prova vivente che la redenzione e la crescita sono possibili. Hai ispirato una generazione, la mia inclusa, facendole credere che venire dal nulla non è una limitazione, ma una motivazione. Ho avuto la 3 per rappresentare il rispetto verso quest’uomo. Dal profondo del mio cuore, sei la cultura e ti amiamo, ti ringraziamo, Allen Iverson.”

Prima di chiudere chiamando il padre sul palco, la leggenda di Miami ha ovviamente ringraziato gli ex compagni, soffermandosi su 4 nomi in particolare:

“Con Shaq(uille O’Neal) ho imparato a essere Robin per un Batman, per poi diventare Batman. Chris (Bosh) mi ha dato un amico da ammirare. Spendendo 4 anni con LeBron (James) a Miami, l’ho potuto vedere non prendersi nemmeno un singolo giorno di pausa dalla grandezza. Io e UD (Udonis Haslem) abbiamo imparato a essere leader non egoisti, insieme, a proteggerci dentro e fuori dal campo. È stato un fratello maggiore.”