Dai campi argentini, passando per l’Italia, fino alla NBA, ripercorriamo l’incredibile carriera di uno degli atleti più amati dai tifosi di tutto il mondo.
Gregg Popovich non è un allenatore comune. Forse sarebbe meglio dire che Gregg Popovich non è una persona comune. Per parlare della sua vita professionale (del privato trapela sempre ben poco) probabilmente non basterebbe un’enciclopedia. Tra le tante cose che lo contraddistinguono c’è sempre stato il suo mal celato disprezzo per le interviste, imposte dalla Lega, che ogni allenatore deve sostenere a cavallo tra il primo e secondo periodo o tra il terzo e il quarto. Pop ha quasi sempre affrontato tale obbligo con risposte monosillabiche, con lo scopo di farla finita il prima possibile.
Nel 2008, in una partita di Regular Season che gli Spurs giocavano in casa contro i Lakers, un giornalista di ESPN, tra il terzo e quarto periodo, ha chiesto spiegazioni sulla scelta di ripartire dopo l’intervallo con Manu Ginobili in quintetto, nonostante il n. 20 in maglia bianca avesse giocato un brutto primo tempo. Lapidaria la risposta di Popovich:
“He’s Manu Ginobili!”.
No, non esiste modo migliore per descrivere l’argentino degli Spurs, basta il nome.
Emanuel David Ginobili Maccari nasce il 28/07/1977 a Bahìa Blanca, città argentina di circa 350.000 abitanti che si affaccia sull’Oceano Atlantico. Nonostante l’enorme seguito che qui, come in molti altri luoghi argentini, ha il calcio, Bahìa Blanca era ed è una città con la passione per la pallacanestro e il piccolo Emanuel non può non esserne contagiato, anche per questioni famigliari. I due fratelli maggiori Sebastian e Leandro sono giocatori di buon livello. Fin da subito quindi Emanuel, anche colto dallo spirito di emulazione nei loro confronti, è presenza fissa in palestra, provando a replicare i movimenti di Sebastian e Leandro. Il padre Jorge inoltre è allenatore della locale Bahiense del Norte ed è proprio lì che Manu comincia la propria carriera cestistica.
Del giovane Manu, cresciuto, come tanti coetanei, idolatrando Michael Jordan nella memorabile VHS “Come fly with me”, si nota subito il fisico magrolino e l’eccezionale esplosività. Il figlio di Jorge è anche uno che in palestra lavora duramente e, seguendo i consigli del suo allenatore Oscar Sanchez, migliora notevolmente la tecnica di palleggio, utilizzando speciali occhiali che limitano la vista periferica e che lo costringono a palleggiare senza guardare la palla. Proprio come il numero 23 dei Bulls, il giovane Manu deve affrontare una cocente delusione quando, all’età di quindici anni, non viene convocato per far parte della selezione cittadina, soprattutto a causa del suo fisico minuto, ancora lontano dall’essere idoneo ad un certo livello. La delusione non ferma il ragazzo, che continua a lavorare sui propri fondamentali. Vede arrivare finalmente in proprio soccorso madre natura, che porta la sua altezza agli attuali 196 cm, anche se con un “tonnellaggio” ancora deficitario.
La sua prima esperienza professionista arriva a 18 anni nell’Andino de La Rioja, dove esordisce il 29 settembre 1995 segnando 9 punti. Ancora una volta Ginobili si trova a dover affrontare varie diffidenze nei confronti delle proprie qualità come giocatore. A tal proposito fa sorridere – sentito oggi – il giudizio espresso dal commentatore televisivo di quella partita d’esordio: “Non so se Ginobili sia idoneo alla Liga Nacional….”
… certo! Infatti dopo solo un anno cambia casacca e torna a casa: lo vuole l’Estudiantes Bahìa Blanca. Il “Narigòn”, soprannome affibbiatogli per le discrete dimensioni del naso, nella squadra della città natale esplode definitivamente. Rimane in maglia bianco-blu per due stagioni e nel secondo anno chiude con 23.6 punti di media, che gli valgono il titolo di capocannoniere del campionato. Il suo nome rimane tuttavia piuttosto sconosciuto da questa parte dell’Oceano, ma si accorge di lui Gaetano Gebbia, allenatore di grande esperienza nel settore giovanile e quindi attento valutatore del talento cestistico. Gebbia, nella stagione 1998/99, è l’allenatore della Viola Reggio Calabria, che milita nel campionato di A2. La squadra è retrocessa la stagione precedente ma il patron Santo Versace vuole subito ritornare nella massima serie e allestisce un roster di esperienza: c’è Brian Oliver, ex top scorer di A1, ci sono le due colonne storiche della società, Gustavo Tolotti e Alessandro Santoro, che ancora oggi sono rispettivamente al primo e al secondo posto per presenze in maglia nero-arancio. Gebbia ha visto in Ginobili un talento pronto ad esplodere e sa che potrà essere l’arma vincente per la conquista della promozione.
