Dai campi argentini, passando per l’Italia, fino alla NBA, ripercorriamo l’incredibile carriera di uno degli atleti più amati dai tifosi di tutto il mondo, con l’ultimo capitolo della nostra collana.

QUESTO È IL TERZO E ULTIMO CAPITOLO DELLA COLLANA DEDICATA A MANU GINOBILI; POTETE TROVARE IL PRIMO QUI E IL SECONDO QUI
Nel 2010/11 San Antonio cambia ancora le proprie rotazioni e Popovich rimette l’argentino in quintetto. Manu gioca una grandissima stagione, con 17.4 punti e 4.9 assist (massimo in carriera) in 30.3 minuti. Le sue prestazioni lo portano ad essere convocato per il suo secondo All-Star Game e, a fine stagione, ad essere inserito nel All-NBA Third Team. San Antonio chiude col secondo record della Lega e il primo ad Ovest, in città non si nascondono grandi speranze per “il ballo finale”. La sfortuna però si fa viva proprio quando meno te lo aspetti, nell’ultima partita di Regular Season: Ginobili torna in versione El Contusion infortunandosi al gomito destro. Salta la prima partita di Playoffs contro i Memphis Grizzlies, rientra dalla seconda – anche se non è ovviamente al massimo della forma – e segna 20.6 punti di media (con un massimo di 33 punti in Gara 5) e 4,2 assist nella serie. Gli Spurs però vengono clamorosamente eliminati dai Grizzlies per 4-2 e cominciano ormai irrimediabilmente a farsi vive le voci dei detrattori, che definiscono San Antonio “squadra vecchia e non più in grado di poter competere per il titolo”.
Il 1° luglio del 2011, invece di sancire l’inizio del mercato dei free agent, è l’inizio del lockout NBA. Il mancato rinnovo del contratto collettivo porta all’irrimediabile serrata da parte dei proprietari NBA. Dopo i primi rinvii e la minaccia, sempre più concreta, dell’annullamento definitivo della stagione, molti giocatori cominciano a fare l’occhiolino alle varie squadre europee, anche solo alla ricerca di contratti a gettone per evitare di perdere l’intera stagione agonistica, ma pronti a tornare in USA in caso di avvio della stagione. Così, mentre Milano vede il ritorno di Danilo Gallinari, a Bologna, sponda Virtus, si comincia a vociferare di un possibile rientro a casa di Manu Ginobili. L’idea, dal sapore romantico, diventa una vera offerta sul tavolo dell’agente dell’argentino. Alla fine il sogno dei tifosi bianconeri rimane tale, anche perché le trattative tra associazione giocatori NBA e i proprietari, dopo vari tira e molla, si concludono positivamente e la stagione prende ufficialmente il via il 25/12/2011. Una stagione anomala, diversa, complessa, con un calendario fitto che non lascia tempo agli aggiustamenti e al risposo. Ah, per la rubrica “assist dell’anno”, vedere il passaggio di Manu contro i Lakers nella sfida di aprile: un TD pass da metà campo che Matt Bonner deve solo appoggiare al vetro.
Per San Antonio solito biglietto staccato per i Playoffs ma clamorosa battuta di arresto nella finale della Western Conference: contro Oklahoma City, infatti, gli Spurs vanno in vantaggio 2-0 e sembrano perfettamente padroni della serie, ma i freschi e promettenti Thunder del trio Durant-Westbrook-Harden, più giovani e molto più atletici, ribaltano completamente gli esiti della sfida e vincono le successive quattro partite, conquistando un posto alle NBA Finals. Manu gioca un’ottima serie, con 18.5 punti di media e un massimo di 34 in Gara 5, ma nulla può contro lo strapotere fisico di OKC.
Nell’estate del 2012 un nuovo appuntamento olimpico attende Manu, che con la sua Argentina rincorre una nuova medaglia nei Giochi Olimpici di Londra. La seleccion si conferma squadra di livello, anche se non più quella forza motrice dei tempi di Pechino. Guidata da Ginobili (19.4 punti, 5.4 rimbalzi, 4.1 assist col 53,3% da 2 e 44,2% da 3), raggiunge la semifinale dove sbatte contro la corazzata Team Usa, che sta viaggiando spedita verso l’oro. C’è ancora la possibilità di una medaglia per i sudamericani, ma contro la Russia l’Argentina perde 81-77 (Manu 21 alla sirena finale). Sfuma il bronzo.
