Dai campi argentini, passando per l’Italia, fino alla NBA, ripercorriamo l’incredibile carriera di uno degli atleti più amati dai tifosi di tutto il mondo. Questa volta, con il secondo capitolo della nostra speciale collana.
QUESTO È IL SECONDO CAPITOLO DELLA COLLANA DEDICATA A MANU GINOBILI, POTETE TROVARE IL PRECEDENTE QUI
In Texas Manu trova una squadra di valore, che la stagione precedente ha avuto un record di 58 – 24 ed è stata eliminata dai Lakers al secondo turno di Playoffs. Nonostante le abitudini di Popovich siano quelle di introdurre lentamente i rookies all’interno delle rotazioni, per valutarne anche l’affinità alla “Spurs culture”, Ginobili trova da subito minuti in campo.
Le sue prestazioni sono comunque interlocutorie, almeno nei primi mesi in USA. Intanto perché, dopo i Mondiali, non ha avuto il tempo di recuperare dall’infortunio alla caviglia e il suo gioco è ancora parzialmente limitato. A tal proposito fa specie un aneddoto raccontato da Tim Duncan, quando coach Pop gli riferiva che era in arrivo un argentino fortissimo. Tim non gli aveva creduto, pensando che il coach lo prendesse in giro. Quando poi Ginobili aveva fatto i primi allenamenti con la squadra, il caraibico era rimasto negativamente impressionato dal rookie (non a conoscenza dei suoi problemi fisici) e aveva chiesto allo staff tecnico: “Ma chi avete preso?!”.
Un altro ostacolo all’inserimento dell’argentino deriva dal fatto che il suo estro, la sua genialità e la sua imprevedibilità non si sposano sempre alla perfezione con la visione di pallacanestro di Gregg Popovich, molto più controllata e organizzata. A ogni “mascalzonata” mal riuscita, coach Pop gli urla dietro ogni tipo di offesa del vocabolario anglosassone.
Nonostante i citati problemi, Manu durante l’arco della stagione riesce a trovare il proprio ritmo e la giusta condizione. Il suo “tango argentino” si abbatte sull’NBA. Nonostante provi diligentemente a mettersi in mostra prima come difensore che per le sue doti offensive, nel rispetto di ruoli e gerarchie, Ginobili sciorina movimenti e giocate mai viste in America: semplicemente nessuno si aspetta, da un argentino magrolino venuto dall’Europa, penetrazioni al ferro chiuse con poderose schiacciate, cambi di direzione incontenibili e passaggi inimmaginabili. Riesce così a ritagliarsi una ventina di minuti di media sul parquet uscendo dalla panchina, venendo proclamato rookie del mese di marzo nella Western Conference, chiudendo la Regular Season con 7.6 punti a partita e 1.4 recuperi; alla viene incluso nel secondo quintetto dei rookie di quell’annata.
La stagione regolare di San Antonio si conclude in maniera estremamente positiva, col miglior record della Lega (60 -22) e dunque il vantaggio del fattore campo in tutti i Playoffs. Tim Duncan viene nominato MVP e Gregg Popovich Coach of the Year. Al primo turno gli speroni attendono i Phoenix Suns di Coney Island Finest, Stephon Marbury e del Rookie of the Year, Amar’e Stoudemire.
I Playoffs 2003 sono i primi che presentano la serie al meglio delle 7 gare anche al primo turno, ma la sfida per gli Spurs, sulla carta, non sembra proibitiva, trattandosi del classico testa-coda. Invece San Antonio perde a sorpresa Gara 1 e deve comunque faticare per vincere la serie 4-2.
Gli Spurs al secondo turno eliminano i Lakers 4-2 e i Dallas Mavericks, nella finale della Western Conference, sempre con lo stesso punteggio.
In finale alla (allora) SBC Center arriva il flight circus dei New Jersey Nets.
