D’inverno nel luogo che gli indiani d’America hanno chiamato Wisconsin, terra delle pietre rosse nella lingua dei nativi, vedere il nero dell’asfalto è impossibile. Madison, Milwaukee e Green Bay indossano l’abito nuziale, che copre i grandi grattacieli che si ergono sparsi per lo Stato e gli scorci fiabeschi che, ancora oggi, la natura offre. Quando ci si avvicina alla grande zona dei laghi, la neve da dicembre a febbraio non sconvolge nessuno, specie la mole di figli di immigrati polacchi e tedeschi arrivati a cavallo tra le due guerre.

Sommersi da candidi centimetri di ghiaccio per quattro mesi, gli spazi verdi entrano nella tela nei mesi primaverili ed estivi, affiancati dall’azzurro dei 15.000 laghi che adornano il Paese come maioliche. I colori dello stato, però, sono altri.

Il giallo e il verde dei Green Bay Packers, tra le più storiche franchigie della National Football League, e il bianco-rosso della University of Wisconsin-Madison. Un’università liberale, fiore all’occhiello della storia educativa degli Stati Uniti (la Wisconsin Idea ha influenzato senza dubbio la cultura dello Stato) e con tradizione anche nello sport, in particolare il football, nonostante gli zero titoli a livello nazionale. Il Camp Randall Stadium, che può accogliere 80.000 spettatori, nei sabati invernali scioglie anche la neve.


Il 2014 e il 2015, tra un Ice Bucket Challenge e l’ingresso in politica di un imprenditore platinato, sono anni anomali, però. A catalizzare l’attenzione del campus, di Madison e dello Stato sono i ragazzi in calzoncini che giocano al Kohl Center e che stanno per disputare due Final Four NCAA consecutive. Bo Ryan in panchina, Frank “The Tank” Kaminsky con la naturale lentezza dell’eleganza e una scuderia di stallieri di tutto rispetto, Sam Dekker, Ben Brust e Nigel Hayes su tutti.

Bo Ball

L’essenziale è invisibile agli occhi di chi non lo riesce a vedere.: la pallacanestro di Bo Ryan è racchiusa tutta in questa frase. Non importa quanto corri, non importa quanto tiri o se l’attacco sembra stagnante. Passare e prendere la palla: un’arte perduta. Non è una constatazione, ma il titolo del libro scritto da Ryan quando era capo allenatore dell’Università di Wisconsin-Platteville. Ci si deve prendere cura del possesso, saper giocare spalle a canestro ed essere pronti sugli scarichi. La swing offense di Biddy Bo, come era chiamato da bambino, diventa un culto in tutte le palestre liceali della zona e si mette in vetrina nell’arena più importante di tutte, l’NCAA Tournament.

Nel suo ufficio all’interno del Kohl Center c’è un omaggio al Galileo Galilei della palla a spicchi, James Naismith, il professore di educazione fisica che inventò il gioco ormai più di un secolo fa. Un cesto di paglia come quelli per mettere la frutta, e che diedero l’ispirazione a Naismith per trasformarli in canestri. Nei suoi allenamenti, invece, i riferimenti sono molto anni ’80, come una penna alla vodka. I giochi in post hanno nomi come Sikma, McHale o King. Kaminsky per Ryan diventa l’allievo prediletto e i due si trovano come l’hot dog con la mostarda.

Foto: USA Today

Con Ryan in panchina, dal 2002 al 2015, i Badgers non mancheranno un invito al ballo di Cenerentola. Per undici anni la carrozza si è trasformata in zucca allo scoccare della mezzanotte, senza nessuna speranza. Negli ultimi due anni, invece, sembrava poter rimanere di cristallo.  

Wildcats 1 – Badgers 0

La stagione 2013/14 nasce sotto il segno dello Scorpione, il 30 ottobre. Si parte contro University of Wisconsin-Platteville, alla Bo Ryan Arena, intitolata al coach che adesso siede sulla panchina dei rivali. Frank Kaminsky e Ben Brust, playmaker al quarto anno di college, non devono nemmeno inserire la quarta: 80-51 finale per i Badgers e l’inizio di una striscia di 10 vittorie consecutive che culminerà nella sconfitta di Bloomington contro Indiana University. Poco importa, il record al termine della stagione, 30 vinte e 8 perse, è sufficiente a staccare il biglietto per l’NCAA Tournament con un seed mai così alto, il numero 2.

La swing offense non perde mai il ritmo e marcia senza problemi verso le Elite Eight. Arizona University, però, è un animale diverso rispetto alle Oregon e le Baylor incontrate fino a quel momento: numero 1 del tabellone della zona, grazie ai punti nelle mani di Nick Johnson, un giovane Aaron Gordon, il gioco sui due lati del campo di Hollis-Jefferson e l’esperienza di TJ McConnel in cabina di regia. La partita è a basso punteggio, quando non riesce a trovare la giusta armonia l’attacco dei Badgers ristagna. Kaminsky in post fa fatica ad avere la meglio su Tarckewski, il centro avversario. E allora, dopo tre minuti del secondo tempo con soli due canestri dal campo segnati, si va al supplementare.

Kaminsky segna i due punti del 64-61. Hollis-Jefferson taglia lo svantaggio a -1 quando mancano 58 secondi al termine; Arizona riesce a far prendere un tiro scomodo a Josh Gasser e ha la palla per la vittoria; McConnell tira, sbaglia, recupera il rimbalzo e serve Johnson, che va in penetrazione: si arresta e spinge via il suo avversario, fallo in attacco. Non è finita, però.