Nella stagione 2012/13, Popovich decide di variare ancora una volta l’utilizzo di Manu. Se ormai la partenza dalla panchina dell’argentino è assodata, il suo minutaggio è ridotto sensibilmente (gioca 23.2 minuti di media in 60 gare). L’intento di coach Pop è chiaro: ridurre il chilometraggio dell’ormai trentacinquenne Ginobili, con un fisico logoro a causa dei numerosi infortuni patiti in carriera. Meno quantità e più qualità. Col passare degli anni il gioco del Narigon è cambiato, con gambe non più esplosive come una volta, ma una grandissima conoscenza del gioco, un tiro da fuori ormai micidiale e un elevato IQ cestistico. Proprio la sua abilità nell’individuare ogni situazione, ogni gioco, nel riconoscere ogni chiamata e ogni schema avversario, gli permettono di allungare la propria carriera.
Manu non gioca una delle sue migliori Regular Season e addirittura sul finale si infortuna nuovamente, saltando nove partite, prima di rientrare per i Playoffs. Non è in forma, ma gli Spurs giocano meravigliosamente. In attacco cavalcano il duo Duncan-Parker e inoltre sta emergendo sempre più la 15° scelta del Draft 2011, Kawhi Leonard – che, grazie al suo fisico, al suo atletismo, alle braccia infinite, alle capacità difensive ammorbanti e alle sempre crescenti sicurezze offensive, si sta rivelando l’ennesima “steal” degli Spurs.
Gli Speroni raggiungono le Finals e affrontano i Miami Heat dei Big Three – LeBron James, Dwyane Wade e Chris Bosh – alla seconda finale consecutiva. San Antonio riesce a portarsi in vantaggio per 3-2 nella serie e in Gara 6 è avanti di 5 a 5.2 secondi dalla fine. Sappiamo tutti com’è andata a finire. Tripla insensata e impossibile di Ray Allen – “The Shot” – e da quel punto in poi tutto apparecchiato per il titolo di Miami, vinto in Gara 7. Per gli Spurs una sconfitta bruciante, di quelle che ti svuotano dentro e da cui non è facile riprendersi. Manu gioca una buona Gara 7, con 18 punti e 5 assist in 35 minuti, ma per lui e per tutti gli Speroni si sprecano le chiacchiere da bar di un capolinea ormai raggiunto, di un’impresa sfiorata ma non più avvicinabile.
La carriera di Ginobili non può concludersi così, non se sei un vincente nato.
Quando gli Spurs si ritrovano il primo giorno della stagione 2013/14 al centro di allenamento, Popovich e il proprio staff, come primissima cosa, fanno vedere ai giocatori un filmato: sono gli ultimi secondi di Gara 6. Da lì vogliono ripartire i nero-argento, dall’affrontare le proprie debolezze e prepararsi alla vendetta (sportiva ovviamente).
Il roster è sostanzialmente lo stesso, con il solito paio d’innesti mirati: fra questi il nostro Marco Belinelli, proprio quel Belinelli che entrava a far parte della prima squadra della Virtus mentre Ginobili era il re della Bologna bianco-nera. Il basket degli Spurs è ancora più armonioso dell’anno precedente: giocano eseguendo alla perfeziona una pallacanestro di letture e numerose variabili per ogni gioco. Con un Leonard sempre più importante a livello offensivo e con la panchina guidata dall’uomo di Bahia Blanca, San Antonio chiude la Regular Season con un record di 62-20 (primo nella lega), che le assicura il vantaggio del fattore campo per tutti i Playoff.
Ginobili gioca una stagione certamente più solida rispetto all’anno precedente, al di là delle cifre, che comunque sono in miglioramento. Popovich centellina i suoi minuti, per preservarlo il più possibile dagli infortuni e per averlo più fresco e in forma quando serve. Nonostante tutto, Manu finisce comunque terzo nella classifica per il premio di sesto uomo dell’anno.
Al primo turno dei Playoffs gli Spurs soffrono più del dovuto coi Mavericks. Grazie all’ottimo game plan di coach Carlisle, San Antonio necessita di sette gare per passare il turno, e poi superare Portland per 4-1. In finale di Conference il re-match dei Playoffs 2012: quegli Oklahoma City Thunder giudicati “troppo per i vecchi Spurs”. Dopo che i texani si sono portati avanti per 2-0, ecco che di nuovo Durant e compagni pareggiano la serie, alimentando i fantasmi del passato. Stavolta però la musica è cambiata e San Antonio vola in finale. Per Ginobili tre serie di Playoffs molto solide, con i soliti guizzi unici e giocate decisive, quelle che sempre ci si attendono da lui. Anche a trentasei anni.
Intanto, il 21 aprile, diventa nuovamente padre. Nasce il suo terzo figlio, Luca. In finale, poche settimane dopo, gli Spurs ritrovano proprio i Miami Heat. Un intero anno di attesa per la riedizione delle Finals 2013. Il momento della vendetta.
Stavolta la serie è tutta un’altra storia: gli Speroni, se fosse mai possibile, alzano il numero di giri e la loro pallacanestro, che già si è affinata durante i Playoffs, raggiunge livelli celestiali. Vederli giocare è pura goduria, per i puristi del gioco e non. Ginobili poi sembra aver fatto un bagno nella piscina di Cocoon, sciorinando prestazioni, giocate, una freschezza atletica e un’integrità fisica che mancavano da tempo.
