Dalla guerra in Bosnia all’NBA, un viaggio fatto d’amore per la pallacanestro e sopravvivenza: la storia di Mirza Teletović.

Tantissimi giocatori ormai hanno compiuto la tratta Europa-USA in cerca di successi in qualche franchigia NBA; alcuni ne hanno fatto le fortune (Nowitzki e Ginobili su tutti), altri sono stati solamente meteore di passaggio, ma tante sono le storie umane che vale la pena raccontare.

Uno di questi giocatori, che in NBA non ha lasciato grandi prestazioni e viene definito anche “il peggior investimento della storia dei Milwaukee Bucks”, è il protagonista di questo racconto.

Pensare di poter giocare a basket sotto gli incessanti bombardamenti croati è già di per sé assurdo, ma un giorno, dopo un’infanzia vissuta nella guerra, calcare i parquet oltreoceano lo è ancor di più: questa è la storia di Mirza Teletović.


“Real pressure is to survive”

Questa scena è ancora nella memoria di tutti: LeBron James lanciato in contropiede, praticamente da solo; sul fatto che segni non ci sono dubbi, magari inchiodando una schiacciata spettacolare in reverse, ma no…troppo presto. Il giocatore numero 33 in maglia Nets gli si para davanti e compie un gesto inevitabile per poter fermare “King” James: un braccio teso, altezza collo, degno del miglior Hulk Hogan. La reazione di James non si fa attendere.

Come si dice in quel della Capitale, “sbrocca” e si scaglia immediatamente contro il giocatore avversario sfidandolo in un duro faccia a faccia, prima di essere allontanato dai compagni di squadra. Volete sapere la reazione dell’avversario? Gli ride in faccia senza alcun timore. Da quel momento Mirza Teletović diventa per molti una sorta di leggenda.

“Real pressure is to survive. That’s the real pressure, not James…”

– Mirza Teletović

Oltre ad un palese gesto di sfida e ad una dimostrazione del tipo “il tuo nome per me non conta nulla”, c’è un motivo ben più profondo di un gesto di scherno in quella risata, e inizia tutto quando Mirza ha appena sette anni e vive ancora nella piccola cittadina Mostar, nell’attuale Bosnia-Herzegovina.

Siamo nel 1992. Il territorio balcanico è in pieno subbuglio, conseguenza della caduta del muro di Berlino avvenuta appena tre anni prima. La Jugoslavia è politicamente e territorialmente a pezzi. Il nazionalismo tipico degli anni ’80 ha avuto pian piano il sopravvento sul sistema comunista di influenza russa. La Bosnia, territorio di separazione tra Croazia e Serbia, è obiettivo di un’espansione dei due stati.

Due anni prima, nel 1990, in Bosnia si tengono le prime elezioni democratiche a libera partecipazione. Sono tre i partiti che si spartiscono il controllo del territorio: uno di matrice serba, uno di matrice croata e il terzo “autoctono”. Per quanto culturalmente diversi, i tre movimenti trovarono un fronte comune nell’anti-comunismo. Gli interessi personali, però, prevalgono sempre in situazioni di scarsa stabilità politica. Il presidente croato Franjo Tudman e quello serbo Slobodan Milošević nel 1991 si accordano sulla spartizione del territorio bosniaco.

Nello stesso anno la Croazia si dichiara stato indipendente. Sfruttando la fuoriuscita serba dal governo, il Partito d’Azione Democratica di matrice bosniaca dichiara la supremazia del popolo bosniaco sul territorio, affermazione confermata dopo il Referendum del 3 Marzo 1992. Le fazioni sovraniste croate e serbe, insite nel tessuto sociale, non riconoscono l’indipendenza e così inizia il conflitto bellico, inquadrato in quelle che vengono chiamate generalmente “guerre jugoslave”.

FONTE: NBA.com

I bombardamenti serbo-croati colpiscono incessantemente i territori della Bosnia. I rombi delle esplosioni diventano sottofondo costante della vita di tanti ragazzini, di tante famiglie. Ogni giorno muoiono conoscenti, amici, vicini di casa, parenti; ci si chiede nient’altro che: “Qualcuno è riuscito a sopravvivere a questo attacco?”

Questa stessa domanda la pone Mirza a sua madre, ma non vi è nessuna risposta esatta. “Forse”. A colpire duramente è anche l’embargo deciso dalle Nazioni Unite, come tentativo estremo per placare gli scontri con la tortura forzata della fame.

“La prima cosa che vedi è che il cibo scarseggia, poi arrivano i bombardamenti, la città intera trema sotto i temibili colpi e senti le grida della gente.”

Non ci troviamo però di fronte ad un ragazzo che si lascia intimidire dalle bombe. Anzi, la sua routine giornaliera ha qualcosa di veramente alieno, al di là di ogni pensiero umanamente formulabile.

