Eccoci di nuovo riuniti a commentare il cambio del format dell’All-Star Game. Fu già così nel 2018, quando furono istituiti i due capitani chiamati a dover scegliersi la propria squadra; poi nel 2020, quando si decise di concludere la partita ad un punteggio prestabilito; e infine solamente un anno fa, con il ritorno alla formula tradizionale e la sfida tra Est e Ovest.

Nel 2025, l’All-Star Game diventerà un torneo a quattro squadre, con punteggi fissi da raggiungere per semifinali e finale (qui abbiamo sviscerato tutte le novità).

Si è deciso di andare verso un format più rapido, con meno tempi morti e tante mini-partite in cui ogni canestro è potenzialmente decisivo per la vittoria. L’obiettivo è, ancora una volta, aumentare la competitività, dopo lo spettacolo indegno offerto a noi spettatori nelle ultime occasioni.

Alle origini, infatti, l’All-Star Game era tutto meno che una formalità. Era un’occasione più unica che rara in cui l’NBA poteva riunire su un solo parquet tutti i giocatori più forti del mondo. In palio non c’era nulla, ma la garanzia, almeno sulla carta, era lo spirito competitivo dei campioni selezionati. L’importanza dell’impegno da parte dei protagonisti è venuta a mancare molto prima di quanto molti appassionati pensino, e lo sviluppo del gioco lo ha solamente reso sempre più evidente, fino al disastro dell’edizione 2024.

Il fitto calendario di Regular Season si ferma completamente per una settimana, decine di persone attraversano gli Stati Uniti, i tifosi pagano biglietti a prezzi fuori di testa per essere presenti e noi, dall’Italia, ci imbottiamo di caffè e proviamo a rimanere svegli per la nottata. Tutto questo per cosa? Per vedere i migliori esponenti del gioco al mondo camminare per il campo e sparare da 9 metri dopo un passaggio, con la difesa immobile e del tutto disinteressata, per 48 minuti.

L’NBA ha quindi deciso di venire nuovamente incontro ai giocatori, facendoli giocare meno, accorciando tempi e squadre, tentando anche di innescare nuovi stimoli inserendo nel torneino la squadra vincitrice del Rising Star. Ancora una volta, ha trattato quelle aziende multi-milionarie sotto forma di esseri umani come ragazzini, dandogli il ‘contentino’ e la spinta dolce per fare dell’All-Star Game un prodotto vagamente guardabile.

Ma la verità è che la responsabilità di tutta questa situazione è proprio dei giocatori. Quegli stessi giocatori che beneficiano economicamente dell’evento, che giocano con il fuoco negli occhi negli scrimmage privati prima della stagione, che predicano in ogni intervista di voler vincere anche a briscola, si rifiutano di giocare seriamente la singola partita in cui potrebbero lasciare il segno.

E più che alla grande categoria dei giocatori, mi riferirei ai giocatori simbolo dell’NBA. Basterebbe infatti che uno tra Stephen Curry, LeBron James, Kevin Durant e pochi altri dessero segni di competitività, e il resto del gruppo inizierebbe istantaneamente a difendere e a correre. Non è un discorso ipotetico, ne abbiamo avuto una prova nel finale dell’All-Star Game del 2020.

E’ difficile capire perché questo non accada. Nell’epoca dei social, è probabile che nessuno voglia attirare la fama di “quello che ha voluto statpaddare all’All-Star Game”, aggiunto al fisiologico calo di tensione nel mezzo di una stagione parecchio faticosa da affrontare. Ma ciò che è certo è che il cambiamento sarebbe nelle loro mani, e se non esercitano questo potere forse sarebbe meglio rinunciare e lasciarli tranquilli sul divano di casa.

Ovviamente questi rimarranno discorsi ipotetici. Il nuovo formato offrirà un lieve miglioramento dello spettacolo, i tifosi accoglieranno con grande entusiasmo l’arrivo del meno peggio, e tra qualche anno torneremo su questo tema con gli stessi identici punti di domanda.