Guardare MJ nelle minors è stato di grande ispirazione per i giocatori di baseball più giovani. E per lui era tutt’altro che uno scherzo.

Questo contenuto è tratto da un articolo di Clinton Yates per Andscape, tradotto in italiano da Luca Losa per Around the Game.


Prima della stagione 1994 della MLB, Mike Huff ricevette una chiamata dalla sua squadra e gli venne chiesto di aiutare un giocatore, la cui identità al momento non venne dichiarata, a tirare e prendere una palla da baseball e a giocare in difesa.


Ai tempi Huff giocava da esterno per i Chicago White Sox. Poteva benissimo rifiutare questo ruolo da maestro, ma il suo spirito di squadra gli fece accettare il lavoro.

A quel punto gli venne rivelato chi sarebbe stato il suo studente: Michael Jeffrey Jordan, il 31enne dio dello sport, fresco fresco di ririro dal basket NBA.

“Sì, ho intenzione di dare una mano. E poi, se si tratta di Michael Jordan, allora la scelta diventa scontata. Sì, sarà veramente divertente lavorare con questo ragazzo’”.

Al giorno d’oggi, Huff è ancora parte della famiglia dei White Sox. Lavora nelle giovanili e gestisce la Kid Zone del Guaranteed Rate Field, casa appunto dei bianco-neri di Chicago. Rimembrare, però, quel particolare periodo della sua carriera gli ha ricordato come è stata la trasformazione di MJ da numero 23 dei Chicago Bulls a numero 45 dei Birmingham Barons: dannatamente difficile. Ma anche una figata.

“Subito, quando seppi dell’incarico, pensai a come traslare le movenze di Michael Jordan giocatore di basket sul campo da baseball. Ovviamente, crescendo a Chicago, sapevo esattamente quale fosse la sua danza sul parquet e non vedevo nulla che potesse essere portato sul diamante di gioco, fatta eccezione per l’esplosività del primo passo.Passammo insieme dicembre, gennaio e febbraio, a prepararci per i training primaverili. Stavo facendo il meglio possibile per fargli capire l’importanza dell’aspetto comunicativo, quali movimenti fare, come farli. Gli dicevo di fare suoi i movimenti di Dave Winfiled o di Devon White, di copiare il loro stride – e soprattutto trasformare quell’esplosività cestistica in un’esplosività adatta al baseball”.

A posteriori, ci sono pochi dubbi che questo non sia avvenuto.

Tuttavia, dal primo momento una cosa era chiara. Qualcosa bucava e oltrepassava lo schermo televisivo per entrare nei salotti di chiunque guardasse: la portentosa fama di His Airness.

Quel voltaggio non portò solo i riflettori sul baseball. Ricordò a tutti quanto fosse difficile essere un giocatore professionista di baseball a qualsiasi livello, figurarsi nelle leghe maggiori. Per un 13enne ossessionato dal baseball come me all’epoca, non c’era cosa più “cool” che Jordan potesse fare.

Naturalmente, MJ era già al livello di Babe Ruth, Wayne Gretzky e Muhammad Ali. Ma non facevo boxe, né giocavo a hockey se non era su Sega Genesis, e di certo non mi interessava il baseball anteguerra e pre-integrazione – il baseball prima di Jackie Robinson, per intenderci. Né tantomeno ero di Chicago. Michael Jordan su un campo da baseball, però, era la cosa più incredibile che i miei giovani occhi da interbase avessero mai visto.

Jason Goff, a lungo conduttore radiofonico a Chicago e presentatore pre e post-partita dei Bulls per NBC Chicago, assistette invece a questo evento dall’altro punto di vista, quello di un fan della pallacanestro:

“Da un momento all’altro, così tante persone che non potevano fregarsene di meno del baseball divennero estremamente interessate. Mi ricordo di come dal nulla, io e uno dei miei più cari amici, Laplace, il quale aveva sempre giocato a baseball fin da ragazzino, iniziammo a parlare di baseball. Probabilmente lui non capiva il motivo del mio improvviso interesse, ma c’era una cosa che finalmente io e lui avevamo in comune. Era Michael Jordan”.

Il non detto, fin troppo spesso, della narrativa riguardante il fugace soggiorno di MJ nelle minor league – prima ai Birmingham Barons e poi agli Scottsdale Scorpions – è che ciò che ha realizzato in tal (breve) periodo non solo è notevole, ma è stato anche di incredibile ispirazione per tutti i giovani giocatori di baseball neri.

Sì, è vero, non dimentico tutti i grandi giocatori di colore che popolarono il baseball anni ’90. Un buon numero di quelli giocava proprio lì, nel South Side: Tim Raines, Lance Johnson e Ellis Burks, per esempio, erano tutti e tre titolari ai White Sox (e Huff ne era la loro riserva difensiva – motivo per il quale aveva tempo da dedicare a istruire rookie… “di un certo tipo”).

Ma se Jordan era figo, e se Jordan giocava a baseball, allora anche solo per un secondo il baseball era figo. E ciò fu più che mai chiaro durante il Windy City Classic del 1994, una partita d’esibizione tra i Sox e i Cubs, giocata al Wrigley Field.

Il leggendario commentatore dei Chicago Cubs, Harray Cary, era fuori di sé. Famoso per stravaganze e pomposi eccessi al microfono, a volte ritenuti troppo estremi per essere sinceri, l’occhialuto Hall of Famer quel giorno era una maschera di reale felicità e entusiasmo. E non era un bambino in un negozio di caramelle, ma un uomo adulto che parlava a una leggenda dello sport, e non riusciva a nasconderlo.