“Ogni giorno mi svegliavo vero le sei del mattino, facevo colazione, se c’era qualcosa da mangiare, e poi andavo immediatamente al campetto vicino casa a nemmeno trecento metri di distanza. In realtà non avevo nemmeno le scarpe, ma con i miei amici giocavamo anche fino a mezzanotte. Quando sentivamo le sirene, avviso per un imminente bombardamento, filavamo a casa, giusto per proteggerci la testa, finché non fosse terminato l’attacco.”

Lo si dice spesso, forse non comprendendo appieno le parole, che la vita è fatta di priorità. Per tanti può essere il lavoro, lo studio, una passione; per Mirza era ed è il basket. Nonostante vivesse in un clima bellico, con le bombe che gli cadano in testa, con la fame e la sofferenza tutt’attorno, la sua priorità è la palla a spicchi.

“Se dovevo morire, l’avrei fatto per il basket.”

Sotto le bombe di Mostar, il canestro è l’unica speranza, l’unico sogno, e sì, si può sognare anche con la pallacanestro, Teletović ne è un esempio.

Le vittime non si contano, le bombe non si contano, la fame è tanta, ma pian piano, dopo la firma dell’accordo di Dayton datata 14 Dicembre 1995, che sancisce la creazione di fatto dello stato della Bosnia-Erzegovina e la fine dei conflitti, la vita può ripartire con maggiore serenità. Quando la guerra finisce, Mirza ha dodici anni e il suo sogno continua.

Bosnia, Belgio, Spagna: la rincorsa all’NBA

Ad appena quindici anni firma il suo primo contratto in una lega minore in Bosnia, ma sin da subito si capisce che il ragazzo ha talento, e tanto. A diciassette anni sbarca per la prima volta nella massima lega del paese tra le fila dello Slodoba Tuzla. La prima stagione comprensibilmente non è a livelli assurdi, nonostante il basso profilo tecnico del campionato: 7.2 punti e 2.7 rimbalzi a partita.

Nella seconda stagione però esplode con tutto il suo talento: 26.4 punti e 6.6 rimbalzi a partita. Risulta sin da subito evidente che debba trovare fortuna in qualche altro paese, magari in un campionato più competitivo e di risalto maggiore a livello di esposizione internazionale. Per questo motivo a diciannove anni parte e si accasa nella prima divisione belga col Telindus Ostende. Non che il livello sia eccessivamente elevato, ma è un ottimo banco di prova per saggiare le doti del ragazzo. La prima stagione a livello personale è abbastanza buona con 9.8 punti a partita conditi da 5 rimbalzi di media; a livello di squadra è deludente col titolo belga perso lottando contro Proximus Spirou.

Nonostante la sconfitta nella corsa al titolo, l’ottimo piazzamento in campionato dà la possibilità di partecipare ad una competizione europea la stagione successiva.

FOTO: ACB.com

Il secondo anno le medie non migliorano per Mirza, che colleziona 11.1 punti e 4.8 rimbalzi a partita, ma il suo nome circola nel circuito europeo grazie alla partecipazione alla ULEB Cup (attuale EuroCup), raccogliendo 6.7 punti a partita. Dati bastevoli per fare un ulteriore salto di qualità, complice anche la vittoria del campionato belga. La finestra europea gli apre le porte della Spagna, della Liga ACB.

Il Saski Baskonia, reduce da una vittoria in Supercoppa, una Coppa del Re, l’ottimo secondo posto in ACB (escono in finale contro Malaga) e l’ancor più ottimo terzo posto in Eurolega (finalina vinta contro il Barcellona dei due italiani Gianluca Basile e Denis Marconato), sceglie di scommettere sul talento bosniaco.

Per stessa ammissione di Teletović, i primi anni tra le montagne basche attorno a Vitoria sono di ambientamento, ma le sue medie lievitano di anno in anno. Nonostante non sia tra i migliori giocatori del club, nel 2007 decide di rendersi eleggibile per il Draft NBA, ma non viene selezionato da nessuna franchigia.

Continua così la sua avventura col Saski. L’evoluzione nel gioco è evidente. Capisce che per approdare un giorno in NBA deve allontanarsi dal canestro e inizia a costruire un ottimo tiro dalla lunga distanza, modernizzando il suo ruolo di ala grande. Viene inizialmente promosso in quintetto base, dimostrando ad ogni partita di poter essere decisivo anche in campo europeo, vincendo il premio di rivelazione dell’anno nel 2008 e nel 2009 il titolo di MVP della Coppa del Re. Viene anche eletto a capitano della squadra. Nel suo ultimo anno in terra basca si afferma definitivamente in Europa registrando 17.8 punti, 6 rimbalzi e 1.2 assist a partita con un eccezionale 43.1 % al tiro da tre punti. Complessivamente nella sua carriera spagnola lunga sei stagioni raccoglie due scudetti, tre Supercoppe, una Coppa del Re e due Final Four di Eurolega.