La serie è molto equilibrata, con New Jersey che espugna il campo degli Spurs in Gara 2 e un Jason Kidd in formato MVP. Ginobili disputa una serie in crescendo: dopo un inizio altalenante, segna il canestro decisivo del +5 a 44 secondi dalla sirena di una fondamentale Gara 3, e concluderà in doppia cifra le ultime tre partite della serie (8.7 in 28 minuti nelle Finals).
Gli Spurs portano a casa il loro secondo titolo della storia, vincendo (manco a dirlo) 4-2 e Tim Duncan viene eletto MVP. Per Manu uno splendido titolo conquistato nella propria stagione di esordio e i primi Playoffs chiusi con 9.4 punti, il 46,2% da 2 e il 38,4% da 3 in 20.7 minuti.
In estate gli Spurs sono alle prese col rinnovo del contratto di Stephen Jackson. Il giocatore chiede cifre che il GM R.C. Buford reputa troppo onerose; inoltre, la stagione positiva di Ginobili e il potenziale intravisto nell’argentino fanno sì che non ci si voglia troppo svenare per confermare Jackson. Fatto sta che “Jack” passa ad Atlanta e Manu vede spalancate le porte per un minutaggio molto più alto.
La stagione 2003-04 vede una San Antonio con aggiunte importanti, anche se non estreme, nel roster, con l’arrivo di Robert Horry, Radoslav Nesterovic e Hidayet Turkoglu. Manu continua la propria maturazione tecnica, guadagnando sempre più minuti in campo e incrementando le proprie cifre, che in Regular Season saranno di 12 punti col 41,8% dal campo, 4.5 rimbalzi e 3.8 assist. Un miglioramento costante al tiro da fuori unito alla proverbiale faccia tosta di andare a sfidare dentro l’aerea “cristoni grandi e grossi tutte le sere” (cit. Kareem Abdul Jabbar ne’ “L’aereo più pazzo del mondo”).
La stagione per San Antonio si chiude con un record di 57 – 25 e il terzo posto nella Conference. I Playoffs però si fermano al secondo turno (4-2), contro i nuovi Lakers del quartetto O’Neal/Bryant/Malone/Payton. Per Manu un ulteriore passo in avanti nelle cifre della post season con 13.0 punti, 5.3 rimbalzi e 3.1 assist in 28 minuti.
L’estate del 2004 si rivelerà un punto di svolta della carriera dell’argentino.
In primis per il matrimonio con la sua fidanzata, Marianela Oroño, conosciuta ai tempi dell’Estudiantes. Inoltre, dal 13 al 29 agosto si tengono, ad Atene, i giochi della 28° Olimpiade. Per l’Argentina ci sono grandi aspettative dopo l’argento conquistato ai Mondiali 2002. Confermato lo zoccolo duro del gruppo, con aggiunte importanti come Walter Herrmann e Carlos Delfino. Un gruppo straordinario, che farà la storia del basket albiceleste. Nonostante altre grandi favorite come la Serbia e Montenegro (ex Jugoslavia), la Lituania e, ovviamente, gli Stati Uniti, i ragazzi di coach Ruben Magnano sanno che quella è per loro una grande occasione di entrare nell’Olimpo, nell’élite del basket mondiale.
Si allenano duramente fin dal primo giorno e Ginobili, leader indiscusso della squadra, tira il gruppo, dando l’esempio. Come nel primo giorno di training camp della Seleccion: dato che in Argentina non hanno certo le facilities extra lusso stile USA, la squadra scopre che il riscaldamento della palestra di allenamento non è funzionante e nemmeno l’acqua calda delle docce. Siamo nell’emisfero sud, quindi in pieno inverno. Molti giocatori sono titubanti, Manu non ha alcuna esitazione: si “imbacucca” dalla testa ai piedi e comincia a correre intorno al campo, con la classica nuvoletta di vapore che esce dalla bocca a ogni respiro. Gli altri giocatori, vedendo il loro leader iniziare l’allenamento nonostante le condizioni avverse, non possono tirarsi indietro. Quell’episodio è il primo mattoncino per la conquista di un trionfo storico.
