FOTO: Bleachereport.com

Questo contenuto è tratto da un articolo di Marc J. Spears per Andscape, tradotto in italiano da Marco Marchese per Around the Game.


 

Lunghe treccine ai capelli, tantissimi tatuaggi da non lasciar spazio a nuovi e unghia colorate. Indossa abitualmente abiti alla moda e sgargianti. È di origine mista, afroamericano e filippino, fidanzato con una famosa pop punk star. Sempre indosso una fascetta alla testa a contraddistinguerlo in campo. E per finire, è stato uno dei prediletti di Kobe Bryant.


Jordan Clarkson è noto e rinomato tra i tifosi degli Utah Jazz e gli appassionati di basket NBA in generale come uno dei più talentuosi scorer della lega oltre che Sixth Man of the Year 2021, mentre fuori dal campo si distingue per la sua unicità, umiltà e bontà, partendo dalla sua abitudine di suonare il suo tamburo.

“Sii semplicemente te stesso. Se sei diverso, sii diverso. Qualsiasi cosa sia, credici e non voltarti indietro”, queste le recenti dichiarazioni di Clarkson ad Andscape. E nonostante i Jazz abbiano rallentato la loro marcia rispetto al 10-3 di inizio Regular Season, Jordan è rimasto sempre uno tra i più pericolosi dei suoi in fase offensiva. La guardia tiratrice di Utah ha messo a referto finora medie da 21 punti, 2.7 triple segnate a gara, 4.3 assist e 3.9 rimbalzi. Il nativo di San Antonio ha inoltre rinnovato nel 2020 il suo accordo con i Jazz, firmando un contratto da 52$ milioni in 4 anni.

L’allenatore dei Jazz Will Hardy, al suo primo anno di incarico in Utah, ha sorriso non appena gli è stato menzionato il sempre positivo ed allegro Clarkson:

“Cerco sempre di restare lontano dalla sua traiettoria. È un giocatore molto creativo e fantasioso, con una visione di gioco molto spesso unica nel suo genere. Io gli concedo lo spazio per poter essere se stesso in campo, perché quando è libero di agire e di seguire il suo istinto è uno dei migliori. E non voglio nemmeno impegolarlo nel solo atto di sfruttare le corsie, perché sarebbe sprecato in quanto ha infiniti modi di impattare le partite. E fuori dal campo adora divertirsi e stare allegro, stare con la gente, proprio come me qui nel mondo NBA”.

“È una persona come tante. Adora parlare di musica, film, cibo e roba del genere. Ha un modo speciale di esporsi con gli altri giocatori e con lo staff, ma anche e soprattutto con i fan. È una di quelle persone magnetiche da cui chiunque sembra attratto. Inoltre, vederlo interagire con sua figlia è speciale, è davvero un padre fenomenale. Jordan è un ragazzo speciale e siamo fortunati ad averlo in squadra”.

A seguito tutte le domande e risposte della recente intervista con Clarkson, in cui ha parlato fieramente delle sue origini filippine ed afroamericane, di ciò che suo padre gli ha tramandato, i suoi capelli e numerosi tatuaggi, le unghia colorate, la sua ragazza cantante pop punk, le lezioni apprese da Kobe Bryant ai tempi dei Lakers e altro ancora.


Certamente non sembri un nativo dello Utah, ma i tifosi ti hanno accolto come uno di loro. Cosa significa giocare a Salt Lake City con i Jazz?

Direi che l’organizzazione NBA ha sempre voluto cambiare le cose a livello culturale. Anche la gente in Utah voleva farlo, avendo visto la stessa cosa per tanto tempo. E poi mi è capitato di arrivare in una franchigia che fosse davvero differente. E tutta questa roba è sempre stata qui negli anni, adesso sta solo mostrando qualche suo lato in più. Ed io scendo in campo per apportare cambiamenti ed amore allo stesso tempo. E penso che venga ben accolto ed accettato dai fan e dalla lega in generale.

Da quando hai iniziato a giocare in NBA quando ti sei sentito libero di esprimere te stesso? Ci sei riuscito sin da subito?

Per la maggior parte del tempo sono stato me stesso, pensando a com’ero. Ma stavo solo abituandomi alla nuova condizione, i miei compagni mi hanno compreso ed accettato. Anche a Los Angeles adesso pensano “Era giovane, ma era se stesso”. Però credo che qui in Utah hanno fatto un gran lavoro accettandomi e facendomi sentire a casa.

Quanto ti hanno forgiato le tue origini afroamericane e filippine?

Mi ha segnato tanto. Mi ha conferito una diversa prospettiva con cui osservare le cose. Essere nero o filippino ed avere comunque tratti caucasici in me mi fa soltanto avere più punti di vista. Sin dalla comprensione della storia e delle culture, cosa che apprezzo davvero molto. Apprendere delle mie origini filippine è stata una novità, come se non conoscessi abbastanza delle mie origini e della mia cultura. Sapevo solo ciò che riguardava mio padre, la sua famiglia e poco altro. Inoltre, crescendo ho capito di non essere soltanto di origini filippine, ma anche un afroamericano nato e cresciuto a San Antonio, Texas.