“Ho giocato a questo gioco per 50 anni, e questa è la più grade emozione della mia vita: vederti in una uniforme da baseball”, disse Harray Caray, scuotendo la testa per l’incredulità mentre intervistava MJ. Il personaggio più famoso della storia dei Cubs in completa adulazione per un giocatore dei White Sox. Solo questo spiega la portata dell’evento.

E poi… e poi c’è stata la partita.

Jordan iniziò bene catturando una palla, e poi commise un piccolo errore subito dopo. In seguito completò due run importanti, segnò un punto su una home run, dopo aver raggiunto la seconda base con una doppia. Sulla prima RBI (Run Batted In, ovvero una giocata di un battitore che permette di segnare un punto, ndr) il commentatore disse: “Jordan con un RBI singolo, che ve ne pare!”.

L’eccitazione era palpabile. Senza assolutamente esagerare, quel giorno è accaduto qualcosa che probabilmente non è mai successo o succederà mai nella storia del Wrigley Field: un giocatore dei White Sox ha ricevuto una standing ovation. Solo questo racconta quanto sia stato emozionante per tutti i tifosi di MLB.

“Penso che questa mia esperienza nel baseball professionistico, prima di tutto, mostrerà ancora più la credibilità che questo sport si merita. Molte persone mi vedono come un ottimo atleta, eppure per riuscire a giocare bene ci vuole molto di più. Tutti questi professionisti sono atleti eccezionali, ma quello che li distingue è un talento fuori dalla norma”.

Il mio io adolescente era in estasi. Sua Altezza in persona, Michael Jordan, descriveva lo sport che amavo e giocavo sottolineando l’eccezionalità richiesta per aver successo.

“Non mentirò, Mike veramente rinvigorì l’amore per questo grande sport. Quando Jordan iniziò a giocare a baseball, un sacco di ragazzini seguirono le sue orme. In tutto questo, poi, un altro aspetto mi sollecitava particolarmente. Mi chiedevo se Jordan, per fama e nome, stesse rubando il posto a qualcuno? Al di là delle possibili risposte, è stato veramente un momento speciale da vivere. Cose così non accadono più”.(Jerry Goff)

Un ragazzo che ne sa parecchio al riguardo è Darrin Jackson.

Diventato famoso come “quello a cui Jordan a tolto il posto” (una descrizione alquanto ingiusta, a dire il vero), nel ’94 giocava regolarmente per i White Sox. La stagione successiva giocò in Giappone. Non porta, tuttavia, rancore per quei giorni attorno a Jordan. Anzi.

“Ho giocato con molti grandi atleti. Era impressionante vedere l’etica del lavoro di Michael e quanto fortemente volesse che quello che faceva sul diamante di gioco non venisse preso come uno scherzo. Il suo intento era di diventare uno dei migliori della lega”.

Anche se non è andata come sperato, tutte le malignità sulla carriera da giocatore di baseball di Jordan sono assurde. Giocare in Double-A Baseball non è una sciocchezza. Figurarsi per una persona che approccia il professionismo a trent’anni. Ha sì battuto con un poco encomiabile .202, ma ha anche messo a segno 3 home run, 51 RBI e 30 basi rubate.

 

“Se guardi a quella lega, scommetto quello che vuoi che non trovi più di 10 giocatori, forse 20, con più di 30 basi rubate. Oltretutto, MJ mise a segno 50 RBI” – nota Huff, parlando dell’avventura di Jordan a Birmingham, Alabama.

“Insomma, tutto sommato Jordan era produttivo. E poi, successivamente, andò a giocare nella Fall League in Arizona, dove registrò sopra i .250 in battuta giocando contro gente migliore. Dal mio punto di vista, credo che sarebbe stato molto interessante vedere cosa avrebbe potuto fare nella stagione successiva. Avrebbe continuato in Double-A o sarebbe salito in Triple-A, il livello più alto della Minor League Baseball? Avrebbe continuato a fare progressi come stava facendo tutto l’anno? Purtroppo, non lo sapremo mai”.

Terry Francona, ora allenatore dei Cleveland Indians e in passato dei Boston Red Sox campioni alle World Series del 2004, fu l’allenatore di MJ a Birmingham. Era alla sua prima esperienza, e con molta umiltà e modestia racconta di come portasse avanti il suo compito ben spesso improvvisando.

“Va ricordato che avevo solo 34 anni ed era la mia seconda stagione alla guida di una squadra in Double-A. Ero felice che le mie partite venissero commentate in radio, ai tempi cercavo di imparare e sopravvivere in questo nuovo ruolo. E poi, mi venne data la più grande occasione d’apprendimento possibile. Michael trattava il gioco con così tanto rispetto. Gli do veramente tanto credito per come ha trattato e rispettato questo gioco, la gente che lo vive”.

Nel classico di Jay-Z “Encore”, tratto da The Black Album, una strofa dice: “When I come back like Jordan, wearing 4-5. It ain’t to play games with you, it’s to aim at you”.

Ovviamente, il riferimento è a MJ che mette a ferro e fuoco la Lega al suo ritorno in NBA. Ma, se sei un vero appassionato di baseball, sai anche che Jordan optò per quel numero perché era quello che indossava a Laney High School, dove giocò in una squadra di baseball.