Nessuno può scordarsi il coast-to-coast chiuso con una potente schiacciata, “posterizzando” Chirs Bosh. Seguita, nel possesso successivo, da una tripla dopo uno step-back indifendibile. Il tutto a poche settimane dal trentasettesimo compleanno. Trentasettesimo.
Finisce 4-1 per gli Spurs, con Leonard MVP e quarto titolo per Manu.
Nel 2014/15 gli Spurs sono dati per favoriti per il back-to-back. Il roster è confermato e, nonostante l’età, adesso tutti credono che la loro pallacanestro, la loro perfetta esecuzione e lo stile di gioco siano inimitabili, un’arma vincente difficilmente arrestabile. Niente si dimostrerà più inesatto, invece. Sul titolo mettono le mani i Golden State Warriors, una squadra di cui si sentirà un po’ parlare negli anni successivi. Per San Antonio una stagione fatta di alti e bassi e una pesante eliminazione al primo turno dei Playoffs, 4-3 contro i Los Angeles Clippers. Per Manu il trend è sempre lo stesso, con cifre in calo sotto ogni voce statistica in Regular Season, frutto di un utilizzo a dir poco certosino da parte di Coach Pop e di un ruolo ormai diverso dell’argentino all’interno della squadra. Il suo compito è sempre più quello di guidare la panchina e utilizzare la sua sproporzionata conoscenza del gioco, le sue “mascalzonate” per svoltare le partite degli Spurs. Senza dimenticarsi che ha ancora jolly da tirare fuori, come i 28 punti a novembre contro Indiana o i 27 a gennaio a Charlotte.
Nella stagione 2015/16 gli Spurs operano importanti aggiunte al roster, con LaMarcus Aldridge e David West dal mercato dei free agent. La squadra gioca una Regular Season stellare, chiudendo col nuovo record di franchigia di 67-15 e tutti i favori del pronostico. Ginobili, tra leggeri infortuni e riposi forzati, disputa solo 58 partite, ma fornisce il suo solito, immancabile contributo dalla panchina. A prescindere come sempre dalla cifre (per la prima volta dalla sua stagione da rookie non finisce in doppia cifra media di punti). Nei Playoffs San Antonio, dopo aver spazzato via i Grizzlies al primo turno, viene eliminata ancora dai Thunder, in sei partite.
Nonostante la cocente delusione, viste le premesse, per Manu non c’è nemmeno il tempo di rifiatare che deve buttarsi anima e corpo in una nuova avventura olimpica con la nazionale: si va a Rio de Janeiro. Per alcuni eroi della generacion dorada è l’ultima occasione di aggiungere una nuova medaglia in bacheca. Il girone dell’Argentina è molto equilibrato (negli annali il derby sudamericano col Brasile, che l’Argentina vince dopo 2 supplementari); le quattro squadre che passano il turno hanno tutte lo stesso punteggio in classifica. Ai quarti la Seleccion, sfortunata, incontra di nuovo gli Stati Uniti e viene eliminata (finisce 105-78).
Per Manu si è trattato dell’ultima partita con la camiseta albiceleste. Struggente la sua intervista a fine gara rilasciata alla NBC, nella quale, parlando della sua lunga avventura in nazionale, è costretto ad interrompere. Non può trattenere le lacrime.
A 39 anni in ogni caso Manu non ha concluso la sua carriera NBA e comincia così la stagione 2016/17 con gli Spurs. Sarà tuttavia un’annata diversa, perché per la prima volta dal 1997, Tim Duncan non indosserà il suo numero 21. Il caraibico ha infatti deciso di appendere le scarpe al chiodo, dopo un’inimitabile carriera. Manu gioca 69 partite e una buona Regular Season con 7.5 punti, 2.3 rimbalzi e 2.7 assist in 18.7 minuti. Nonostante le cifre più basse in carriera, guida i nero-argento per sfondamenti presi, dimostrando di essere ancora molto importante nei meccanismi della squadra.
Nei Playoffs l’argentino non riesce ad essere molto incisivo inizialmente. Al secondo turno contro i Rockets, in Gara 5, indossa però nuovamente i panni dell’All-Star. Della leggenda vivente. Segna 12 punti con 7 rimbalzi e 5 assist in 31 minuti; realizza, con una pennellata mancina al tabellone, il canestro del pareggio nei regolamentari; e, col punteggio sul +3 per San Antonio alla fine dell’overtime, stoppa James Harden nel tentativo di segnare il tiro del pareggio all’ultimo secondo.
