Dal Camerun fino al tetto dell’NBA, diventando – quasi – prete: la storia di Pascal Siakam.

“Lo dirò onestamente. Quando vidi per la prima volta Pascal Siakam al Basketball Without Borders Camp nel 2012, mai avrei pensato che sarebbe diventato un giocatore NBA.”

– Masai Ujiri

Tanto tempo fa, in una “galassia” lontana lontana…

Il nostro viaggio parte a seimila miglia di distanza dalla gradevole Toronto, nel villaggio di Douala, quanto mai lontano dalle lande canadesi.


In Camerun si gioca a basket, e anche ad ottimi livelli. Nella famiglia Siakam tutti e tre i fratelli maggiori sono in America in qualche college ad inseguire il sogno di giocare per una franchigia NBA. Per Pascal il destino, pensato dal padre Tchamo, è tutt’altro: deve diventare prete.

All’età di undici anni, Siakam viene iscritto al St. Andrews Seminary di Bafia, sperduta località distante circa otto ore di autobus dal suo villaggio natio Douala, sotto l’esperta guida di padre Armel Collins Ndjama. Le condizioni di vita non sono le migliori: l’acqua del villaggio non si può bere perché inquinata e molto spesso scarseggia, non c’è un ospedale vicino, molto spesso i bambini si ammalano di malattie che nel Continente sono disconosciute da diversi anni; insomma, non il miglior posto per crescere. Ma, nonostante le difficoltà, la comunità del seminario, che conta circa settanta ragazzi, insegna una vita di disciplina e fede. Ogni mattina, infatti, tutti i seminaristi debbono adempiere a dei compiti loro assegnati: tagliare la legna, percorrere diversi chilometri per approvvigionarsi d’acqua, pulire i dormitori, etc.

Appena catapultato in questo mondo austero Pascal ci si trova bene. Sempre ligio ai suoi doveri trova una sua dimensione, anche per non infrangere i sogni del padre. Nel serrato programma giornaliero c’è anche spazio, dalle quattro alle cinque del pomeriggio, per un’ora d’aria in cui poter praticare qualche sport. A differenza dei fratelli, Siakam non ha nessun interesse per la pallacanestro; qualche volta gioca con i suoi amici, ma niente di più. Quello che lo appassiona veramente è il pallone. Come la maggior parte dei ragazzi africani, prospetta la sua realizzazione nel mondo del calcio, magari arrivando un giorno ad alzare al cielo la coppa dalle “grandi orecchie”.

Dopo poco la vita da seminario però inizia a stargli stretta. Di certo non sarebbe diventato un prete. All’età di quindici anni pensa già di lasciare la comunità. Diventa sempre più insofferente e i rapporti con padre Collins diventano sempre più conflittuali e ingestibili: non fa i compiti, non adempie ai propri doveri mattutini, molto spesso entra ed esce dal seminario quando vuole, altre volte si rifiuta addirittura di seguire le lezioni del giorno. Lo stesso padre Collins lo vorrebbe mandare via.

“Ho pensato molte volte di mandarlo via, ma i suoi risultati scolastici erano, nonostante tutto, molto buoni. Non potevo permettermi di perderlo.”

– padre Collins

FOTO: NBA.com

Per rimetterlo in riga, padre Collins lo rispedisce a casa. Tchamo cerca in tutti i modi di convincere il figlio a terminare il percorso scolastico e diventare un giorno prete, ma Pascal non vuole sentire ragione. Arrivano ad un compromesso: lui terminerà la scuola, ma non proseguirà sulla strada della fede.

“L’unica speranza del padre era quella di rendere il figlio non un prete, ma almeno un uomo”

“Non avrei mai voluto andare contro ai suoi desideri. Non c’è stato miglior uomo nella mia vita che mio padre. Ma la chiamata non è mai arrivata per me. Il mio destino sarebbe stato altrove.” – Pascal Siakam

Così, con moltissime difficoltà, termina il suo percorso scolastico arrivando al diploma, ma è tempo di decidere cosa fare della sua vita.