Finalmente arrivano i Nets

In realtà non pensa nemmeno di poter andare in NBA, nonostante le ultime ottime stagioni. Dopo la cocente non-selezione al Draft 2007, l’NBA per lui è qualcosa di assai lontano, e alla sua età sbarcare oltreoceano non è affatto così facile, meglio se si è giovani. Inoltre ha ancora due anni di contratto col Saski, e in fondo gli piace giocare in Europa ad alto livello, non la vive come una necessità impellente. Non gli servono gli U.S.A. per sentirsi grande.

“Non ci stavo nemmeno minimamente pensando, ma un giorno il mio agente mi chiama e mi dice che c’è un forte interesse su di me dall’NBA. Ho semplicemente pensato di sfruttare l’occasione.”

I primi ad interessarsi sono i Suns, ma la trattativa si arena, complice anche il deciso ingresso dei Nets, pronti a cambiare casa e sbarcare nella grande mela, che strappa all’Arizona il talento bosniaco. Così Teletović si aggrega ai suoi nuovi compagni di squadra. Brooklyn, nella sua prima stagione newyorkese, ha un ottimo record a fine stagione, ma Mirza gioca davvero poco, relegato molto spesso alla panchina. Si deve ancora abituare alla velocità e gli serve una stagione di transizione, ben inserita nel contratto garantito da tre stagioni.

“Non era nelle rotazioni principali. Era sicuramente molto difficile per lui non poter giocare, ma il suo atteggiamento era ottimo. Quando ha avuto qualche possibilità, l’ha sempre sfruttata al massimo.”

Complici delle buone prestazioni e l’incremento dei parametri atletici, Teletović nella stagione successiva trova sempre più spazio, grazie anche alla rivoluzione decisa dalla dirigenza. Sono tantissimi i giocatori che vengono scambiati, ma sono altrettanti quelli che vestono la maglia Nets e si aggiungono agli All-Star Joe Johnson, Brook Lopez e Deron Williams: tra questi Kevin Garnett, Paul Pierce, Jason Terry e Andrej Kirilenko. Anche la guida tecnica cambia e viene ingaggiato il leggendario e prossimo Hall of Famer Jason Kidd. Le sue prestazioni si alzano notevolmente di livello: 8.6 punti, 3.9 rimbalzi a partita col 39% da 3 a pari. La scommessa di diventare un ottimo tiratore dalla stazza notevole (Teletovic è un 2.03 m) è vinta.

FOTO: NBA.com

La squadra però non funziona e il progetto attorno a Garnett e Pierce fallisce miseramente, tanto che Paul decide di lasciare la squadra direzione Wizards e anche Kidd si accasa ai Bucks. Teletović porta a termine il suo contratto replicando praticamente le stesse medie della stagione precedente, diventano però un’ottima pedina da poter far entrare dalla panca, un tiratore affidabile e un ottimo agonista col suo atteggiamento sprezzante. Anche se la sua carriera pare subire un improvviso arresto.

In una partita contro i Los Angeles Clipper nel Gennaio 2015 è costretto ad uscire dal campo per una seria fatica respiratoria. Già in precedenza aveva avuto qualche problema, ma nulla di paragonabile a quella sera. Lo portano immediatamente al vicino ospedale. La diagnosi è inaspettata: embolia polmonare. Oltre alle bombe, anche la malattia. Riesce a recuperare parzialmente solo per concludere la stagione. L’intera Off-Season la passa a recuperare e riprendere la forma persa per lo stop forzato. Mirza sa perfettamente come rimettersi in sesto. L’Off-Season per il recupero coincide anche con la sua Free Agency. Bussano alla porta i Suns e lui accetta di buon grado l’Arizona.

La sua stagione, nonostante i molti dubbi, è di alto livello raggiungendo i 10.7 punti di media col 39.3% dall’arco. Entra anche nella storia registrando un record di Lega: segna ben 179 triple partendo dalla panchina. Le ottime prestazioni convincono Kidd e i Bucks a firmare un contratto molto importante per aggiudicarsi il talento bosniaco: 10 milioni di dollari per tre stagioni.

Con la salute non si scherza, anche se si ha affrontato la guerra

Ricordandoci che viene definito da molti nel Winsconsin “il peggior investimento di sempre”, possiamo sicuramente affermare che i due anni nei Bucks non hanno atteso le alte aspettative, un po’ per una forma fisica decisamente non a livello, complice anche un infortunio al ginocchio nel 2017, un po’ per gli scarsi rendimenti e il poco feeling coi compagni di squadra e molto per le complicazioni legate all’embolia polmonare, che lo costringe ex abrupto a terminare la carriera. Alla guerra si sopravvive, la si combatte; il fisico semplicemente abbandona, e nel suo caso non si può fare granché.

Cosa possiamo dire di lui? Un uomo coraggioso, questa è l’unica definizione valida. Ad oggi è presidente della federazione cestistica bosniaca, pronto a restituire quello che ha guadagnato sotto i fischi incessanti delle bombe della sua infanzia.

Questa storia ci insegna che il basket è capace di far sognare anche tra le macerie della guerra.

“See the blind man/Shooting at the world/Bullets Flying/Ohh taking roll”

– Child in Time, Deep Purple