Ai Giochi, per l’Argentina subito un test probante, il rematch della finale mondiale contro la Serbia e Montenegro. Ed è subito Ginobili show, col Narigon che segna un assurdo canestro in tuffo per la vittoria sulla sirena.
L’esaltazione albiceleste è subito sedata dalla sconfitta con la Spagna alla seconda giornata; poi due vittorie con Cina e Nuova Zelanda e infine una sconfitta con l’Italia. Ai quarti ci sono i padroni di casa della Grecia, che sono regolati per 69-64, e in semifinale gli USA di coach Larry Brown. Non paghi della figuraccia di due anni prima, complici infortuni e rinunce, gli Stati Uniti non si sono presentati ad Atene con la miglior formazione possibile. Certo, ci sono Tim Duncan e Allen Iverson, Dwyane Wade, un LeBron James e un Carmelo Anthony ancora abbastanza acerbi e non ancora dominanti in NBA.
L’Argentina è totalmente incontenibile, Manu è super e distrugge la difesa (difesa?) a stelle e strisce, chiudendo la gara con 29 punti, il 71% da 2 e il 66% da 3.
Seleccion in finale dove affronta la stoica Italia di Recalcati, che ha compiuto il miracolo contro la Lituania, crivellandola di triple. Nonostante l’equilibrio regni all’intervallo, l’inerzia è sempre nelle mani dei sudamericani; l’Italia è troppo stanca per le fatiche del giorno precedente e l’Argentina è troppo forte per chiunque. Finale 84-69. Manu è chirurgico, chiude con un fatturato di 16/6/6. Per l’Argentina è il trionfo, una squadra che ha sconvolto (positivamente) un paese. Una medaglia d’oro che rimarrà per sempre nella memoria della nazione.
Per Ginobili le Olimpiadi diventano il vero trampolino di lancio: acquisisce una maturità tecnica ed un entusiasmo che getta a pieno nella stagione NBA 2004/05.
Le sue cifre schizzano verso l’alto (a parità di minuti segna 16 punti di media, col 51% da 2 e il 37% da 3), ma non basteranno mai le statistiche a descrivere l’importanza di questo giocatore all’interno di una squadra. Non a caso per lui si aprono le porte del quintetto per tutte le 74 partite giocate di Regular Season e viene anche convocato nella selezione della Western Conference all’All-Star Game di Denver. All’interno del rigido sistema di Popovich ormai può concedersi varie licenze poetiche che, unite ad un sempre più temibile tiro dall’arco e alle sue proverbiali penetrazioni, lo rendono un vero rebus per le difese avversarie, costrette già allo straordinario con Duncan e Parker.
Non a caso gli Spurs arrivano in finale NBA, dove trovano ad attenderli i campioni in carica, i Detroit Pistons.
La serie finale è splendida, giocata da due squadre che eseguono una pallacanestro per palati fini. Ginobili, che come i veri campioni ha alzato le marce del proprio gioco nei Playoffs, in finale è incontenibile e, insieme a Tim Duncan, è il leader tecnico degli Spurs. C’è grande equilibrio in campo. In Gara 5 la partita è sul filo e non bastano i tempi regolamentari. A 9.4 secondi dalla fine del primo supplementare, col punteggio 95-93 per Detroit, Manu riceve in angolo la rimessa, viene subito raddoppiato da Rasheed Wallace, che però lascia libero Robert “Big Shot” Horry. Per un fine passatore come l’argentino è fin troppo facile pescare libero Horry sull’arco, che realizza la tripla della vittoria. Un successo decisivo della serie perché gli Spurs passano in vantaggio per 3-2 e, nonostante la sconfitta in Gara 6, vincono il titolo nella decisiva Gara 7 a San Antonio. L’MVP delle finali va a Duncan, ma mai come questa volta il giudizio non è unanime, con Ginobili che stra-meriterebbe la palma di miglior giocatore; i tabellini parlano di una media di 18.7 punti, 4 assist (migliore degli Spurs), 5.9 rimbalzi col 49,4% da 2 e il 38,7 % da 3 – oltre, come sempre, ad un impatto sul gioco ben oltre le mere cifre.