Come gli altri miei amici di origini miste, sono cresciuto come tutti avendo a che fare con queste situazioni e circostanze. Crescendo ho imparato tanto del patrimonio culturale e di tutti i problemi avuti dalla mia gente negli anni. Ho imparato molto riguardo la cultura in toto, che mi ha reso una persona migliore dal punto di vista interiore.

Qual è stata la cosa più dura di crescere come un ragazzo di origini miste in una città come San Antonio?

C’erano situazioni differenti e mio padre mi ha preparato molto ad affrontarle. Alcune volte mi è capitato di venire discriminato, insultato o simili. Scolasticamente sono cresciuto nel North East side e chiunque mi guardava quando ero per strada. Ma in termini di competizione, crescita, le sfide e simili, non sono stato accettato facilmente dalla gente di origini filippine. Mi guardavano con espressioni del tipo “Hey fermati, è nero”. No, anche io sono filippino. E questo è stato probabilmente il mio problema più grande da affrontare da piccolo.

FOTO: NBA.com

Non sei mai stato nelle Filippine fino a quando sei stato un uomo maturo, dopodichè ci sei stato parecchie volte. Sei anche membro della selezione di basket delle Filippine, essendo stato anche ambasciatore agli Asian Games 2018. Come sono andati i tuoi viaggi nelle Filippine?

Da piccolo non ho viaggiato molto con mia madre. Penso che per me si tratti di condividere amore e rappresentare la nazione e la gente. Ci trascorrerò un mese durante le vacanze. E non c’è mai stata una volta che abbia avuto voglia di andare via. Devo e dovevo tornarci. In termini di cultura penso che l’umiltà sia concepita diversamente lì. È come se tutti fossero umili lì, vogliosi sempre di donare e condividere ed io ho trascorso tanto del mio tempo lì a mostrare il mio amore e passione.

Come va con il Tagalog (una lingua parlata nelle Filippine)?

Non so parlarlo ma vorrei imparare. È difficile, conosco soltanto alcune parole ma nulla di eccezionale. Del tipo “grazie” e “prego”.

Hai intenzione di comprare casa nelle Filippine?

Vedremo, vedremo. Sicuramente vi trascorrerò molto tempo, specie per via della FiBA World Cup.

Tuo padre è stata una delle figure più influenti della tua vita e chi ti conosce dice che parli spesso dei suoi insegnamenti. Potresti parlarci di Mike, tuo padre?

Lavoro e fatica. Quando sono nato ha lasciato l’esercito ed aperto il suo autolavaggio, tirandolo su tutto da solo e riuscendo a mandarlo avanti. La più grande eredità che mi ha lasciato è il senso del lavoro. In quel periodo l’ho visto far crescere il suo business, diventare un uomo di successo e dare sempre ogni volta che ne aveva opportunità.

Regala soldi ai senza tetto, oppure compra loro del cibo. Spesso si adopera all’interno della comunità provando a renderle qualcosa. E perciò mi ha insegnato a rimanere umile e coi piedi per terra. E sapere che chiunque sulla Terra sia vivo per lavorare e condividere qualcosa.

Cos’hai imparato guardando tuo padre aiutare i senza tetto?

Mi ha segnato molto profondamente e dato una mentalità più aperta. Per me era diventata una cosa normale. Non dico che vedere una persona in certe condizioni sia normale, ma mi ha abituato a trovami in certe situazioni ad aiutare chi ha meno.

Quanto tempo hai dedicato ai tuoi tatuaggi, trascorrendone altrettanto col tatuatore canadese Steve Wiebe? E perché li adori così tanto?

È solo un altro modo di esprimere me stesso. Non amo molto parlare e comunicare con la gente, perciò penso che i miei tatuaggi siano un modo di esprimermi e comunicare con gli altri. Adoro il tempo trascorso con il tatuatore ed il fatto che riesca a disegnarli ed imprimerli sulla pelle.

Quali storie pensi che i tuoi tatuaggi raccontino? E qual è il più importante che hai?

Sicuramente quelli riguardanti la mia famiglia. Mostrano le mie origini e le storie che ho vissuto nella mia vita. Si, purtroppo il mio miglior amico non è più tra noi. Il “Welcome to Texas” mostra da dove provengo. Ci sono anche le Twin Tower di San Antonio, una sorta di cronistoria delle mie origini. Un altro tra i miei preferiti è quello sulla gamba raffigurante Kobe ed il serpente Black Mamba. Mi piace molto. Un’altra delle storie della mia vita espressa tramite i tatuaggi.

Quanto tempo dedichi ai tuoi capelli? Ci racconti la loro storia e come sono fatti?