Infatti l’onda argentina de “El Narigon” si abbatte con violenza sul campionato italiano. Alla sua prima stagione nel bel paese le sue medie parlano di 17.9 punti, 3 rimbalzi e 1.5 assist in 35 partite. Il suo gioco è un concentrato di esplosività, frutto di due gambe fuori dal comune che lo portano costantemente in zona ferro. Come ogni mancino che si rispetti, si va a sinistra finché morte non ci separi; i suoi avversari sanno che andrà a sinistra, provano a mandarlo a destra, ma lui riesce lo stesso ad andare in direzione mancina ogni volta che vuole (e sarà una costante di tutta la sua carriera). Non è solo l’atletismo, comunque, che colpisce di Ginobili. In fondo in Italia ci sono già tanti altri giocatori che possono vantare di essere stati dotati da madre natura delle stesse doti atletiche. Fin da subito ci si accorge della sua “garra”, dell’estro, di quella capacità innata di inventare un passaggio o un tiro nemmeno immaginabili un attimo prima, di vederli realizzati.Il risultato è un mix letale che lo rendono immarcabile per le difese di A2 e la Viola Reggio Calabria ottiene la sperata promozione.
Nel frattempo si dichiara eleggibile al Draft NBA. I San Antonio Spurs, da sempre molto attenti al panorama europeo, lo scelgono al secondo giro del Draft 1999, col numero 57. I texani sono in una situazione particolare: hanno appena vinto il loro primo titolo e Popovich non vuole modificare il roster per non alterarne gli equilibri. Sono quindi alla ricerca di un giocatore che non voglia subito un contratto e Ginobili ha intenzione di maturare ancora in Europa prima di tentare il grande salto. Si dice che Manu abbia addirittura saputo della scelta dal proprio agente un paio di giorni dopo il Draft. L’NBA per il momento può attendere, ma la scelta dell’argentino si rivelerà uno dei più grandi steal of the draft di sempre.
Manu è pronto per affrontare la sua prima stagione nella massima serie del nostro campionato. La Viola ha confermato lo zoccolo duro del proprio roster, con aggiunte importanti come Brian Shorter, un altro argentino di Bahia Blanca come Alejandro Montecchia e il compianto Andrea Blasi. Ginobili continua a incantare e chiude la sua stagione con 17.8 punti, 3.1 rimbalzi e 2.4 assist, mentre la Viola neo promossa arriva addirittura ai playoff, dove viene eliminata ai quarti dalla Virtus Bologna. Già….la Virtus Bologna.
Le V nere nell’estate del 2000 vogliono rinforzare e “rinverdire” il proprio roster, l’allenatore Ettore Messina punta tutto su Andrea Meneghin, che è pronto a lasciare Varese. All’ultimo momento però il figlio del grande Dino sceglie Bologna come nuova destinazione cestistica, sì, ma sponda bianco-blu, accasandosi alla Fortitudo che ha appena vinto il primo campionato della sua storia. Messina decide allora di virare su Ginobili, ormai diventato un giocatore importante del nostro campionato. L’argentino è perfetto per la Virtus, dove può crescere alle spalle dello zar Danilovic, dare una mano partendo dalla panchina o giocare anche in coppia col serbo – sposando alla perfezione l’atletismo di uno con la classe immensa dell’altro. Poco prima che inizi la stagione 2000/01, arriva però un terremoto in casa V nere, che avrebbe messo in crisi anche il più moderno edificio antisimico giapponese. Durante la festa di inizio stagione, davanti a 6.000 abbonati, Danilovic prende la parola e fa un annuncio shock: a soli 30 anni ha deciso di dire addio al basket, logorato nel fisico e anche nella mente. Perdere improvvisamente e inaspettatamente il leader indiscusso, l’uomo del tiro da 4 punti, può già compromettere emotivamente la stagione di Bologna, ma la dipartita del serbo per assurdo costituisce una sliding door importate nella carriera di Ginobili, chiamato da subito ad assumere il ruolo di leader tecnico della squadra. E qui arriva il primo step evolutivo del Ginobili giocatore, perché si trova davanti un allenatore esigente e severo, ma che riconosce in lui il talento e l’estro che sarebbe assolutamente nocivo imbrigliare completamente. Sotto Ettore Messina, Manu impara a incanalare le proprie qualità al servizio della squadra, riuscendo tuttavia a emergere come stella anche a livello europeo.