Sean Miller, coach di Arizona, chiede il challenge, che gli dà ragione. Palla Arizona, 2 secondi da giocare: Johnson esce dai blocchi e si prepara al tiro, ma è troppo tardi, il cronometro scade. University of Wisconsin è alle Final Four, la prima volta nella carriera di Bo Ryan. Non si taglia nemmeno la retina, ci si prepara per la sfida ai Kentucky Wildcats di John Calipari.

Il copione della partita è il medesimo di quello contro Arizona. Come se gli sceneggiatori di Netflix avessero voluto replicare la solita storia tutta uguale anche sul parquet del torneo NCAA. La partita è lenta, giocata nelle due metà campo. Kentucky è la sfavorita, essendo la numero 8 da tabellone, ma può contare sui gemelli Harrison, Willy Cauley-Stein, James Young e Julius Randle, che dopo aprile annuncerà la sua volontà di partecipare al Draft 2014. Di fatto, la partita è dominata dall’asse corto-lungo delle due squadre: Young e Randle appunto, contro Brust e Kaminsky.

Il lungo in maglia biancorossa non è in giornata, mentre Randle è un diversivo così grande che permette a Young di torturare la difesa di Ryan con 17 punti. Brust e Dekker ne segnano 15 a testa, e sembrano portare la partita sullo stesso binario del turno precedente. Se non che… con poco più di 10 secondi al termine e UW avanti di 2, Andrew Harrison penetra e scarica per Dekari Johnson sotto il canestro, relocation nell’angolo e scarico per il gemello Aaron. Due secondi di esitazione e tripla in faccia a Gasser per il +1.

L’ultimo tentativo dei Badgers non partorisce nemmeno un tiro contestato, UK e Calipari eliminano Bo Ryan e i suoi.
Wildcats 1, Badgers 0.

La vendetta e la fine

Sul pullman che riporta Kaminsky e compagni verso Madison, l’aria che si respira non è pessima come si crederebbe. D’altronde, Frank ha un altro anno a disposizione e nonostante Brust sia al suo ultimo anno, il nucleo della squadra rimarrà intatto anche nella stagione successiva. Le aspettative sono alte e i Badgers, nel 2014/15, non deluderanno.

Per la prima volta, dopo un record di 34 vinte e 6 perse, riescono ad acciuffare il seed numero 1, ma la sensazione è che tutto sia già scritto. Calipari si è dato da fare nel recruiting e ha convinto tre ragazzi del liceo a giocare per lui a Kentucky: Karl-Anthony Towns, Devin Booker e Trey Lyles. Due di questi, Towns e Booker, sono oggi uomini-franchigia a Minnesota e Phoenix, in NBA, mentre Lyles fa parte delle rotazioni dei Kings che dopo 17 anni sono riusciti a vincere più di 41 partite in stagione regolare. Un nucleo discretamente talentuoso, insomma, a cui si aggiungono Harrison e Cauley-Stein.

Al torneo NCAA, il superteam si presenta con un record intonso: 40 vinte e 0 perse. Qualche audace supporter si è già tatuato su un polpaccio la scritta 45-0, ovvero la premonizione del titolo nazionale.

Nei tabelloni Est e Midwest tutto va come ci si aspettava. Wisconsin e Kentucky non hanno problemi e arrivano allo scontro del 5 aprile 2015. La partita è opposta rispetto a quella dell’anno precedente. O meglio, Kentucky cerca di sfruttare un pace veloce, mentre Ryan ha preparato il suo attacco come sempre: passare, ricevere, tagliare, essere pronti sugli scarichi. In difesa, cercare di contenere Towns e uscire forte quando il lungo di Calipari scarica. Più facile a dirsi che a farsi, ma tant’è.

Cauley-Stein commette il terzo fallo nel primo tempo e dalla panchina l’unico a portare un contributo è Booker, con 6 punti. Gli Harrison amministrano e tirano, ma a UK manca qualcosa: la difesa. Kaminsky è un ballerino di tip-tap, segno che i video di Kevin McHale visti insieme a Ryan hanno dato i loro frutti. Nel secondo tempo, però, dopo essere stati avanti di 9, l’incubo blu si palesa una seconda volta. Kentucky, grazie alle giocate dei due gemelli e di Towns, conduce di 4 quando mancano sei minuti al termine.

L’attacco dei Badgers fa una fatica infernale a mandare punti a referto, così come quello di Kentucky. Per 5 minuti le uniche volte in cui la retina si muove è dopo due tiri dalla media di Dekker e Koenig: 60-60.

Con un 1:44 al termine, l’attacco di Ryan è in difficoltà. Kaminsky è raddoppiato, il cronometro si avvicina allo 0. Arriva lo scarico fuori per Konig, extra-pass per Dekker che in stepback manda a bersaglio il tiro del +3. L’allungo decisivo: Wisconsin non si guarda più indietro, vince 71-64 e vendica la sconfitta alle Final Four subita nel 2014.

Foto: The Huffington Post

La gioia però, come le rose di De Andrè, dura appena una notte. La finale è contro la Duke di Coach K, numero 3 del tabellone e ben fornita di talento: Jahlil Okafor a dettare la linea dell’attacco dal post, Grayson Allen e Tyus Jones in uscita dalla panchina e Justise Winslow nel ruolo di enforcer difensivo. Il miracolo, questa volta, non riesce. Duke è campione della NCAA, Wisconsin prolunga il digiuno che persiste dal 1941.

Il ritorno a Madison è un po’ meno allegro e neanche laghi e boschi riescono a far passare la tristezza, questa volta. Bo Ryan si dimette pochi giorni dopo, Kaminsky e Dekker si dichiarano eleggibili per il Draft. La terra delle pietre rosse torna a chiamarsi Wisconsin, dopo che per due anni aveva provato l’ebbrezza di chiamarsi Win-sconsin.