Bafia dista esattamente 129 km dalla capitale Yaoundé, ventisei ore a piedi, nessun mezzo pubblico compie quella tratta, ma le notizie arrivano lo stesso. Quasi per caso nel 2011, Siakam viene a sapere di un camp gratuito nella capitale organizzato da un certo Luc Mbah a Moute. Non sa chi sia, ma con dei suoi amici decide di iscriversi e parteciparvi. La sua esperienza non viene ricordata, del resto deve ancora sopportare un anno in seminario ed il suo umore non è dei migliori. L’anno successivo però vi partecipa con un altro spirito. Dopotutto i suoi fratelli hanno in qualche modo sfondato nel mondo della pallacanestro, e chi è lui per non riuscirci?

La seconda partecipazione non passa inosservata come la prima. La famiglia Siakam ha un’ottima reputazione cestistica ed il ragazzo questa volta, nonostante gli evidenti limiti tecnici, si presenta con una voglia pazzesca di aggredire il Gioco. Proprio per questa sua grinta – e non per altro – Pascal viene invitato ad una tappa importantissima per tutti i giocatori africani, per la quale è passato anche Joel Embiid, ovvero il Basketball Without Borders, organizzato in Sud Africa.

All’età di diciotto anni per Pascal è il primo vero contatto con la pallacanestro organizzata. Un’età alla quale molto spesso si pensa che non esistano alternative nello sport o nell’iniziare una nuova attività; ed è proprio questo approccio tardivo che rende la sua storia ancora più interessante.

Arriva finalmente il primo giorno di camp. Entra, insieme a tantissimi altri giovani, in un grandissimo palazzetto e nota che una gran massa di gente si accerchia attorno a due figure imponenti. Non li riconosce, del resto non ha mai visto in vita sua una partita NBA, se non per sbaglio. Decide di chiedere ad un ragazzo che gli è a fianco: “chi sono quei due?” “Come chi sono quei due? Sono Luol Deng e Serge Ibaka, come fai a non conoscerli?”

A poco a poco raccoglie tantissime informazioni su quei due giocatori e li apprezza sempre di più. Capisce perfettamente che l’occasione di giocare di fronte a due stelle NBA è la prima vera possibilità di cambiare la sua vita, di andare via dal Camerun, da Bafia, e vivere la sua vita libero dalle imposizioni della famiglia. Rimane comunque consapevole di non essere un grande giocatore e punta tutto sull’unica cosa che sa fare: giocare con grinta. L’energia che dimostra sul campo è elettrizzante e tutti lo notano. Il suo atletismo è dirompente; in difesa è già uno specialista, un muro che stoppa chiunque provi ad avvicinarsi al ferro.

In Africa non contano i risultati, conta la prospettiva; e in quel ragazzo gli organizzatori ci credono tantissimo.

“La sua voglia era pazzesca.”

– Masai Ujiri

Un destino molto lontano dall’Africa

Arriva la notizia. Lui non ci crede, nemmeno i suoi familiari, men che meno suo fratello James.

“Gli ho riso in faccia. Lui? Il basket? Non ci potevo credere.”

– James Siakam

Pascal si accasa alla God’s Academy a Louisville (Texas) per poi passare appena un anno dopo a New Mexico State, pronto per affrontare la sua prima stagione di college.

Il primo anno passa il suo tempo in palestra, ogni momento libero lo usa per migliorare le sue doti tecniche. Lo stesso college decide di optare per un periodo di “redshirt”, una sorta di sospensione, un ritardo nella partecipazione di un atleta alle competizioni ufficiali volto sia a completare la formazione atletica sia ad uniformare il percorso di studi, così da poter ottenere una bachelor’s degree (traducibile con la nostra laurea triennale) al termine del percorso collegiale.

Si affaccia finalmente, un anno dopo, alla prima vera pre-season in un clima di assoluta fiducia nelle sue doti cestistiche.

Ma quando si prepara per il grande evento, la vita gli affonda senza preavviso un pesantissimo pugno nello stomaco.

Una sera di fine estate, Pascal si trova nel suo letto, pronto per andare a dormire. D’un tratto il suo telefono squilla. Durante la sua permanenza negli U.S. le chiamate fatte a casa sono state molto poche e solitamente chiama lui. Molto spesso sente suo padre. Nella sua voce però non trova quasi mai dispiacere o rammarico, anzi, tutt’altro: sente un accento di orgoglio.

