Dopo un inizio di carriera turbolento, dalle difficoltà in campo alla sospensione per il pugno a Mirotic, Bobby Portis a Milwaukee ha finalmente trovato la sua dimensione. E la pace interiore.

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Questo contenuto è tratto da un articolo di Martenzie Johnson per Andscape, tradotto in italiano da Anna Cecchinato per Around the Game.


Potresti non leggerlo nei suoi occhi, ma Bobby Portis è finalmente in pace.


Il 27enne è famoso soprattutto – ma non solo, vista la sua propensione ai falli duri – per il suo volto molto espressivo, in particolar modo per gli occhi che sembrano uscire dalle orbite come un personaggio dei Looney Tunes.

Portis mostra chiaramente al mondo le sue emozioni, cosa che potrebbe dare l’impressione che sia sempre molto nervoso quando gioca, fino a sfociare in quella che Reddit ha definito “la storia dei colpi proibiti di Bobby Portis”.

Nei suoi 7 anni in NBA, Crazy Eyes è sempre stato falloso e ha avuto attriti con numerosi avversari (e non): Kentavious Caldwell-Pope, Montrezl Harrell, il futuro compagno di squadra Tomas Satoransky, e i precedenti compagni di squadra Lauri Markkanen e Nikola Mirotic, e infine Bojan Bogdanovic. Gli hanno fischiato tanti falli, ed è stato multato e sospeso per le sue azioni più volte.

Ma questo era il Bobby Portis del passato… e adesso, dopo che la pandemia lo ha riportato a casa, in Arkansas, e dopo aver vinto un titolo con i Bucks?

Per un giocatore che sembrava essere – e, dietro le quinte, era – l’opposto della tranquillità per così tanto tempo, le due stagioni scorse a Milwaukee lo hanno reso più sereno.

“Sono in pace con la situazione in cui mi trovo, e nella vita in generale.”

Portis, selezionato con la 22esima scelta dai Chicago Bulls nel Daft NBA del 2015, individua tre momenti fondamentali nel suo percorso che lo hanno portato ad un titolo NBA e a lottare per il secondo.

Non stava giocando molto nella sua prima stagione a Chicago, dopo che nei suoi due anni ad Arkansas era stato titolare per 70 partite e nell’ultima aveva giocato quasi 30 minuti di media. In quel primo anno nella lega, però, per guadagnarsi dei minuti doveva competere con altre ali a fine carriera (Pau Gasol, Joakim Noah), meno forti di Portis (Taj Gibson) o nuove proprio come lui (Mirotic, di cui si parlerà in seguito). Portis è rientrato nella starting lineup di solo quattro delle 62 partite totali, e i Bulls (42-40) non sono arrivati ai Playoffs.

La stagione sucessiva il suo minutaggio si è ridotto ulteriormente (15.6 minuti, contro i 17.8 del primo anno), e i Bulls hanno raggiunto la post-season, ma sono stati sconfitti dai Celtics nel primo turno. Per qualcuno abituato a vincere, non era piacevole perdere e non giocare.

“Era un clima diverso… e ne sono stato risucchiato. Non mi importava più, mi dicevo che era solo un gioco.”

E poi è successo… l’incidente.

Prima dell’inizio della stagione 2017/18, Portis ha tirato un pugno in faccia a Nikola Mirotic durante un allenamento, causandogli multiple fratture e un trauma cranico. Portis è stato sospeso per otto partite, ed è stato marchiato per anni. La gente, come ha raccontato in u’intervista l’estate scorsa, lo vedeva solo come “il tizio che ha tirato un cazzotto al suo compagno di squadra.”

Tutto questo gli ha ricordato il periodo in cui giocava nell’AAU, quando gli arbitri dicevano ai suoi coach di tenere sotto controllo quel “ragazzo molto irascibile”.

“La gente si era fatta un’idea sbagliata di me. Chi mi conosce vi direbbe che Bobby farebbe di tutto per chiunque. I media possono dare l’immagine di qualcuno che non sei, e con me lo hanno fatto per anni, ma l’arrivo ai Bucks mi ha aiutato a cambiare le cose.”

(Portis si è poi scusato per il pugno, anche se Robin Lopez, allora compagno di squadra ai Bulls, ha detto che secondo la squadra la colpa era un po’ di entrambi.)

Il terzo ed ultimo momento cruciale è stato l’11 marzo 2020, quando il centro degli Utah Jazz, Rudy Gobert, è risultato positivo al Covid-19, mettendo immediatamente in pausa l’NBA. 22 squadre sono state poi invitate a Disney World per finire la stagione nella bubble, mentre per le altre otto, compresi i New York Knicks di Portis, la stagione si era ormai conclusa e non sarebbe ripresa fino a dicembre 2020.

È stata dura per lui doversi fermare per così tanto tempo, probabilmente il periodo di pausa dal basket giocato più lungo che abbia mai vissuto.

“Ovviamente c’erano molti giocatori che non volevano entrare nella bubble… ma pensa stare a casa per otto, nove mesi di seguito, senza poter giocare in NBA. Ti viene l’ansia.”

Ma quella pausa, come Bobby stesso ha raccontato, lo ha reso “umile e affamato”, e gli ha permesso di tornare alle radici.

Durante la sua carriera, Portis – nato a Little Rock, Arkansas – ha sempre trascorso l’offseason allenandosi a Miami e Los Angeles, non a Little Rock. Ma quando il mondo si è fermato, è tornato a casa, nella città di cui ha sempre portato in alto il nome.