Gli Spurs vincono la serie e affrontano i Golden State Warriors nella finale ad Ovest. Dopo una folgorante porzione di G1, perdono Kawhi Leonard per infortunio e non riescono così a competere con Curry, Thompson, Green e compagni. Ginobili fa gli straordinari, segna più di 15 punti in tre su quattro partite della serie, ma San Antonio viene comunque spazzata via.
Negli ultimi secondi di Gara 4, a giochi ormai fatti, Popovich richiama in panchina il numero 20. Sembrano gli ultimi istanti dell’argentino sul parquet, dato che il suo contratto è in scadenza e che gli anni sono quasi 40. Il pubblico dell’AT&T Center gli riserva una standing ovation. Manu però è tranquillo: come dichiarava ormai da anni, alla fine della stagione, dopo un po’ di riposo, avrebbe ascoltato il proprio corpo, avrebbe valutato le proprie motivazioni e parlato con la famiglia, e solo a quel punto avrebbe deciso se continuare o meno. E infatti rinnova per altri due anni con gli Spurs.
Nella stagione 2017/18, Manu gioca ancora una concreta pallacanestro, al dispetto delle quaranta primavere. Riesce nuovamente a realizzare prestazioni degne del suo talento, come i 18 punti contro i Bucks o addirittura i 21 e i 26 in due partite consecutive a gennaio, diventando il secondo giocatore della storia NBA a segnare almeno 20 punti a 40 anni, per giunta partendo dalla panchina. Se San Antonio vive la stagione più difficile degli ultimi vent’anni – segnata dal rischio di non qualificarsi per la post-season e da tutta la complessa vicenda relativa all’infortunio (e quanto ne è conseguito) di Leonard – Manu sembra aver trovato una seconda giovinezza. O forse terza, o quarta, visto il numero di volte che l’abbiamo pensato.
L’8 dicembre vince la gara contro i Celtics con una tripla in faccia ad Al Horford a 5 secondi dalla sirena. Per ricordarlo un’altra volta a tutti: “He’s Manu Ginobili”.
Una settimana dopo replica, segnando il +2 contro Dallas a 3 secondi dalla fine, e per tutto gennaio El Narigon è addirittura la seconda guardia più votata della Western Conference per l’All-Star Game 2018 (al quale alla fine non prenderà parte, anche per sua grande gioia, non amando tale “competizione” e preferendo un po’ di riposo con la famiglia).
Gli Spurs però risentono troppo del “caso Leonard”: il contrasto tra squadra/dirigenza e il numero 2 si protrae per tutta la stagione, portando tutt’altro che armonia in un ambiente abituato all’equilibrio e a “lavare i panni sporchi in casa propria”. San Antonio si qualifica per la post-season per il rotto della cuffia, col settimo record ad Ovest e gli avversari al primo turno sono i Golden State Warriors campioni in carica. Il divario tra le due squadre è troppo grande, i texani inoltre devono fare a meno di coach Pop, che sta affrontando il lutto per la scomparsa della moglie. Finisce 4-1 per quelli della Baia. Per Manu una serie in chiaroscuro, con gare da 0 punti in 16 minuti (G3), o come i 16 punti, 5 assist e +18 di plus/minus nell’unica vittoria dei suoi nella serie.
Chiusa la stagione agonistica, Ginobili si dedica a tempo pieno alla propria famiglia, viaggiando tanto con la bella Marianela e i figli Dante, Luca e Nicola. Deve guardarsi dentro e decidere se fisicamente e mentalmente sia pronto ad indossare nuovamente la numero 20. L’addio agli Spurs del secondo dei Big Three, Tony Parker (volato a Charlotte), e la stagione logorante dal punto di vista psicologico hanno lasciato il segno.
Il 27 agosto 2018 l’argentino, tramite il proprio account Twitter, comunica il proprio ritiro dalla pallacanestro, spezzando i cuori di chi ama la pallacanestro.
Un giocatore unico nel suo genere, che ha fatto innamorare i tifosi di tutto il mondo, incantati dal suo estro e la sua geniale follia, ammaliati dalla sua comprensione del gioco e da come l’ha applicata in campo per tanti anni. Un atleta che, con la cura maniacale del corpo e la capacità di evolvere il proprio gioco, è riuscito a raggiungere gli “anta” in campo. Come il suo idolo da bambino, Michael Jordan, ha saputo modificare le proprie caratteristiche, dapprima sfruttando le eccezionali doti atletiche e, man mano, aggiungendo e poi sostituendo con qualità tecniche invidiabili. Solo i grandi riescono a farlo, solo i campioni riescono ad avere la forza mentale per farlo così a lungo, in una carriera unica che, purtroppo, Padre Tempo ha portato verso la fine.
Volendo imitare quanto compiuto il 28 marzo 2019 all’AT&T Center, molti di noi avranno, idealmente o realmente, appeso la maglia numero 20 al soffitto di casa.
Gracias, Manu.