Ritrovare un mentore e amico come Kenny Payne è stato fondamentale nella crescita dell’ala dei New York Knicks.

Questo contenuto è tratto da un articolo di Marc J. Spears per Andscape, tradotto in italiano da Alberto Pucci per Around the Game.


Julius Randle lo scorso anno è stato il Most Improved Player e, per la prima volta in carriera, un All-Star, prendendo parte alla partita delle Stelle con il Team Durant (capitano non giocatore, dato l’infortunio).


La ricetta per il successo individuale di Julius – ma anche di squadra – ha dietro di sé uno chef inaspettato: un assistente allenatore al suo primo anno, Kenny Payne.

Queste le parole al miele rivolte dal numero 30 a quello che è stato il suo mentore sin dai tempi vissuti insieme all’università del Kentucky, ormai quasi un decennio fa:

“Ti porta al tuo limite, più lontano di quanto pensi sia il tuo massimo e questo ti aiuta a diventare un giocatore migliore. La cosa più importante per KP: vuole sempre vedere la migliore versione di te”.

Le medie di Randle nel 2020/21 dicono molto del lavoro di Payne e della ricerca di questa fantomatica “miglior versione di Julius”; i suoi career-high di 24.1 punti, 10.2 rimbalzi e 6.0 assist ad allacciata di scarpe gli hanno permesso di essere il primo Knickerbocker a chiudere una stagione con almeno 20 punti, 10 rimbalzi e 5 assist di media – e soprattutto, hanno riportato i Knicks nei Playoffs.

Il nativo di Dallas è stato l’unico All-Star della franchigia negli ultimi quattro anni, da Kristaps Porzingis, convocato nel 2018.

Payne, che ha lavorato fin dal primo giorno con il proprio pupillo, aveva pronosticato con largo anticipo la sua selezione alla partita delle stelle. Queste le dichiarazioni in tempi non sospetti da parte dell’ormai ex-assistant coach di Tom Thibodeau:

“Non so se le persone capiscano veramente chi hanno davanti. Ma la convocazione chiuderà il cerchio e premierà il suo lavoro, il suo carattere, la sua intelligenza. l’abilità di curare il proprio corpo, la forza di lavorare ogni giorno, di essere mentalmente pronto e pensare a come avere successo e aiutare la squadra”.

Il rapporto tra KP e Randle nasce nel 2013. Payne era allora considerato uno dei migliori assistenti allenatori a livello collegiale, e sedeva in panchina a Kentucky di fianco all’Hall of Famer e leggenda John Calipari. L’anno prima che Randle entrasse nel programma dell’università di Lexington, i Wildcats avevano portato a casa il titolo NCAA guidati da Anthony Davis, e continuavano a sfornare talenti NBA a ciclo continuo.

Randle era invece un All-American che stava valutando varie offerte di borse di studio. Texas, Kansas e Florida erano in lizza insieme alla Kentucky di Payne e Calipari. A convincerlo ad accasarsi a UK furono proprio le voci che gli arrivarono sulla capacità di coach Payne di migliorare i giocatori. Non è un caso, d’altronde, che nei 10 anni di Payne a Kentucky, ex-giocatori dell’Università come John Wall, DeMarcus Cousins, Devin Booker, Anthony Davis, Bam Adebayo e altri abbiano scelto di passare le loo estati a lavorare proprio con l’attuale assistant coach dei Knicks.

Payne, invece, racconta di essersi innamorato cestisticamente di Randle vedendolo in un match AAU. Per lui Julius aveva una rapidità “à la LeBron” che si accompagnava ad una grande forza e coordinazione. Payne si presetò subito alla madre del ragazzo, l’ex-giocatrice a livello collegiale Caroline Kyles, e al padrino di questi, il coach AAU ed ex-giocatore NBA Jeff Webster.

Randle uscì confuso dal primo incontro con coach Payne e lo staff:

Tutti quelli che erano stati a Kentucky mi raccontavano di che grande uomo fosse KP e mi dicevano di affidarmi a lui, che con lui sarei migliorato tantissimo. E invece a casa mia si presenta un tizio che non dice una parola, ho pensato – ma cosa sta succedendo, qui?”.

Un deluso Randle decide allora di chiamare il coach il giorno dopo. Ricorda Payne: “Mi chiama e mi dice: vieni a casa mia e non dici due parole?”

Payne aveva scelto di lasciar parlare coach Calipari e temeva di aver rovinato tutto; invece, proprio grazie a quella conversazione privata, riuscì a capirsi con il ragazzo e a portare il giovane talento di Dallas a Lexington.

A Kentucky Randle ha guidato la squadra alla finale del torneo NCAA nel 2014 e, sotto la guida di Payne, è cresciuto moltissimo come giocatore. Avendo sempre tempo per dare consigli a Randle, anche nel cuore della notte, quando necessario.

KP mi ha insegnato ad essere un compagno migliore, mi ha insegnato a lavorare… tutto quello che interessa a coach Payne è la grinta, se vai in palestra con lui devi sudare”.