La maggior parte dei suoi amici sono persone che ha conosciuto molto tempo fa a Little Rock. Ha lo skyline della città tatuato su tutta la schiena, e la nomina ogni volta che gli viene fatta una domanda (“Sono un semplice ragazzo di Little Rock, Arkansas” mi ha detto per iniziare l’intervista).

Bobby si è riconnesso così tanto con la sua città natale durante la pandemia, che ha perfino comprato una casa lì.

“L’inizio della pandemia mi ha aiutato molto a ritrovare l’amore per casa mia.”

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Crescendo a Little Rock, Portis ha adottato una mentalità dell’underdog, di cui va fiero e che si è evoluta nel tempo in una linea d’abbigliamento. Non è il classico underdog in senso sportivo, ma non è frequente che uno con il suo aspetto e background diventi un multimilionario.

Portis oggi vuole essere portavoce di chi non ha avuto le sue stesse opportunità a causa delle circostanze. Essere nero, in uno stato povero, con una madre single, combattendo povertà, violenza domestica e sfratti: Bobby sa cosa vuol dire. Sua madre, Tina Edwards, aveva molteplici lavori e trovava comunque del tempo per star dietro ai numerosi impegni sportivi del figlio, anche quando voleva dire dormire in macchina fuori dalla palestra. Ha ereditato da lei la sua fame, determinazione e risolutezza.

“Avrò sempre quella mentalità, non importa quanto forte io sia. Non ho bisogno di riconoscimenti, meriti, nulla del genere. So quanto valgo.”

Dopo che la stagione della bubble è giunta al termine, ad ottobre, Portis ha firmato un contratto da due anni (il secondo vincolato ad opzione) con Milwaukee, dov’è diventato un importante role player per i futuri campioni in carica.

Il suo 41.8% da tre negli ultimi due anni è il dato più alto della squadra; la sua energia in difesa e sotto ai tabelloni non si fa mai attendere. Com’è ormai abitudine da quando è arrivato al Fiserv Forum, dalle tribune si sentono i cori “Bobby, Bobby, Bobby” dopo ogni tripla o giocata di energia.

Se si guarda il video dei cori dei tifosi per lui in Gara 3 delle Finals 2021 contro i Suns, si vede un Portis chiaramente emozionato. Ha raccontato di aver avuto i brividi in quel momento.

“Ha così tanta passione, carica ed energia, che ogni volta che partono i cori raggiunge un altro livello”, ha raccontato Mike Budenholzer, coach dei Bucks. “Lui e il pubblico si alimentano a vicenda, e questo è d’aiuto per la squadra.”

Quando Portis aveva firmato con i Bucks a novembre 2020, si era unito a una squadra che aveva vinto 116 partite nelle due stagioni precedenti: una squadra competitiva nei Playoffs, cosa che gli capitava da quando era stato draftato nel 2015.

All’high school, Portis aveva vinto lo State Championship tutti e quattro gli anni in cui ha giocato lì; ad Arkansas, poi, aveva vinto 49 partite nelle sue due stagioni al college, la migliore striscia nella storia dell’accademia da oltre 15 annate. Ma in NBA era diverso.

Dalle vittorie nei primi anni si era passati a brutali sconfitte. E i soldi, per un agonista come lui, non comprano la felicità quando la tua squadra perde 136 partite in tre anni. Perdere era una sensazione poco familiare e molto sgradevole per Bobby, che ha sempre mostrato in modo nitido le sue emozioni.

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Il giovane Portis era solito arrabbiarsi – molto visibilmente – in partita, che fosse dopo una sconfitta o un fallo discutibile; piangeva e si disperava anche dopo aver perso nei videogame. Ma con i Bulls aveva iniziato a fregarsene, visto l’andazzo.

“Arrivi in NBA e i ragazzi hanno figli, mogli, ragazze, eccetera… Dopo le partite, ad alcuni non frega niente di aver perso.”

Ma a Milwaukee, Bobby ha (re)imparato ad essere un vincente, e ha scoperto quanto può influire sulle emozioni il semplice fatto di trovarsi in un ambiente positivo.

Felicità è un termine soggettivo, ma quando la senti, lo sai. Può essere raggiungere un obiettivo, trovare soddisfazione in quello che fai, sentire gioia e gratitudine quando ti trovi in una situazione positiva per te, che sia una relazione o uno spogliatoio NBA. E Portis, oggi, sembra sentirsi così per la prima volta dopo anni. “Vincere è stato importantissimo per me a livello mentale ed emotivo.”

“Coinvolge il pubblico ed è coinvolto lui stesso. Parla con tutti, parla con noi, urla, grida. Si diverte. E quando Bobby Portis si diverte, Bobby Portis è un atleta difficile da fermare.”

– Pat Connaughton (Bucks)

E a proposito di cose divertenti, Portis ha visto tutte le battute su Twitter sui suoi “crazy eyes”.

“È vero, i miei occhi sono grandi, e forse fanno cose strane mentre gioco, ma io non lo so, sono solo concentrato.”

Recentemente Bobby ha mostrato l’Harlem Shake (quello vero, non la versione virale) dopo i tiri segnati nel clutch time. E a seguito della gomitata sull’occhio ricevuta da Tristan Thompson, adesso ha un nuovo look, con occhiali protettivi che sono stati presto soprannominati Bobby Bifocals.

“Quando sono sul parquet, è il mio momento per fuggire da tutti i problemi che ho fuori da lì. Quando entro in campo sono in paradiso, in pace. È dove mi libero dallo stress. Quando faccio le mie buffonate, come urlare, gridare, battere le mani o qualsiasi cosa – non è per dare spettacolo. È il mio modo di giocare con passione e divertirmi.”