Nella stagione 2005/06 Manu subisce un nuovo infortunio alla caviglia. La sua proverbiale resistenza al dolore, unita alla cultura sportiva di non cercare mai alibi, lo porta a giocare senza mai guarire del tutto, ma inevitabilmente il proprio gioco ne risente. L’allora suo compagno di squadra, Brent Barry, gli affibbia un nuovo soprannome, “El Contusion”, in merito alla sua tendenza agli infortuni, frutto non della fragilità fisica ma del gioco, sfacciato, senza preservare minimamente il proprio corpo dai contatti. In realtà questa sua tendenza a sfidare in area i big man era già venuta fuori in Argentina, quando la madre, la signora Raquel, lo invitava a non tentare la schiacciata nel traffico ma a tirare da fuori, preoccupata per i lividi e i segni con cui il figlio tornava a casa dopo le partite.
Riesce tuttavia a ritrovare una buona forma per i Playoffs. Sarà una delle serie più avvincenti di sempre. Gli speroni finiscono sotto 3-1 nella serie, ma vincono Gara 5 con un super Duncan e Gara 6 con un sontuoso Ginobili da 30 punti e 10 rimbalzi. Gara 7 si gioca all’AT&T Center, l’inerzia è nelle mani dei padroni di casa, ma sul +3, a pochi secondi dalla fine, proprio Ginobili commette un errore madornale concedendo un canestro e fallo a Nowitzki, che manda l’incontro ai supplementari, in cui Dallas ha la meglio. Per Manu uno dei momenti più difficili della carriera, che richiederà diverso tempo per essere sanato.
Nell’estate 2006 Manu indossa nuovamente la canotta albiceleste per giocare i Campionati del Mondo. La generaciòn dorada arriva fino alla semifinale, ma viene fermata dai futuri campioni del mondo della Spagna, perdendo 75-74. Per Ginobili comunque un altro grande torneo, che lo vede incluso nel miglior quintetto della manifestazione insieme a Teo Papaloukas, Pau Gasol, Carmelo Anthony e Jorge Garbajosa.
Nella nuova stagione in NBA, finalmente sano fisicamente, il suo rendimento cresce ulteriormente, e Popovich decide di farlo partire come sesto uomo, per elevare il contributo della panchina. L’aggiustamento nella rotazione si rivela azzeccato, sia per l’imprevedibilità dell’argentino, che non fa abbassare il rendimento della second unit (anzi, è in grado di guidarla), sia e soprattutto perché Manu, da giocatore di squadra qual è, non accusa minimamente l’uscita dal quintetto. Anche perché il suo minutaggio e il suo utilizzo sono quelli di un titolare. Ed è proprio questa, forse, una delle più importanti caratteristiche di Ginobili: nonostante il successo è sempre rimasto la persona umile di sempre, dedito alla squadra, mai una nota stonata fuori dal campo. Se guardate le cifre di Manu nelle partite vinte facilmente dagli Spurs, difficilmente vedrete prestazioni roboanti – necessarie a gonfiare le medie, diciamo. A lui interessa vincere, tutto il resto è di contorno.
Gli Spurs, grazie al sapiente operato dirigenziale, ogni anno compiono piccoli aggiustamenti nel roster, trovando sempre il giocatore giusto nel ruolo giusto. Per questa stagione sono stati messi sotto contratto il veterano ex All-Star Michael Finley e un altro eroe della generaciòn dorada, Fabricio Oberto. La squadra finisce la stagione con un record di 58-24 (Manu 16.5 punti in 27 minuti) e raggiunge nuovamente le Finals. Gli avversari di turno sono i Cleveland Cavaliers di un giovane LeBron James. Gli speroni spazzano via gli avversari, senza storia, con un netto 4-0, e un “Contusion” superlativo nella risolutiva Gara 4 (27 punti e 5 assist) – anche se il vero mattatore della serie è Tony Parker, correttamente eletto MVP delle finali. Titolo 2007 in bacheca.
