Nonostante l’ultimo posto a Est, Jamahl Mosley ha impressionato positivamente nella sua prima stagione con gli Orlando Magic.

FOTO: NBA.com

Questo contenuto è tratto da un articolo di Marc J. Spears per Andscape, tradotto in italiano da Davide Corna per Around the Game.


La figlia di 7 anni di Jamahl Mosley ha avuto sentimenti contrastanti, all’inizio, riguardo al primo incarico del padre come head coach di una squadra NBA, iniziato lo scorso anno con gli Orlando Magic. La piccola Jemma era triste per il fatto di dover lasciare Dallas… anche se, guardando al lato positivo, avrebbe “avuto l’opportunità di visitare Walt Disney World molto più spesso”.


“Mia figlia è venuta nelle mia stanza dicendo ‘Non voglio andare via!’”, ha raccontato lo stesso Mosley a Andscape. “E io le ho risposto ‘Ma, cara, ne abbiamo già parlato, ed è quello per cui abbiamo pregato: l’opportunità per papà di diventare head coach da qualche parte’. E lei: ‘Ma io pensavo che saresti stato a Dallas’. ‘Ma a volte è così che vanno le cose, nel piano che Dio ha per noi’”.

“E allora lei mi ha detto ‘Ma io sono contenta che diventerai capo allenatore, e sarai bravissimo, papà’. Una bambina di 7 anni. Mia figlia di 7 anni che mi dice una cosa così. Il suo spirito mi ha commosso”.

Considerando il percorso di Mosley, iniziato in una posizione da volontario come coach addetto allo sviluppo dei giocatori fino a passare alla guida dei Magic, c’erano sentimenti molto profondi nelle emozioni espresse da Mosley di fronte alla figlia.

Mosley è stato uno dei sette coach NBA afroamericani assunti la scorsa estate da squadre NBA, e da giocatore è stato una stella della University of Colorado, dove ha segnato 1171 punti fra il 1997 e il 2001, selezionato nel terzo quintetto All-Big 12 del 2000. Dopo non essere stato scelto al Draft NBA 2001, è andato a giocare da professionista in Messico, Australia, Spagna, Finlandia e Sud Corea, prima di prendersi una pausa nel 2005. In seguito, Mosley si è trasferito a Parker, quartiere in periferia di Denver, dove ha condiviso una appartamento con l’ex compagno a Colorado, Ronnie DeGray.

Durante l’estate del 2005, poi, si è imbattuto in John Welch, al tempo assistant coach dei Denver Nuggets, che aveva scelto Mosley quando faceva l’assistant coach a Fresno State. Welch invitò Mosley ad andare al Pepsi Center come volontario per aiutare negli allenamenti giocatori come Carmelo Anthony, Kenyon Martin, Nene, Earl Boykins e Linas Kleiza.

“Aveva una grande energia e una forte passione per il gioco. Piaceva a tutti”, ha raccontato Jeff Weltman, ex assistant general manager dei Nuggets, ora president of basketball operations dei Magic.

Mosley divenne presto una presenza così gradita che George Karl, allora head coach dei Nuggets, gli diede un po’ di soldi per aiutarlo a mantenersi, visto che Mosley in quel periodo non aveva alcuno stipendio e arrivava al Pepsi Center con una Chevrolet Caprice del 1994.

“George mi disse ‘Ecco qui’, e mi firmò un assegno da 2.500 dollari per assicurarsi che stessi bene. Mi disse ‘So che è dura e che stai cercando di mantenerti’. Mi diede una mano, visto che non avevo un lavoro”.

Parlando del motivo di quel gesto, Karl ha raccontato a Andscape: “Mi è sempre piaciuto fare da mentore ai giovani coach. Don Nelson, Doug Moe e Del Harris lo hanno fatto con me. Mosley aveva una grande energia, cosa che apprezzavo molto. Non vedo l’ora di vedere come proseguirà la sua carriera”.

Karl e i Nuggets hanno consentito a Mosley di presenziare alle riunioni dello staff fra il 2005 e il 2007, nonostante fosse un volontario.

Anche Tim Grgurich, coach del player development dei Nuggets in quel periodo, ebbe un forte impatto sulla scelta di Mosley di diventare un allenatore. Mosley stava infatti pensando di tornare a giocare come professionista, ma alla fine scelse di continuare come coach.

“Ero indeciso se provare a tornare a giocare oppure no, e Grgurich mi disse ‘Ragazzo, cosa vuoi diventare? Deciditi. Vuoi allenare, o vuoi giocare? Cosa vuoi fare? Se vuoi allenare, ecco quello che ci vuole’, e da quel momento mi prese sotto la sua ala.”

Mosley divenne assistant coach dei Nuggts con Karl dal 2007 al 2010. Si trasferì poi ai Cleveland Cavaliers come assistant coach dal 2010, per tre stagioni con Byron Scott, e per una stagione con Mike Brown.

“Byron  era molto diretto, ed è stato bravo con me”, ha detto Mosley. “Diceva sempre ciò che pensava, e mi ha parlato dell’etica del lavoro, di cosa aveva passato lui, delle sue esperienze: è stato molto importante per farmi capire cosa significava essere un coach afroamericano in NBA in quel periodo. Era la prima volta che mi trovavo nello staff di un head coach afroamericano, cosa che poi si è ripetuta anche con Mike Brown, nel mio ultimo anno a Cleveland”.