La Virtus del post Danilovic è estremamente competitiva e attrezzata per far bene anche in Eurolega. Playmaker giocano il francese Antoine Rigaudeau e Marko Jaric (appena strappato ai cugini Fortitudo), guardie Alessandro “Picchio” Abbio e l’argentino fisicamente straripante Hugo Sconochini; ala piccola Manu, ala grande il talento di Matjaz Smodis e l’australiano David Andersen; e sotto canestro il nostro Ale Frosini e Rashard Griffith – quest’ultimo praticamente, in chiave europea, Shaquille O’Neal in versione stagione 2000. In Italia la Virtus, marchiata Kinder, è un autentico rullo compressore, vincendo 41 partite su 46 tra campionato (Manu eletto miglior giocatore) e Coppa Italia. Ovviamente in bacheca finiscono entrambi i trofei.
In Europa invece si è di fronte a una vera rivoluzione cestistica: si è concretizzato lo scisma tra la FIBA e l’ULEB, l’associazione delle Leghe europee. Proprio come accade ai giorni nostri, saranno due i massimi campionati europei: la Suproleague gestita FIBA e l’Eurolega gestita dall’ULEB. A causa di numerose questioni, principalmente economiche, quasi tutte le squadre più forti d’Europa convergono nella nuova Eurolega, Virtus compresa. La squadra domina la stagione regolare, affonda i cugini della Fortitudo in semifinale e vince in finale 3 a 2 contro il TAU Vitoria. Ginobili, inutile dirlo, viene proclamato MVP delle finali e chiude la sua prima stagione europea con 15.2 punti, il 56% da 2 e il 29% da 3.
Nella stagione 2001/02 le V nere sono chiamate a replicare il grande slam dell’annata appena trascorsa. Confermato il roster dell’anno precedente, viene aggiunto il talento cristallino (in un fisico di cristallo) di Sani Becirovic e, dal settore giovanile, un giovane di belle speranze, di cui risentiremo parlare: Marco Belinelli da San Giovanni in Persiceto. Se la Kinder pare aver perso un po’ di smalto e non sembra più imbattibile come l’anno passato, Ginobili continua nella propria maturazione tecnica. Le sue medie crescono e toccano i 19.9 punti a partita (col 61% da 2) e il secondo trofeo di MVP della Legabasket arriva presto in bacheca. Il suo gioco continua a vivere delle esplosive incursioni al ferro, oltre al primo passo totalmente immarcabile – con la sinistra, of course; l’aspetto che lo rende del tutto unico è la capacità di cambiare direzione senza perdere minimamente velocità, con buona pace dei difensori che sovente finiscono letteralmente gambe all’aria. Sempre più le difese lo spingono verso destra, e lui, penetrando con la mano debole, riesce a cambiare direzione e ad andare verso il centro, chiudendo con una fragorosa schiacciata o un dolce finger roll.
Ricordo ancora una partita vista dal vivo a Siena in cui Manu, anticipato forte in posizione di ala destra, gioca back door, riceve la palla e, senza nemmeno un palleggio, cambia direzione verso il centro e chiude schiacciando. Con fallo, in faccia a Robertone Chiacig (2 metri e 10 di altezza).
Oltre a questo, il suo tiro da 3 è sempre più temibile (39 % in stagione) e crea non pochi grattacapi alle difese avversarie. Dopo il back-to-back in Coppa Italia, la Virtus vede svanire i sogni di gloria in campionato, uscendo in semifinale contro la Benetton Treviso, futura scudettata. In Eurolega invece la Kinder raggiunge le Final Four, che nel 2001 si giocano proprio a Bologna. Le V nere battono proprio la Benetton in semifinale e affrontano il Panathinaikos di Obradovic in finale. Ginobili è irreale, chiude con 27 punti, 5 rimbalzi e 2 assist, ma… c’è l’altro! L’altro è Dejan Bodiroga, uno dei più forti giocatori europei di sempre, se non il più forte a non aver mai giocato la carta NBA. Dopo un primo tempo con la Kinder in controllo, il n. 10 del Pana prende il comando delle operazioni e trascina i greci al successo. Il Palamalaguti è allibito, si sentono solo i tifosi greci festeggiare, anche perché, quando vanno in trasferta, spostano una nazione. Sembra di essere ad Atene. La delusione è grande in casa Virtus, partiti con l’ambizione di ripetere il Grande Slam, la stagione si è chiusa con la sola vittoria della Coppa Italia.
Ginobili è ormai una stella europea di valore assoluto, è tempo per lui di ascoltare le sirene NBA e di varcare l’oceano, ad attenderlo San Antonio. Prima di tuffarsi nell’avventura a stelle e strisce, però, deve affrontare la prima vera grande esperienza con la camiseta albiceleste.