Randle si è poi reso eleggibile per il Draft 2014, venendo scelto con la settima chiamata assoluta dai Los Angeles Lakers. Dopo una stagione (la sua quarta, nel 2018) da oltre 16 punti di media, ha firmato, proprio su consiglio di Payne, per i New Orleans Pelicans. Payne ricorda i momenti di quella scelta:

“Quando ha nominato i Pelicans gli ho ricordato – ti ricordi quando mi hai detto che adoravi Golden State tre anni fa? Beh, l’offensive coordinator era Alvin Gentry. Quindi se firmi per loro giocherai con AD e un coach che muove la palla come ti piace: devi andarci di corsa!”

Randle ha così firmato con la franchigia della Louisiana un contratto annuale a 8.6 milioni di dollari. E il consiglio di Payne ha certamente dato i suoi frutti, con Randle che ha mandato a referto 21.4 punti, 8.7 rimbalzi e 3.1 assist di media nella sua stagione a New Orleans, per poi decidere di firmare un contratto di tre anni a 63 milioni di dollari con i New York Knicks.

A NY, Randle ha chiuso la stagione 2019/20 con 19.5 punti, 9.7 rimbalzi e 3.1 assist. Nonostante il record della franchigia, il nativo di Dallas si è detto fiero del suo progressivo miglioramento nel corso della passata stagione.

I numeri di Randle non sono passati in sordina nemmeno in casa Thibs, come conferma la scelta dell’ex allenatore di Chicago e Minnesota di rimettersi in gioco a New York.

“Ho allenato contro Juius ed era difficilissimo marcarlo. Apprezzo la sua intensità, l’energia con cui gioca. É stato capace di migliorarsi anno dopo anno. Poi ho visto come si è presentato quest’estate, con che attitudine, in che stato di forma, e ho capito che vuole dare tutto per questa squadra”.

Nel frattempo si rincorrevano i rumors secondo cui Payne volesse lasciare Kentucky per raggiungere proprio Thibodeau ai Knicks. E così Randle, che vedeva la possibilità di diventare una stella se riunito con il suo mentore, ha preso subito in mano il telefono. “Oh, se è vero che vuoi venire qua, sappi che ho bisogno di te, ho bisogno di averti al mio angolo ogni partita, ne ho bisogno”.

Payne ricorda bene quella telefonata. “Mi ha detto che avrebbe comprato un tapis roulant, se lo sarebbe messo in casa e mi avrebbe permesso di farlo correre fino alla morte se mi fossi unito ai Knicks. Mi ha detto che aveva bisogno di me”.

I due si sono riuniti ufficialmente l’11 agosto 2020.

Payne da subito ha creduto che Julius potesse passare al livello successivo del suo gioco, migliorando in primis nella sua leadership vocale e nel linguaggio del corpo. É rimasto scioccato dal fatto che Randle non fosse considerato un gran rimbalzista e lo ha sfidato a tornare ad essere uno dei migliori, come durante i tempi insieme al campus.

FOTO: NBA.com

Inoltre, Payne disse a Julius che solo un All-Star avrebbe potuto permettere ai Knicks di avere successo in stagione.

“Per lui è importante essere a proprio agio, e per essere a proprio agio intendo essere in pace con sé stesso come giocatore. Non essere agitato dall’esterno, non avere delle montagne russe emozionali da una partita all’altra. A lui serve sapere che è un processo, gli serve che le sue emozioni rimangano le stesse per tutta la stagione, gli serve non essere pressato. Quando un giocatore come Julius viene messo sotto pressione, diventa difficile da leggere e diventa frustrato. Bisogna solamente spiegargli chi sia e cosa serva da lui come giocatore e come persona. Bisogna trattarlo in un certo modo, di modo che sia libero di pensare, libero di godersi il suo gioco senza rimanere intrappolato nella negatività che può subentrare nella mente di un giocatore. A New York non serve frustrazione. Serve un All-Star che guidi la squadra alla vittoria.”

Payne racconta che Thibodeau l’estate del 2020 gli avesse dato un piano di aspettative su Julius. In questo piano si pretendeva che Julius fosse in ottima forma fisica e giocasse il miglior basket della sua carriera, con una maggiore ferocia rispetto a prima.

Si potrebbe dire che il piano sia perfettamente riuscito, nell’immediato. Payne, tuttavia, era convinto che il meglio debba ancora venire per il suo pupillo.

“Abbiamo visto solo la superficie del suo talento. C’è ancora molto da scoprire”.

Ad oggi, purtroppo per Julius e per i Knicks, la stagione fallimentare non ha permesso di ripetere le prestazioni stellari del 2020/21. E, a dire il vero, lo scenario che si è venuto a creare è proprio quello che Payne non si auspicava, con vari screzi e tensioni fra Randle e l’ambiente dei New York Knicks.

Adesso che neppure Payne ci sarà più, dopo il trasferimento sponda Louisville, per il giocatore ex-Kentucky si prospetteranno tempi sempre più duri. Tanto che le prime lacrime non hanno tardato ad arrivare, versate proprio per l’uomo che, più di tutti gli altri, ha avuto davvero il merito di renderlo un All-Star.