Nel 2014 Mosley accettò di diventare assistant coach dei Dallas Mavericks, con Rick Carlisle come head coach, e ha lavorato per i Mavs fino al 2021, fino a diventare primo assistente di Carlisle. Mosley ha raccontato che Calirsle gli ha insegnato soprattutto come riuscire ad essere “molto trasparente con tutto ciò che accade”.

“Diceva sempre: ‘Ecco quello che sta accadendo con la proprietà e con i media, e questo è ciò che dovete vedere’. Quando inizi a riconoscere quelle dinamiche e ne fai parte come assistant coach, impari a gestire le relazioni e a parlare con le persone. E poi ti rendi conto che la grande differenza nella posizione di head coach è che in quel caso tutta questa gestione è responsabilità tua. (…) È lì che mi sono reso conto che ero pronto a diventare head coach. Avevo molto a che fare con i compiti di un head coach, da primo assistente a Dallas”.

Mosley ottenne il suo primo colloquio per una posizione da head coach nel 2019 con i Cavs, ma non ottenne il posto. In realtà, fu piuttosto sorpreso di aver avuto l’opportunità del colloquio, visto che in quel momento non pensava di poter diventare head coach.

Uno dei punti forza di Mosley è sempre stato il buon rapporto che ha con i giocatori, come nel caso della star dei Mavs, Luka Doncic.

“Quando mi chiamarono per un colloquio con Cleveland fu strano, perché non pensavo di poter essere un head coach in NBA, quindi pensai che mi stessero facendo un favore concedendomi di fare un colloquio. Ma fu un colloquio vero e proprio. Di fronte allo staff, a rispondere alle loro domande. Cosa faresti? Come ti comporteresti in questo caso? Fu un’ottima esperienza, e ne feci tesoro. L’anno successivo parlai con i New York Knicks e con altre due squadre.”

Un anno fa c’era un certo pessimismo riguardo agli assistant coach afroamericani che speravano in una posizione da capo allenatore. C’erano solamente sette head coach neri, in una lega con il 75% di giocatori afroamericani. A far scattare l’allarme fu il caso di David Vanterpool nel febbraio 2021.

“Cercavo di non considerare troppo i numeri, perché ogni anno si diceva: ‘Non ci sono opportunità’. E poi all’improvviso arrivarono otto posizioni vacanti. Ho sempre pensato: dovunque riuscirò ad andare, ci andrò; se dovrò essere un assistant coach per i prossimi cinque o dieci anni, lo sarò e cercherò di fare il meglio possibile. L’ho sempre pensata in questo modo. Non mi sono mai detto ‘Mi merito la mia opportunità’, perché quando si comincia a farsi idee del genere si perde di vista ciò che bisogna fare veramente”.

La corrente è cambiata la scorsa estate, con sette degli otto posti da head coach disponibili occupati da allenatori afroamericani. Anche il posto da capo allenatore dei Mavericks divenne disponibile dopo il passaggio di Carlisle a Indiana, con un processo decisionale che fu anche criticato per la mancanza di diversità nei candidati considerati, con la franchigia che finì per assumere la propria ex stella Jason Kidd.

L’11 luglio 2021 Mosley ha finalmente ottenuto il lavoro dei suoi sogni, diventando head coach degli Orlando Magic.

Wendell Carter Jr, ala dei Magic, aveva sottolineato l’importanza di vedere gli afroamericani avere maggiori opportunità come head coach, e di essere molto contento per Mosley.

Consideravo la sua assunzione come una grande opportunità per lui e per noi”, ha raccontato a Andscape. “Era la sua prima esperienza come head coach, ma arrivava da una cultura vincente, sa cosa ci vuole per vincere. Quando ho visto il report relativo al numero dei coach neri assunti la scorsa estate ho pensato che fosse una cosa meravigliosa, e un passo delle Lega nella giusta direzione”.

Weltman ha raccontato: “Ci siamo incontrati dal vivo e su Zoom, e in entrambe le occasioni ci ha impressionato la sua conoscenza del gioco. Alcuni che non l’avevano mai incontrato hanno avuto la possibilità di conoscerlo. È carismatico e sa relazionarsi con le persone. Si prende cura degli altri, e gli piace farlo”.

Con una squadra giovane e martoriata dagli infortuni, i Magic hanno chiuso all’ultimo posto della Eastern Conference, con un record di 22-60. Mosley ha dichiarato che la frustrazione deriva dal fatto di non avere avuto a disposizione tutto il roster o comunque un quintetto stabile per l’intera stagione, in cui poter mixare giovani e veterani. Lo young core di Orlando è composo da Wendell Carter, Cole Anthony, Franz Wagner, Mo Bamba, RJ Hampton e Jalen Suggs (tutti meno di 24 anni).

Nonostante le difficoltà, Mosley vede molti aspetti positivi: “Quest’anno ho capito a pieno l’importanza della gestione dei minuti e dei tempi dentro il campo e fuori; della costruzione di una relazione costante con ciascun giocatore e membro dello staff, e della continua comunicazione con i giocatori, i coach, lo staff di supporto e il front office. La gioia più grande è stato vedere lo sviluppo dei giocatori più giovani. Veder crescere la fiducia in loro stessi, consapevoli che con il duro lavoro potranno arrivare al successo”.

Un ulteriore aspetto positivo per Mosley è il fatto che i suoi figli (Jemma, CJ e Chance) sono effettivamente andati spesso a Disney World. “Più di cinque volte quest’anno. Ce l’hanno fatta”.