La telefonata arriva quindi in modo inaspettato. Subito si preoccupa. Le chiamate estemporanee sono sempre sintomo di qualche importante avvenimento, molto spesso tragico; ed è purtroppo quello che accade. Dall’altra parte del telefono c’è sua sorella Raissa, anche lei trasferitasi negli Stati Uniti.

“Ehi, ciao… Ti devo dire una cosa importante. Papà è morto… non sappiamo ancora molto, ma sembra essere stato coinvolto in un incidente stradale.”

Poco dopo telefona anche suo fratello James per comunicargli la notizia. A quanto pare il padre era stato trasportato in fin di vita dopo un incidente frontale con un’altra macchina all’ospedale quattro giorni prima. I medici hanno provato di tutto, ma quella sera si è spento. Sua madre è sconvolta dal dolore, tanto da non riuscire nemmeno a contattare i figli preoccupatissimi.

“Non ricordo nulla di quella notte. Per me è tutto bianco. Ho solo pensato ad una cosa: devo tornare a casa, assolutamente, ma non era possibile…”

Purtroppo per lui, la sua richiesta di rinnovo della visa, visto necessario per rimanere su suolo statunitense, è ancora in elaborazione: se fosse tornato in Africa, anche solo per presenziare ai funerali del padre, non sarebbe più potuto tornare negli Stati Uniti.

Pochi giorni dopo riesce a mettersi in contatto con la madre che, ancora sconvolta da dolore, convince il figlio a seguire il suo sogno e a non tornare in patria. Saluterà il padre, un giorno. Fortunatamente trova il sostegno morale che serve in queste situazioni: il suo allenatore, coach Marvin Menzies, ha perso i genitori in circostanze simili appena due anni prima e decide di stargli, affrontando con lui, quasi fosse uno zio, il dolore per la scomparsa del padre.

“Non poter partecipare al funerale di nostro padre è qualcosa che non ha mai lasciato il cuore di Pascal, ma è stato meglio così per la sua vita”

– James Siakam

Nonostante questo Siakam prosegue nella sua preparazione. Decide di commemorare il padre, non solo impegnandosi al massimo per raggiungere il suo obiettivo, ma scrivendo sulle sue scarpe per tutta la stagione “RIP Dad”.

FOTO: NBA.com

Nella sua prima competizione non si esprime a livelli altissimi, ma mostra un potenziale molto grande: chiude la stagione con 12.8 punti, 7.7 rimbalzi e 1.8 stoppate a partita in 30.8 minuti di impiego. Per essere uno che fino a due anni prima il basket non sapeva cosa fosse, non è per nulla male come inizio di carriera. Nonostante questo vince il WAC Freshman of the Year. La stagione successiva, però, è nettamente migliore e lo consacra come giocatore dell’anno con delle statistiche spaziali: 20.3 punti, 11.6 rimbalzi, 1.7 assist e 2.2 stoppate in 34.6 minuti di impiego.

“Pascal è diventato molto più appassionato dalla scomparsa del padre. Ha convertito il suo dolore in spinta per migliorare il suo gioco e per rendere orgoglioso il padre.”

– Marvin Menzies

I tempi sono maturi per compiere il passo decisivo verso l’NBA. La routine per arrivare al Draft 2016 parte con degli allenamenti a cui si accede per invito. Lui viene chiamato dai Raptors, proprio da quel Masai Ujiri che lo vide in Sud Africa e che ora ricopre il ruolo di General Manager della franchigia canadese. Ad allenare i Raptors c’è Dwane Casey che nota immediatamente le grandi capacità difensive del ragazzo camerunense, oltre che alla sua incredibile rapidità di piedi e la sua famelica voglia di recuperare il pallone.

I Raptors lo selezionano con la scelta n° 27.

Ora è tempo di vincere

Nel tour di partite della Preseason Pascal deve andare a Washington per giocare contro i Wizards. Nella capitale vive anche sua sorella Raissa e per l’occasione la madre prende un volo e raggiunge i figli negli Stati Uniti. Dopo cinque lunghi anni, Siakam rabbraccia finalmente la madre Victorie. In un serata davanti ad una normalissima pizza recuperano tutti i momenti perduti in quegli anni di lontananza, rincuorandosi a vicenda e commemorando la scomparsa del padre.