Nella stagione 2007/08 Ginobili raggiunge la definitiva maturazione tecnica, firma il career high in punti (19.5), rimbalzi (4.8), assist (4.5) e percentuale da 3 (40,1%). Vince anche il premio di Sixth Man of the Year e viene nominato nel terzo quintetto NBA. Ai Playoffs gli Spurs, sbarazzatisi dei Suns al primo turno, affrontano New Orleans. Perse le prime due gare in Louisiana, coach Pop sposta Manu in quintetto e l’argentino guida i suoi alla rimonta (leader dei nero-argento con 21.3 punti e 6 assist), chiudendo la serie in sei partite. In finale di Conference però la corsa si interrompe di fronte ai Lakers di Kobe Bryant.
Il 2008 è anno olimpico e l’Argentina si appresta ad affrontare i giochi da campione in carica. Per Manu tuttavia la situazione non è totalmente serena: durante gli ultimi Playoffs, infatti, El Contusion si è nuovamente infortunato alla caviglia. Popovich consiglia alla sua guardia di saltare i Giochi e dedicare l’estate al pieno recupero. Ginobili, pur rispettando l’idea del coach, non può e non vuole non rappresentare il proprio paese in una rassegna a cinque cerchi, specialmente con concrete possibilità di medaglia. Ciliegina sulla torta, poi, l’essere stato scelto come portabandiera. Nessun dubbio, si vola a Pechino.
Nonostante la limitazione fisica, Manu gioca un torneo eccelso, che lo vede tra i migliori marcatori della competizione (17.7 ppg); ma in semifinale contro gli USA è costretto a giocare solo 6 minuti, causa un peggioramento dell’infortunio alla caviglia. Gli Stati Uniti, che si presentano al meglio delle proprie possibilità, in contumacia con l’infortunio del Narigòn, raggiungono la finale e vincono l’oro in una delle più belle finali di sempre contro la Spagna. Ginobili non riesce a giocare la finale per il bronzo, ma i suoi compagni gli regalano un’altra splendida medaglia, battendo la Lituania per 87-75.
Terminate le fatiche olimpiche è tempo per Ginobili di fare i conti con le proprie condizioni fisiche: volente o nolente è costretto ad andare sotto i ferri per mettere definitivamente a posto la caviglia, ma questo condizionerà irrimediabilmente la sua stagione, a partire dal numero di partite giocate (solo 44). Non riuscirà a scendere in campo per nemmeno una partita di Playoffs e gli Spurs vengono eliminati al primo turno per 4-1 da Dallas. L’anno successivo riesce a ristabilirsi fisicamente e le sue prestazioni ritornano a essere quelle consuete. In una partita d’inizio stagione contro Sacramento, all’AT&T Center, all’improvviso un pipistrello scende sul parquet. Risate tra il pubblico e le squadre, mentre gli addetti dell’impianto provavano vanamente a catturare l’animale. All’improvviso, mentre svolazza vicino a Ginobili, Manu carica la sua mano mancina (ovviamente) e colpisce il pipistrello tramortendolo. Pubblico in delirio mentre il 20 in maglia bianca, come se nulla fosse, portava l’animale fuori dal campo, consegnandolo agli addetti. A parte la parentesi goliardica, la stagione degli Spurs si conclude al secondo turno dei Playoffs 2010 contro Phoenix.
L’anno 2010, in ogni caso, regala a Manu una delle più grandi gioie che la vita possa offrire: il 16 maggio Marianela dà alla luce due gemelli, Dante e Nicola.