Tre motivi per cui, dopo la trade per il francese, a Minnesota è stato ufficialmente intrapreso un All-in tutt’altro che necessario.

FOTO: SLC Dunk

Partiamo dal presupposto che la trade che ha visto arrivare Rudy Gobert ai Minnesota Timberwolves (tutti i dettagli QUI) vede uscire un’unica, grande vincitrice: gli Utah Jazz.

E non tanto per fare maniavantismo spicciolo partendo da un qualche pregiudizio, ma per dei presupposti del tutto logici e teorici. I limiti di un giocatore come il lungo francese sono (e saranno) evidenti, e la sua integrazione necessiterà di adattamenti particolari da parte di coach Chris Finch, ma non occupano per intero il focus della conversazione.

L’atto grave, che costituisce la vera colpa dei Timberwolves, riguarda l’aver interrotto un equilibrio stabile tra presente e futuro, spostando la bilancia in maniera gravosa dopo aver sollevato incautamente tutto ciò che poggiava sul piatto dell’avvenire, spedendolo a Salt Lake City.

Partendo con ordine, ecco tre motivi per cui l’arrivo di Rudy Gobert, anche qualora generasse dei risultati stupefacenti e ben oltre le aspettative, è una enorme forzatura non necessaria per i Minnesota Timberwolves.

La timeline

Solitamente un concetto come “timeline”, inserito in una qualsiasi conversazione riguardante l’NBA, risuona in maniera distante e astratta, quasi indefinita: ci sono timeline per il titolo, per il rebuilding, per l’aurea mediocritas etc. Poi, ci sono i Timberwolves dopo la trade per Gobert.

La definizione di timeline applicata alla NBA riguarda un periodo di tempo necessario per passare da un punto X a un punto Y, dal quale poi ristabilire determinati obiettivi secondo un processo graduale di maturazione e di crescita. La timeline che Minnesota si era imposta prima della trade per il francese avrebbe visto l’organizzazione toccare il punto Y a fine 2023, secondo i seguenti eventi:

  • creazione di spazio salariale (opzione di Beasley, scadenza di Beverley, contratto di Prince)
  • negoziazioni per l’estensione di Anthony Edwards (e Jaden McDaniels)
  • scadenza di D’Angelo Russell

Tutto era stato apparecchiato alla perfezione, con la buona firma di Kyle Anderson al prezzo della mid-level exception, i 15 slot a roster già riempiti e lo spazio necessario per effettuare qualche trade minore senza incappare nella Luxury Tax. Un perfetto equilibrio nel presente, e tante ambizioni per lo sviluppo di Edwards e McDaniels (o altri giovani) per il futuro – assicurato ulteriormente dalla supermax extension firmata da KAT (le cifre QUI), il perfetto connubio per ridimensionare le aspettative del roster in vista della timeline successiva.

Ecco, dopo la trade per Rudy Gobert, si è passati da quello…

… a questo che vedete sopra. Analizzando rapidamente il presente, ci sarà pochissimo margine di manovra per riempire i 3 (o 4) slot a roster rimasti vuoti senza toccare la Luxury Tax line, per cui si andranno a ricercare giocatori al minimo salariale o giù di lì.

Guardando al futuro, invece, punto Y della timeline completamente polverizzato, soprattutto concentrandosi sul 2024/25, quando la somma degli stipendi di Towns, Gobert e Edwards occuperà più di 125 milioni di spazio salariale – per non parlare dei record del nuovo frontcourt. Cosa significa questo?

Quando, nello sviluppo delle timeline, si vuole compiere il passaggio allo step successivo, è necessario possedere la giusta fluidità di manovra e anche svariate alternative. L’upgrade al livello superiore può avvenire tramite determinate opzioni, le quali devono restare a disposizione di una franchigia in toto, così da decidere se coordinarle o usufruirne separatamente. Si può compiere un progresso di questo tipo (in linee generali): grazie alla firma di un Free Agent di alto livello, opzione che i Wolves avrebbero potenzialmente avuto nel 2023; grazie alla crescita del roster o dei giovani a disposizione, fattore in cui Minnesota può ancora sperare; tramite una trade che alzi il floor di squadra e sacrifichi l’aspetto della futuribilità a favore del presente.

Mentre le prime due opzioni erano quelle che più si addicevano ad un nucleo come quello dei Timberwolves, ancora giovane e promettente, con la necessità di esperienza e della giusta chiave per il salto definitivo, l’ultima tende a riguardare più determinate realtà in modalità win now. Obiettivo che, per Minnesota, è letteralmente impossibile da raggiungere.

La conseguenza della scelta effettuata da Tim Connelly e dalla dirigenza è piuttosto ovvia: i Minnesota Timberwolves sono attualmente in un limbo, con un’uscita bifida. O si arriverà al titolo – o a determinati successi – entro il 2026 (quando Gobert sarà in scadenza); o si continuerà a procrastinare una situazione di livello medio, con apparizioni sporadiche e uscite premature ai Playoffs, fino alla fine di questa timeline e il naturale passaggio a quella successiva: il deserto del rebuilding.

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