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Questo contenuto è tratto da un articolo di Daniel Benjamin per Fadeaway World, tradotto in italiano da Erika Annarumma per Around the Game.


La storia dell’NBA è stata caratterizzata da grandi scandali.


Alcuni di questi hanno come protagonisti dei dirigenti, come quello particolarmente imbarazzante che ha coinvolto i 76ers, o meglio Bryan Colangelo; oppure un altro diffuso da Sports Illustrated a febbraio 2018 riguardante i Mavericks, che sarebbero stati a conoscenza del fatto che alcuni dei loro dipendenti fossero stati molestatori sessuali e abusatori domestici negli ultimi 20 anni. Uno degli accusati era Terdema Ussery, ex che lasciò l’organizzazione nel 2015. Più recente (e ancora non concluso al momento di questo articolo), il caso Robert Sarver, owner dei Suns, per cui Adam Silver ha recentemente annunciato l’imminenza di una comunicazione da parte dell’NBA.

Non mancano, poi, questioni pubblicamente imbarazzanti (o peggio) relative a giocatori e allenatori NBA, prospetti collegiali o ex stelle ormai ritirate. E dunque, ecco gli scandali che abbiamo selezionati in questa “worst 15” nella storia dell’NBA. Si tratta di episodi di vari livelli di gravità, ma non c’è dubbio che siano stati tutti motivo d’imbarazzo per la lega; alcuni sono arrivati addirittura a danneggiarne l’immagine, includendo commenti e atti razzisti e/o omofobi, e forme di violenza come aggressioni fisiche e violenze sessuali.

15. Il Gold Club

Il Gold Club di Atlanta, locale di ritrovo per atleti, celebrità e giocatori d’azzardo, fu protagonista di una serie di aneddoti bizzarri negli anni ’90 e nei primi anni 2000. Venne reso noto che diversi atleti professionisti, tra cui Patrick Ewing, Larry Johnson, John Starks, Reggie Miller e Dennis Rodman, ricevevano “favori sessuali gratuiti” dalle spogliarelliste del locale.

Durante il processo al proprietario del club, Steve Kaplan, accusato tra l’altro di racket, venne scoperto che le ballerine venivano pagate fino a 1’000 dollari a testa per mettere in scena spettacoli sessuali particolarmente spinti (e non solo) per alcuni atleti. Questo fatto mise in estremo imbarazzo l’NBA e i suoi atleti (tra cui molte stelle). Kaplan fu dichiarato colpevole e condannato a tre anni di carcere, il Gold Club chiuse i battenti nel 2007.

14. Bryan Colangelo e i falsi account Twitter

Bryan Colangelo, ex President of Basketball Operations di Philadelphia, è stato al centro di una vicenda a dir poco imbarazzante dal punto di vista personale. Il dirigente dei Sixers, infatti, fu indagato per l’utilizzo di cinque account Twitter “fake” da cui erano stati criticati alcuni giocatori di Phila (Embiid e Fultz) e non (Noel e Okafor), come abbiamo raccontato in modo approfondito QUI.

Dal presunto coinvolgimento della moglie Barbara Botani, al mittente ancora oggi ignoto della segnalazione fatta a Ben Detrick (il giornalista di The Ringer che ha fatto scoppiare lo scandalo): le incognite legate a questa faccenda, dopo anni, ancora non sono state sciolte.

13. Il pugno devastante di Kermit Washington

Ai giocatori dell’NBA moderna piace definirsi dei “duri” e provocarsi, ma raramente le cose degenerano in atti di violenza. Il motivo per cui non lo fanno è che le regole della lega in merito alle risse in campo sono cambiate drasticamente dopo ciò che è successo tra Kermit Washington e Rudy Tomjanovich.

Negli anni Settanta non era affatto inusuale che i giocatori si azzuffassero tra di loro, si tirassero pugni e che addirittura si scatenassero risse che svuotavano le panchine. Questo è ciò che accadde durante la tristemente celebre partita di Regular Season tra Rockets e Lakers del 1977.

La gara prese una brutta piega all’inizio del secondo tempo, quando Kevin Kunnert, Kareem Abdul-Jabbar e Kermit Washington si contesero un rimbalzo dopo un tiro sbagliato di Norm Nixon. Kunnert ebbe la meglio alla fine e, dopo aver passato la palla a John Lucas, lui e Jabbar si allacciarono; Washington, quindi, seguì lo sviluppo della situazione per assicurarsi che tutto filasse liscio. Dopo di che, Washington si aggrappò ai pantaloncini di Kunnert mentre correva.

Washington e Kunnert cominciarono ad alzare le mani e far volare dei colpi proibiti. Mentre la rissa si inaspriva, Tomjanovich scattò dall’altra parte del campo per fare da paciere e mettere fine alla risa. Non sapendo le intenzioni di Rudy-T e vedendolo con la coda dell’occhio, Washington si girò e lo colpì dritto in faccia, con un pungo di violenza terrificante, lasciandolo a terra privo di sensi e in una pozza di sangue.

Tomjanovich ne uscì con una frattura al viso e non poté giocare per il resto della stagione. Fece ritorno l’anno successivo, durante il quale venne nominato All-Star per la quinta e ultima volta nella sua carriera. Nel frattempo, Washington ricevette una sospensione di 60 giorni, ovvero 26 partite, e una multa di 10,000 dollari.

QUI abbiamo raccontato in modo più approfondito i fatti di quella sera, e le conseguenze che quell’episodio ebbe per i suoi protagonisti e per il futuro dell’NBA.

12. I commenti omofobi di Tim Hardaway

Hardaway fece alcuni commenti davvero inappropriati durante un’intervista con Dan LeBatard il 14 febbraio 2007, mentre i due parlavano dell’ex giocatore NBA John Amaechi, che aveva fatto coming out come omosessuale.

“Beh, sai che odio le persone gay, perciò non lo nascondo. Non mi piacciono le persone gay e non mi piace averle attorno. Sono omofobo. Non mi piacciono. Non dovrebbero esistere, nel mondo o negli Stati Uniti.”

Hardaway disse anche che se avesse scoperto di avere uno o più compagni di squadra omosessuali, avrebbe cercato di farli cedere dalla dirigenza.

Il cinque volte All-Star fu sollevato immediatamente dal suo incarico di Chief Basketball Operations Advisor degli Indiana Alley Cats (CBA) in seguito ai suoi commenti. L’NBA gli vietò di partecipare a tutte le attività che si sarebbero tenute quella settimana in occasione dell’All-Star Weekend.

Il giorno seguente, Hardaway si è scusato pubblicamente per le sue dichiarazioni e si è distinto negli anni come difensore dei diritti LGBT, collaborando con The Trevor Project e The Yes Institute.

11. La morte di Len Bias

La morte di Len Bias portò all’attenzione nazionale alcune delle attività extracurriculari di certi giocatori NBA. La seconda scelta assoluta del Draft del 1986, infatti, non giocò nemmeno una partita in NBA, perché morì due giorni dopo essere stato selezionato a causa di un’aritmia cardiaca indotta da un’overdose di cocaina. QUI abbiamo raccontato i tragici fatti di quella sera.

Bias era un giocatore straordinario, dotato di grandissimo talento e con enormi prospettive in NBA. Di lui si parlava addirittura come possibile “rivale di Michael Jordan”. Ma non sapremo mai che giocatore sarebbe stato, dopo la fatale sera del 19 giugno 1986.