Nell’estate del 2002 si giocano i Campionati del Mondo di basket ad Indianapolis e l’Argentina schiera quella che sarà in futuro ribattezzata come la “generaciòn dorada”: come playmaker gioca Pepe Sanchez, anch’esso figlio di Bahia Blanca ed ex-compagno di Ginobili nelle giovanili; gli esterni sono il già citato Hugo Sconochini, l’ex compagno di Reggio, Alejandro Montecchia, Andres “El Chapu” Nocioni e ovviamente il nostro Manu; interni il fantastico Luis Scola, Fabricio Oberto e Ruben Wolkowyski. L’Argentina vince agilmente il proprio girone, battendo Venezuela, Russia e Nuova Zelanda. La squadra gioca un basket incantevole, sfruttando i pick&roll giocati da Pepe Sanchez, le incursioni di Ginobili e il gioco in post basso di Scola. Nella seconda fase del torneo l’Argentina mantiene inalterato il proprio ruolino di marcia, vincendo con Cina e Germania e preparandosi ad affrontare i padroni di casa degli Stati Uniti per il primo posto nel girone. È un Team USA particolare quello che affronta i mondiali di Indianapolis: la nazionale americana due anni prima si è riconfermata campionessa olimpica a Sydney, ma per la prima volta da quando fanno parte della rappresentativa i giocatori NBA, la conquista dell’oro è stata sofferta e incerta, con finali punto a punto. La squadra che si presenta ad Indianapolis non è la migliore possibile, a causa di varie rinunce e della solita volontà della Federazione americana di ruotare le proprie stelle, quasi si trattasse di un vernissage dei campioni a stelle e strisce. Oddio, non che una squadra che presenti Paul Pierce, Reggie Miller e Baron Davis possa considerarsi un gruppo da minors italiane, ma l’approccio tecnico alle partite è ancora del tipo “io difendo su quel n. 5 argentino che va a sinistra”, piuttosto che una preparazione idonea. L’Argentina gioca in maniera commovente, “scherza” letteralmente gli Stati Uniti e all’intervallo è +16. Finisce 87 a 80 per i sudamericani, con 15 punti di Ginobili in 24 minuti. Si tratta di una vittoria storica. L’Argentina è ormai lanciata.
Vince il derby sudamericano col Brasile e, in semifinale, affronta la Germania di un super Dirk Nowitzki. L’albiceleste riesce a conquistare la finale, ma durante il match con i teutonici si consuma un dramma sportivo: ricadendo da un salto, Manu mette il piede sopra quello di un avversario e rimane a terra dolorante. In panchina solo facce catatoniche, silenzio! Ginobili si è procurato una grave distorsione ed è a forte rischio per la finale. Ma quando, con la maglia del tuo paese, affronti una finale mondiale, quando un’intera nazione è emotivamente e spiritualmente coinvolta, non sarà una caviglia a fermarti. Tutti sanno che El Narigon ci proverà.
L’avversario in finale è la Jugoslavia o, meglio, quello che ne rimane, cioè Serbia e Montenegro. Una squadra ricca di talento e che aveva superato, in semifinale, Team USA. Un roster con un mix di NBA ed Eurolega, con Stojakovic, Divac, Jaric e… Bodiroga. Proprio lui. Dopo solo pochi mesi Manu ritrova quel giocatore che aveva da poco spezzato i suoi sogni di gloria in Eurolega e senza la possibilità di affrontarlo ad armi pari, causa l’infortunio.
In finale Ginobili parte dalla panchina. La partita è giocata punto a punto, con due squadre che mostrano un livello di pallacanestro spettacolare, per quanto diversa tra loro. Manu resta a sedere per 29 minuti, poi si alza dalla panchina e comincia a riscaldarsi. Come detto non poteva non provarci. Entra in campo, ma non è lui. Semplicemente la caviglia è troppo mal messa, non riesce quasi a muoversi, figuriamoci a giocare la sua pallacanestro. L’Argentina però è più viva che mai e riesce pure a chiudere un parziale di 14-2 che le procura 10 punti di vantaggio (53 – 43); ed è ancora in controllo (74 – 68) a meno di due minuti dalla sirena. Ancora una volta però sale in cattedra Dejan Bodiroga, che segna 7 punti consecutivi e porta prima la partita al supplementare e poi il mondiale in terra serba. Chiuderà il match con 27 punti. Ancora lui. Manu invece 0 punti con 0/3 dal campo in 12 minuti. Gli argentini sono distrutti, hanno perso la prima partita in tutto il campionato mondiale, ma non sanno che quel secondo posto è solo l’inizio di una grande epoca.
Per Ginobili adesso è il momento di volare a San Antonio.