Questo contenuto è tratto da un articolo di Marc J. Spears per Andscape, tradotto in italiano da Alberto Pucci per Around the Game.
Coach Dwayne “DJ” Johnson è l’assistente allenatore di Michigan State che ha accolto Green nel suo ufficio oltre 10 anni fa per parlare delle difficoltà e delle incertezze che circondavano il futuro del lungo oggi ai Golden State Warriors. Green credeva nel proprio talento, ma molti analisti prospettavano per lui un futuro professionistico ben lontano dai palcoscenici della Lega più nota del mondo.
Nonostante un’ottima carriera collegiale, infatti, gli scout NBA non erano convinti di un giocatore che aveva impiegato quattro anni di università per mettersi in luce, contestando a Green diverse lacune tecniche. Il nativo di Saginaw, Michigan, tuttavia, non voleva prendere neanche per un secondo in considerazione l’idea di far partire la propria carriera oltreoceano.
I più maligni arrivavano a dire che la laurea appena conseguita da Draymond avesse più valore delle sue doti cestistiche.
“Non sono mai stato uno di quelli a cui predicevano un futuro in NBA già a 12 anni. Mi ricordo che il mio ultimo anno di università sono entrato nell’ufficio di coach Stephens e ho detto: ‘Coach, questo potrebbe essere l’ultimo anno in cui gioco a basket. Non sono fatto per andare oltreoceano’. Eppure, oltre dieci anni dopo, eccomi ancora qui. È pazzesco”.
– Draymond Green
Green, vincitore del premio di giocatore dell’anno della National Association of Basketball Coaches nel 2012, chiuse l’anno da senior con 16.2 punti e 10.6 rimbalzi di media. Al di là dei numeri, in molti lo consideravano come un’ala grande sotto-taglia e sovrappeso. I Warriors decideranno di dargli una chance nel Draft 2012, ma solo con la scelta numero 35.
Green conosce ancora oggi i nomi di tutti i giocatori scelti prima di lui, la squadra che li ha scelti e l’ordine di selezione. “Penso che tutti i GM abbiano fatto una grande cazzata” – ha dichiarato Green sulla questione.
Anche l’inizio nella Lega, tuttavia, non è stato in discesa per Dray, partito dalla panchina durante la Summer League di Las Vegas e avendo giocato solamente un minuto nel debutto stagionale contro i Suns. Green si sentiva spaesato, lontano dal Michigan per la prima volta e in una San Francisco che sembra muoversi troppo veloce, tanto da apparire come “un’altra Nazione rispetto a casa”.
“Non credevo di riuscire a superare il rookie year”.
La svolta arriva con l’infortunio di David Lee alla vigilia della stagione 2014/15. Green entrerà nella lineup del nuovo coach Steve Kerr e non ne uscirà più.
Alla fine di quella stagione arriverà il primo titolo dei Warriors targati Stephen Curry & Klay Thompson, e un rinnovo contrattuale da 82 milioni in 5 anni per Draymond. Si tratta di uno dei salti salariali più importanti della storia della NBA: da 915 mila dollari a 14 milioni in una stagione.
Da lì, l’apoteosi: altri due titoli e tre apparizioni all’All-Star Game, oltre ad un Defensive Player of the Year vinto nel 2017.
Nell’estate 2019, poi, i Warriors hanno mostrato ancora una volta la propria riconoscenza a quel ragazzo del Michigan che temeva di non superare il rookie year, firmando un nuovo accordo da 99.6 milioni in 4 anni.
Arrivato alla sua undicesima stagione, oggi, il lungo di Golden State ha acquisito il pieno diritto ad una pensione NBA dopo il suo ritiro. Un Draymond 62enne potrà ancora ricevere 215mila dollari annui dalla Lega. Inoltre, i veterani ultradecennali hanno diritto all’assicurazione sanitaria a vita per sé e la propria famiglia, non un dettaglio negli States. Scott Rochelle, presidente dell’Associazione dei giocatori ritirati della NBA (NBRPA), ha commentato questi benefici così: “Il nostro piano è uno dei migliori e più completi dello sport professionistico, ne siamo orgogliosi”.
Eppure, questi benefit sembravano ben lontani per il giovane Green.
“Mi ricordo che partecipavo a queste riunioni dove mi dicevano: ‘Avrai la tua pensione tra 10 anni’, e io pensavo ‘Ma come li faccio altri 9 anni qua dentro?’. Non sembravo fatto per rimanere così a lungo nella Lega”.
Rochelle ha aggiunto ai microfoni di The Undefeated: “La leadership di Draymond è stata fondamentale sia dentro che fuori dal campo per la crescita del programma di player development. Sarà un membro della NBRPA, a tempo debito. Prima, però, ha altri titoli da vincere in campo.”
Oggi, non sono tanti i giocatori nella NBA con un’esperienza pari a quella di Green in NBA. Un sogno, per un giocatore che temeva di non riuscire nemmeno ad entrare nella pallacanestro che conta.
“Ci penso ogni giorno, sono qui da tanti anni e ho fatto grandi cose. Però c’è ancora molto da lavorare e molto da raggiungere.”