FOTO: NBA Abu Dhabi Games 2002

La sconvolgente offerta dell’Al-Hilal per Kylian Mbappé del mese scorso, che avrebbe portato il calciatore francese a guadagnare in un anno più di quanto percepito da LeBron James nella sua intera carriera, ha causato una serie di rumorose reazioni all’interno dell’NBA. Si è trattato della prima volta da quando i petroldollari sauditi hanno irrotto sulla scena calcistica europea che il dibattito ha raggiunto la sfera del basket americano, o perlomeno della prima volta in cui tante stelle della lega hanno preso posizione sul tema, con i tweet di Giannis Antetokounmpo, LeBron James, Damian Lillard e Draymond Green. E dopo che il greco ha fatto il bis negli ultimi giorni (tweet qui sotto, dopo lo sbarco di Neymar all’Al-Hilal e la provocazione dello stesso club saudita a The Greek Freak), la domanda è: scherzavano, o stavano mandando un messaggio?

Preso atto di queste reazioni – e del significato che possiamo decidere se attribuirgli o meno (beh, non capita tutti i giorni che LeBron James, il giocatore più rappresentativo dell’NBA, si spenda in questo modo) – è arrivato il momento di porsi una domanda, che per la verità aleggia nell’aria da tempo. L’Arabia Saudita, finanziata dall’inesauribile capitale del fondo sovrano PIF, proverà prima o dopo a importare – o se preferite, comprare – anche il grande basket? Sono sicuro che questa domanda ha un posto nei pensieri di Adam Silver da tempo, e forse dai giorni scorsi (almeno) anche nella testa del principe ereditario Mohammed bin Salman e del Ministro dello Sport e dello Spettacolo dell’Arabia Saudita, Turki Alalshikh.


Il contesto è noto ormai da mesi. Sia quello dei Paesi del Golfo Persico, che attraverso lo sport stanno costruendo le basi per il proprio sviluppo sociale ed economico, per la propria emancipazione dagli idrocarburi e per quella “pulizia” dell’immagine (sportwashing) di cui tanto avete sentito parlare negli ultimi mesi. Nel caso foste interessati al tema, in occasione di una trasferta a Riyadh lo scorso gennaio ho parlato delle logiche sportive e politiche dell’espansione saudita nel mondo del calcio per L’Ultimo Uomo e Rivista Undici, anticipando che Cristiano Ronaldo sarebbe stato solo l’inizio di una serie di colpi apparentemente da fanta-mercato (e no, non perché io sia un visionario, anzi: semplicemente perché non ho guardato al progetto saudita con l’arrogante scetticismo proprio di tanti appassionati – ma anche addetti ai lavori – occidentali).

Il punto, in questa sede, è: ci sono gli elementi per pensare che tutto ciò potrebbe accadere anche nel basket? Dal Golfo dei segnali ci sono, come conferma la volontà di espansione dell’NBA in questa regione annunciata da Silver in occasione delle Abu Dhabi Games del 2022 (cui ho avuto modo di partecipare e anche in questo caso spiegare per L’Ultimo Uomo), e dunque il reciproco interesse mostrato dagli Emirati. Quanto allo specifico caso saudita, però, al momento non si registrano indizi, ma è anche vero che l’investimento nel calcio è stata un’escalation rapida e di grande impatto, e il suo successo potrebbe fare da traino per un allargamento di prospettive. O meglio, di discipline sportive. Del resto, ci siamo appena immersi nel grande disegno che il Saudi Vision 2030 si propone.

Per quanto in occidente ci piaccia pensare che la cultura, la storia e la tradizione sportiva non si possano sradicare ed esportare altrove, negli ultimi mesi dovremmo aver preso atto del contrario. O meglio, del fatto che queste resistenze possano anche esistere, ma non sono un argine invalicabile di fronte a un mercato che si muove con un capitale fuori scala per gli standard cui siamo abituati. Pensare che andrà a finire come con il calcio in Cina non è solo un argomento troppo banalizzante, ma anche errato, perché non contempla le differenze dei contesti e soprattutto le ragioni per cui il progetto cinese sia stato prima ridimensionato e poi accantonato per volontà di Xi Jinping.

Le stelle del calcio europeo, così come quelle dell’NBA, non stanno certo male a livello economico, e non mancano i casi di chi ha preferito rimanere nel vecchio continente anzi che cedere alle faraoniche lusinghe del Golfo. La maggior parte degli atleti però, come legittimo e giusto che sia, antepone l’interesse economico tra le priorità nelle proprie decisioni professionali. Come tutti noi facciamo nel quotidiano, anche se sembriamo dimenticarcene quando giudichiamo le scelte altrui.

Dopo CR7, Benzema, Kantè, Milinkovic-Savic, Koulibaly e Brozovic, ne arriveranno tanti altri, ne potete stare certi. A partire dalla prossime settimane. E seguendo il loro esempio, potrebbero fare lo stesso le stelle del basket americano, se mai se ne presentasse l’opportunità. Senza neanche troppe riserve, come LeBron ha chiaramente lasciato intendere:

L’NBA potrebbe trovarsi prima o dopo ad affrontare una sfida inedita, vedendosi minacciata da una potenza esterna come mai è accaduto dalla nascita della stessa lega, o perlomeno dalla fusione con l’ABA. Per il momento, questo orizzonte è stato discusso solo in termini di ownership delle franchigie: potreste non esservene accorti, ma i Washington Wizards recentemente hanno venduto il 5% a un fondo qatariota, ed è abbastanza inevitabile che prima o dopo – con l’espansione in arrivo, l’occasione è ghiotta e dietro l’angolo – il fondo PIF allunghi le mani su un altro affare del genere. E se invece il progetto scalasse sull’attrarre i migliori talenti dell’NBA nelle lega cestisca araba, provando a farne l’epicentro del basket mondiale, sulla falsa riga della Saudi Pro League calcistica?

A beneficiarne non sarebbero soltanto LeBron (si fa per dire, anagraficamente parlando), Giannis e compagnia, che potrebbero firmare contratti monstre come quello di Mbappé. Ma anche tutto quel ceto medio parzialmente soddisfatto del nuovo CBA e della sproporzione del player empowerment nella lega, cui Austin Rivers recentemente ha dato voce.

Ad oggi, è difficile prevedere se uno scenario del genere si verificherà o meno, ed eventualmente quando. Quel che sappiamo, però, è che potrebbe bastare una riunione del consiglio di amministrazione del fondo PIF – cui Mohammed bin Salman e Turki Alalshikh presenziano in prima persona – per cambiare la geopolitica cestistica mondiale. Dopo aver assistito agli ultimi mesi di calciomercato, suona tutto più realistico adesso?