Esattamente cinque giorni dopo quell’incontro, Pascal vede per la prima volta “dal vivo” una partita NBA: peccato che sia lui stesso in campo e che parta addirittura titolare contro i Detroit Pistons. Suggella l’esordio con 4 punti e 9 rimbalzi in 21 minuti di gioco. Come ci si può giustamente aspettare, il suo impiego non è ampio, anzi. Gioca solamente 55 partite con appena 15 minuti di media giocati. Evidentemente non è ancora pronto per essere un fattore determinante nei Raptors, ma per questo c’è tempo.

La sua crescita, oltre che per necessità tecniche, viene anche frenata per due arrivi importanti: quello di Patrick Patterson e quello di Serge Ibaka. Poiché lo spazio è molto ristretto, la franchigia canadese sceglie di mandarlo ai Raptors 905 – squadra affialiata in G-League – per il finale di stagione. Il suo arrivo aiuta la squadra a raggiungere il titolo nella lega minore e per le sue prestazioni viene premiato come MVP delle Finals.

Nella stagione successiva il suo spazio e le sue statistiche ancora stentano a maturare nel complesso a causa del grande minutaggio riservato ad Ibaka. La vera crescita avviene nella stagione 2018-2019. La Preseason dei Raptors inizia all’insegna degli adii. Demar Derozan, assieme a Jacob Pöltl e ad una scelta protetta al primo giro del Draft 2019, viene spedito con i San Antonio Spurs in cambio di Kawhi Leonard e Danny Green.

A Febbraio arriva anche Marc Gasol, in cambio di Jonas Valanciunas, C.J. Miles e Delon Wright. Questi scambi permettono di aprire una grossa fetta di minutaggio a Siakam, che molto spesso gioca insieme a Gasol con ottimi risultati. Le sue statistiche in Regular Season esplodono: chiude la stagione con un minutaggio di 31.9 minuti a partita in cui raccoglie 6.9 rimbalzi, segnando 16.9 punti con un ottimo 61.2% al tiro da due punti.

FOTO: NBA.com

Queste prestazioni, infatti, gli valgono il titolo di Most Improved Player della Lega. I Raptors di Leonard, Lowry, Gasol, Ibaka e, ora, anche di Siakam sono un vera e propria contender per il Titolo. Il 25 Maggio vincono il Titolo della Eastern Conference pronti per battagliare nelle Finals contro i Golden State Warriors di Stephen Curry. Siakam conferma di essere assoluto protagonista delle Finals con ottime statistiche offensive – 18.8 punti, 3 assist e un ottimo 48,4 % dal campo – e con grandissime prestazioni difensive – cattura anche 7.3 rimbalzi a partita. La serie termina a Gara 6 con un incredibile successo della franchigia canadese, primo nella loro storia.

Siakam diventa ogni minuto di più una pedina fondamentale per i Raptors, aumentando ancora le sue statistiche stagionali nei due anni successivi, anche se la franchigia non riesce più ad assestarsi ad ottimi livelli, dopo l’addio di Leonard trattenuto a Toronto per solo una stagione.

Fermiamoci un attimo a riflettere su questa storia. Nel giro di una decina di anni questo ragazzo è passato dalle strade polverose del Camerun al tetto del mondo cestistico. Rifiutando un futuro clericale già scritto per lui e lottando ogni singolo giorno – anche contro i dolori lancinanti della vita, tra cui la morte violenta di padre Collins, ossia colui che per primo aveva ciecamente creduto in lui – per migliorarsi e raggiungere i propri obiettivi.

Questi risultati non sono solo frutto del talento, ma anche della caparbietà nel volere a tutti i costi perseguire i propri sogni. La perdita del padre, paradossalmente, ha giovato a Pascal, spingendolo sempre di più a migliorare il suo gioco e le sue capacità.

Il suo successo è basata sull’umiltà e sul rispetto delle persone che lo hanno accompagnato, sia incoraggiandolo che sgridandolo, durante la vita, e lui non se ne è scordato mai.

Avete mai notato il suo rito pre-gara? Beh, ha un significato molto importante.

“Ogni volta che entro in campo, tocco il mio numero 4 sulla maglietta per quattro volte per mio padre e per i miei tre fratelli, poi tocco il numero 3 tre volte per mia madre e per le mie sorelle, poi mi faccio il segno della croce e punto un dito al cielo. So che mio padre – e anche padre Collins – mi sta guardando da lassù.”

Un viaggio lungo seimila miglia…