Dura da sempre e durerà per sempre. Li ha fatti una mia amica a Pasadena. L’ho conosciuta tramite un amico ed ho iniziato a fare le treccine da allora. Anche il mio amico mi diceva spesso che avrei dovuto farmi acconciare i capelli da lei. Adesso sono lunghissimi e richiedono tanto tempo e cura. Il lavaggio e l’acconciatura sono molto impegnativi, ci vogliono dalle due alle tre ore. Ma una volta fatto ciò, lei è bravissima ad intrecciarli e crearmi nuove acconciature. L’intero processo dovrebbe durare dalle cinque alle sei ore.

Lei viene a casa mia, oppure ci incontriamo da qualche parte ogni due settimane. A volte un mese. E in questo caso, sicuramente qualcuno potrà notare i miei capelli crescere un po’ ispidi.

Raccontaci un po’ delle tue unghie: quanto tempo ed energia richiedono?

Li ritocco ogni due settimane, o una e mezza. Ho iniziato in estate. Mia figlia si stava pitturando le unghie e io mi trovavo con lei. Da allora ha iniziato a colorare anche le mie, aggiungendo altre forme d’arte su di me. Si tratta di mostrare stile ovunque mi trovi ed esprimere me stesso. Non amo molto parlare di me e la gente lo rispetta.

Quanto ti manca Kobe Bryant?

Tanto, tantissimo. L’ho già detto e ripetuto più volte, ogni volta che rivedo un suo video. Chiaro, non riuscirà a riportarlo tra noi ma è un ricordo della persona che era. È come se fosse ancora qui.

Cos’hai appreso dall’etica del lavoro di Kobe, dentro e fuori dal campo?

Negli ultimi anni della sua carriera, quando aveva quasi appeso le scarpe al chiodo era ancora sempre il primo ad entrare in palestra, in sala pesi o sul campo d’allenamento. A volte gli si sentiva dire “Hey, dove sei?” e mentre noi stavamo preparando l’allenamento lui aveva già completato una sessione di tiro e visionato video sugli avversari. Molti giocatori di oggi hanno avuto modo di incontrarlo e venirne influenzati: Julius Randle, D’Angelo Russell, me. Ci ha aiutato tantissimo, motivandoci altrettanto.

D-Lo ha parlato di una nostra partita ai tempi dei Lakers contro Portland. Se non erro Damian Lillard e CJ McCollum stavano dominando la partita e Kobe ci ha fatto una ramanzina di 30-40 minuti. Eravamo molto giovani e vedere come loro conducevano il gioco, il livello raggiunto e ciò che facevano è stato molto importante. E credo che sia molto importante per me aver assistito a certe scene.

La tua fidanzata è una donna unica nel suo genere, la cantante pop punk e cantautrice Maggie Lindermann. Che atmosfera si respira quando siete insieme?

Beh, ci divertiamo. Siamo una normalissima coppia come le altre nel mondo. Ci piace andare a mangiare cibo spazzatura. Adoro vederla a lavoro, quando va in tour a cantare nei festival ed eventi. Assistere al suo processo lavorativo. Lei anche parecchio diversa da me.

Ci sono delle analogie tra essere un atleta ed un entertainer? Quando ti prepari per andare a seguire un suo live, come ci si sente?

Per me, per noi atleti, si tratta degli ultimi 15-20 minuti. Tutti escono dallo spogliatoio ed ognuno ha il proprio compito. Più o meno è lo stesso anche per lei. Di solito anche lei fa uscire tutti dal camerino per le ultime prove di voce e poi andare in scena. Un po’ come dicesse “Ci vediamo tra poco, dopo lo show”. Le due cose sono molto simili. Lei scrive e mette tutta se stessa per la sua musica. È davvero splendido assistere a tutto ciò, mi piace molto.

Ascoltavi punk rock anche prima di conoscerla?

Ascoltavo i Blink 182 e gruppi simili. Ascoltavo molta musica da ragazzo. Mi piace ciò che fa lei, ha iniziato con una canzone pop e adesso non vorrebbe più produrre quel genere musicale, ma cambiare per il punk rock. La gente può non accettarlo, ma penso che venga rispettata lo stesso e in ogni caso si sta costruendo il suo percorso in quel campo. E perciò è molto piacevole assistere a tutto ciò.

Cosa rende la stagione dei Jazz un successo, date le basse aspettative ad inizio anno?

Vogliamo arrivare ai Playoffs. Ci metto la mano sul fuoco per me ed i miei compagni, vogliamo vincere quante più partite. Ma, oltre ciò, provo a mettere pressioni su me o i miei compagni? No, perché sin dall’inizio penso che non avevamo grosse aspettative. Volevamo solo scendere in campo, giocare duro, competere ogni notte ed essere una squadra combattiva per vincere partite. Non penso che ci saremmo mai potuti immaginare un avvio di stagione del genere. Però sono sicuro che, sapendo quale sia il nostro valore, sapevamo di poterci giocare ogni partita e contro chiunque, fino ad arrivare ai Playoffs. Possiamo farcela.