Questo contenuto è tratto da un articolo di Keith Pompey per The Philadelphia Inquirer, tradotto in italiano da Marco Marchese per Around the Game.
Il president of basketball operations dei Philadelphia 76ers, Daryl Morey, ha ripetutamente usato il termine “unlocked” riferendosi a James Harden. Viste le sue recenti prestazioni, la domanda sorta spontaneamente è se The Beard possa giocare a livelli più alti rispetto agli ultimi due mesi, oppure i tifosi di Phila debbano ridimensionare le aspettative nei suoi confronti.
Al suo arrivo, l’opinione generale era che fosse ancora uno scorer d’élite, complementare al gioco di Joel Embiid. Invece, Harden si è rivelato un ottimo facilitatore di gioco, ma con visibili difficoltà nel costruirsi quegli spazi e quei tiri che lo hanno reso immarcabile in passato.
“Beh, James è un grandissimo giocatore. Proprio come Joel Embiid e Tobias Harris”, ha detto Morey rispondendo alle domande nell’ultima conferenza stampa stagionale; ha aggiunto di essere ottimista all’idea che il coaching staff avrà a disposizione l’intera estate per preparare la prossima stagione, avendo tempo per integrare al meglio i nuovi giocatori.
“Ovviamente, il fatto di aver avuto Harden a disposizione solamente da febbraio non ha facilitato la sua integrazione e la chimica col resto della squadra. Più che riferirmi a lui quando parlo di ‘sbloccato’, penso a come sia capace di ‘sbloccare’ e liberare il talento dei suoi compagni di squadra.”
– Daryl Morey
Forse, Morey non sbaglia a dire che le tempistiche non siano state le più desiderabili. Harden è arrivato dai Brooklyn Nets, via trade, il 10 febbraio, ma ha potuto debuttare con la sua nuova squadra solamente il 25 febbraio, a causa di alcuni problemi al tendine del ginocchio.
Basterà una miglior condizione fisica per rivedere un Harden più vicino a quello di qualche anno fa? Ai tempi degli Houston Rockets era uno scorer elitario: adesso lo è ancora oppure è diventato “solo” un facilitatore?
“James è un grande giocatore, capace sia di segnare che di servire i compagni. Lo ritengo un grandissimo giocatore, sono soddisfatto di averlo in squadra. Siamo tutti ansiosi di rivederlo in campo.”
Ancora una volta, la domanda è stata elusa. A pensar male si pecca, ma spesso non si sbaglia: probabilmente Morey non se la sente di ammettere pubblicamente ciò che molti ritengono oramai lampante.
Harden non sarà mai il primary scorer giocando al fianco di Embiid (leader della lega per media punti segnati, 30.6), mentre sarà più facile vederlo costruire tiri e vantaggi per i compagni, con un ruolo da playmaker e “secondo violino”.
In occasione di Gara 1 e 2 delle Eastern Conference Semifinals contro i Miami Heat, Harden è stato chiamato a svolgere il ruolo di prima opzione offensiva, dato che Embiid si trovava temporaneamente out a causa della frattura orbitale. Il Barba, però, ha avuto un impatto molto inferiore rispetto a quello che tutti speravano a Philadelphia, e di cui la squadra aveva bisogno.
- Gara 1 (106-92): 16 punti, 5 assist, 5/13 dal campo, 2/7 da tre
- Gara 2 (119-103): 20 punti, 9 assist, 6/15 dal campo, 1/5 da tre
La controfigura di “Houston James Harden“, insomma, specialmente per quanto riguarda i Playoffs.
Difficile attribuire tutte le colpe di queste prestazioni al suo infortunio al tendine, visto il minutaggio oltre i 40′ nella serie precedente contro i Raptors, e poi i 39′ contro gli Heat.
La guardia 32enne ha perso esplosività e trova maggiori difficoltà che in passato nel battere l’uomo e creare vantaggio dal palleggio. Inoltre, non riesce più ad ottenere la quantità di falli e tiri liberi cui ci aveva abituato in passato: è passato dagli 8.3 a partita in Regular Season ai 6.3 nei Playoffs, senza tirarne neanche uno nella sconfitta 99-90 nell’ultima partita della stagione.
In Gara 6, decisiva, ha segnato 11 punti con 4/9 al tiro e 9 assist in 43 minuti in campo, senza segnare alcun punto e tentando solo due tiri dopo l’intervallo. Nella serie, ha segnato 5.3 punti e tirato col 28% dal campo nei secondi tempi.
La domanda è sulla bocca di tutti in questi giorni. Harden riuscirà ad avvicinarsi ancora alla propria pericolosità come scorer di un tempo?
[wbcr_js_snippet id=”20106″]
Il Barba è ancora un ottimo facilitatore offensivo quando non palleggia troppo, e quest’anno si è qualificato secondo nella lega per assist serviti ai compagni. Il fatto è che i Sixers avevano bisogno di lui anche dal punto di vista dello scoring per fare strada nei Playoffs; serviva che alleggerisse maggiormente Embiid nel carico offensivo e che aprisse spazi per Tyrese Maxey. Appurando il suo calo nell’efficienza al tiro, i Raptors avevano preferito negargli facili linee di passaggio e lasciarlo più libero di costruirsi dei tiri.
A discolpa dell’ex Nets, Rockets e Thunder, va ribadito che è stato vittima di parecchi infortuni nelle ultime due stagioni.
Nel finale di Regular Season 2020/21 coi Nets, aveva saltato 21 partite su 24 per un problema al bicipite femorale, per poi tornare disponibile per il primo round di Playoffs contro i Celtics ed essere costretto a fermarsi nuovamente in Gara 1 delle Eastern Conference Semifinals contro i Bucks; era riuscito a tornare in campo – in condizioni tutt’altro che ottimali – per Gara 5, inizialmente con l’idea di limitarne l’utilizzo, ma finendo con 46, 40 e 53 minuti di gioco in Gara 5, 6 e 7. Dopo l’eliminazione, aveva dichiarato di aver giocato nonostante uno stiramento di grado 2.
Prima del suo debutto con i 76ers, avvenuto lo scorso 25 febbraio, Harden era stato out per tre settimane per un altro infortunio al bicipite femorale.
Mettersi alle spalle questi problemi, riposare e avere tempo per lavorare con la squadra in offseason restituiranno a Phila un Harden diverso?
“Finalmente mi sembra di potermi sentire meglio. Quella che verrà sarà un’offseason importante, che sfrutterò per rimettermi in sesto fisicamente e mentalmente, e farmi trovare pronto per la prossima stagione. Gli ultimi due anni sono state davvero caotici per me.”
– James Harden
I Philadelphia 76ers e i loro tifosi sperano che il calo fisico di Harden sia dovuto almeno in buona parte ai tanti problemi fisici subiti negli ultimi anni, e non a ciò che sembra evidente ai più: Father Time. Lo scopriremo l’anno prossimo.