Cinque giorni dopo il pugno di Draymond Green, è già tempo di tirare le prime somme; perché è successo e quali saranno le ripercussioni.
Circa una settimana fa, il GM dei Golden State Warriors Bob Myers definì questa offseason la più serena degli ultimi anni, in assenza di infortuni e problemi vari. L’immacolatezza sarebbe però finita drasticamente da lì a poco, con un episodio tanto grave quanto inaspettato. Arrivato come un fulmine a ciel sereno, il pugno di Draymond Green non ha solamente colpito Jordan Poole, ma anche l’intera organizzazione e l’ambiente intorno ai campioni in carica.
A più di 48 ore dalla diffusione del video che ha sconvolto il mondo NBA, è arrivato il momento delle riflessioni a freddo. Occorre fare il punto della situazione, con ordine, dall’analisi dell’accaduto alle possibili ripercussioni.
1 – Dray, perché?
Il titolo vinto a giugno non è solamente stato il quarto della carriera di Green; è stato soprattutto quello che ha premiato la bontà della sua leadership, il coronamento del lavoro svolto da principale guida emotiva di un gruppo con diversi elementi giovani. Glielo hanno riconosciuto tutti, lo ha sottolineato lui stesso. Allora come si è arrivati a un gesto del genere? Alla luce di quanto detto, viene ancora più complicato concepirlo.
Non è un segreto che Green e Poole fossero soliti prendersi a parole. Poole è un 22enne con una marea di fiducia in sé stesso, senza la quale non sarebbe arrivato dov’è ora; d’altro canto, nemmeno Green avrebbe avuto lo stesso successo in carriera senza quel tipo di fuoco dentro, quell’incontrollabile aggressività che lo contraddistingue. Lo scontro tra due personalità di questo tipo è inevitabile. Ma tra uno scontro normale e quello andato in scena mercoledì scorso c’è un mare di differenza.
Per molti, a incidere è stata anche la situazione contrattuale. Con entrambi a caccia di rinnovo e la proprietà che si deve preparare ad allentare la pressione sul portafoglio, di fatto i due erano legittimati ad approcciarsi alla nuova stagione sentendosi in qualche modo concorrenti. La concorrenza può essere sana o meno sana, a seconda di come viene gestita, ma è quasi impensabile che possa finire, da sola, con il causare la violenza vista.
Nella conferenza stampa di sabato, il 32enne ha parlato di importanti problemi personali che hanno pesantemente condizionato il suo umore e la sua lucidità. Non è in nessun modo una scusante, ma si può buttare nel calderone delle possibili motivazioni.
Alla fine però, la verità è che non possiamo dare una risposta alla domanda. Forse la causa scatenante è una di quelle citate, forse è la somma di esse, ma nessuno di noi può pensare di saperlo. Il motivo di quella follia è dentro la testa di Draymond Green, e non è detto che lo sappia coscientemente nemmeno lui: chiunque altro può generale solamente speculazioni che lasciano il tempo che trovano.
2 – Evitiamo il victim-blaming
Draymond Green pesa circa 105 kg, e ha sferrato, o cercato di sferrare, un pugno a tutto braccio a un compagno di squadra, in pieno viso, senza che quest’ultimo se lo potesse aspettare. Non si è trattato di un buffetto, un colpo del genere può facilmente generare gravi danni a chi lo subisce.
Fatta questa premessa, nessuna parola o azione di Poole può giustificare il gesto di Green. Per quanto il 22enne possa aver provocato, non può in nessun modo aver “meritato” di subire una tale violenza da un compagno di squadra, specie se quest’ultimo si professa leader.
Jordan Poole fa parte di una vastissima categoria di giovani giocatori NBA con quella “fiamma” al loro interno che li rende particolarmente spocchiosi e sfacciati. Questa caratteristica è però direttamente collegata alla loro capacità di far emergere il loro talento ai massimi livelli. Senza quella risulterebbero probabilmente meno fastidiosi, ma forse non giocherebbero in NBA.
Green questo lo sa meglio di chiunque altro, avendo avuto a che fare per anni con giocatori con quintali di fiducia in se stessi. In quel fatidico attimo ha indubbiamente perso la testa, e quel pugno non aveva nessuna lezione da insegnare.
3 – …e ora?
La questione più spinosa è senza dubbio quella riguardante le conseguenze che l’episodio avrà nel breve e nel lungo termine. La diffusione del video e della brutalità che trasmette non ha fatto che amplificare gli effetti.
Innanzitutto, l’accaduto potrebbe influenzare il processo decisionale del Front Office nella progettazione del futuro prossimo. La deadline per trovare un nuovo accordo con Poole è il 17 ottobre, esattamente una settimana da oggi, e la buona riuscita della trattativa potrebbe mandare un segnale. Dall’altra parte della staccionata, difficilmente Green avrà chance di ottenere il max contract a cui aspira, e Bob Myers sarà chiamato a contrapporre a bilancio l’importanza del suo impatto in campo e gli effetti collaterali del suo carattere. In tutto questo, non può essere esclusa dall’equazione la volontà di Stephen Curry, che con ogni probabilità sarà quella di trattenere lo storico partner.
A proposito di Curry, il suo lavoro sarà fondamentale per limitare al minimo le ripercussioni sul parquet. Tra poco più di una settimana, Green o non Green, gli Warriors dovranno cominciare a pensare solamente al campo, con l’obiettivo di difendere il titolo.
Sul lungo termine però, è difficile (se non impossibile) pensare di raggiungere tale obiettivo senza il ritorno a pieni giri della presenza di Green, dentro e fuori dal campo. Dovrà cancellare quelle terrificanti immagini dalla testa dei compagni, e riconquistare la loro fiducia.
Impossibile? No.
Quanto possibile? Non è quantificabile. Come detto in precedenza, non siamo all’interno dello spogliatoio e non ne conosciamo le dinamiche. Per avere una risposta non ci resta che aspettare la prossima primavera, e vedere se si tratterà di un sofferto divorzio o dell’ennesima cavalcata trionfale.