Dalla perdita del padre agli ultimi infortuni, passando per sparatorie e guai con la legge. La storia di John Wall raccontata attraverso 3 brani dei Pink Floyd.

C’è un album dei Pink Floyd del 1979, è un concept album, quindi è formato da diversi brani legati tra loro che insieme danno vita ad una vera e propria storia. Si chiama “The Wall”.

Racconta di un uomo, Pink, che diventa rockstar e leader di un movimento politico e dopo la morte del padre inizia a costruire un muro di mattoni immaginario nella sua testa, per difendersi dal mondo esterno.

Quest’album non condivide solo il nome con il protagonista di questa storia, ma straordinariamente qualcosa di più. Perché quella tra la point guard, attualmente free agent, John Wall Jr., e uno dei capolavori assoluti della storia della musica moderna è una connessione stretta a doppia mandata.

Another Brick In The Wall, Part Two

«We don’t need no education

We don’t need no thought control»

Prendiamo una domenica qualsiasi, di un mese qualsiasi, di un anno qualsiasi tra il ‘90 e il ‘98.

Sicuramente John e la sorellina Cierra stanno andando con mamma Frances a casa di papà John Carroll Wall Senior. O meglio, stanno andando alla Wake County Jailhouse, uno dei tanti carceri del North Carolina, vicino a Raleigh. Ma per loro, forse ancora troppo piccoli e ingenui, quella è “la casa di papà”.

I due bambini sono abituati a vederlo solo una volta alla settimana, per un’ora. In mezzo a loro le sbarre. Il tempo di un paio di carezze, qualche sguardo affettuoso, magari un disegno, un bacio (se permesso) e poi addio.

Così dalla fine del 1990 ogni weekend si ripete la stessa storia. Da quando John Wall ha meno di un anno.

Eppure papà John nel 1981, dopo aver conosciuto Frances, sembrava essere cambiato.

Le aveva parlato del suo passato, di quella volta che a 26 anni premette il grilletto e colpì in testa una donna sposata: voleva abbandonare quella vita, diventare padre, lasciarsi alle spalle il criminale che era diventato e cominciare a essere un uomo onesto.

Ma tre settimane dopo la nascita di John, nel settembre del 1990, ci ricasca. Forse perché aveva bisogno di soldi per sfamare il nuovo figlio, forse perché la criminalità era diventata un vero e proprio vizio oppure, più semplicemente, era scritto nel suo DNA.

FOTO: aminoapps.com

Entra in un minimarket di Garner Road, a Raleigh, punta una pistola calibro 22 alla commessa e le ordina di svuotare la cassa. Risultato? Viene accusato e, poi, condannato per rapina a mano armata. Dritto in prigione.

Nel ’98, però, la routine dei piccoli Wall s’interrompe. Non sono più costretti a vederlo una volta alla settimana: il papà può uscire.

Bene? Non proprio. Gli viene diagnosticato un tumore al fegato, prognosi infausta: ha meno di un anno di vita. Wall Sr. riunisce, quindi, tutta la famiglia e partono per una bella – e ultima – vacanza a White Lake, vicino a Lumberton, sempre in North Carolina.

La famiglia finalmente si diverte. Papà e figlio, che al tempo aveva solo 8 anni, si scoprono e parlano un po’ di tutto. Sembra andare meravigliosamente, ma l’ultimo giorno al lago John è nella camera d’albergo con sua sorella e sente avvicinarsi sempre di più il suono della sirena di un’ambulanza.

Si alza dal letto, apre la porta e corre fuori: ci sono due medici che portano in barella suo padre, coperto da un velo. Johnathan Carroll Wall Sr. muore all’età di 52 anni nella vasca da bagno dell’albergo a White Lake.

Così John, proprio come Pink, il protagonista dell’album dei Pink Floyd, perde il padre giovanissimo. Una perdita che gli cambia la vita. E come Pink che per proteggersi dalla realtà inizia a costruire il suo muro, Wall fa lo stesso, ma a modo suo. Comincia a frequentare quelli ambienti che tanto avevano rovinato papà John, diventando sempre più arrabbiato e aggressivo. Diventando Crazy J.

E come i bambini in “Another Brick In The Wall, Part Two” cantano con rabbia contro i collegi scolastici, dicendo di non aver bisogno di un’educazione e di controllare la propria mente, John con rabbia disprezza le autorità e urla contro i coach.

A 13 anni Crazy J spacca i finestrini delle auto, le ruba e poi, con i suoi amici, organizza delle vere e proprie gare spingendole alla massima velocità.

«Ero un cattivo ragazzo che faceva brutte cose . Sbagliavo sempre. Non pensavo. Facevo qualsiasi cosa. Ero convolto in risse. Ero un diavolo».

Addirittura assiste a due sparatorie, in cui una risponde col fuoco. Tutti cominciano a dirgli: «Sei proprio come tuo padre».

Mother

«Mother’s gonna keep you right here under her wing. She won’t let you fly, but she might let you sing. Mama’ gonna keep baby cozy and warm»

Crazy J ha due grandissime fortune: doti atletiche e fisiche incredibili e una madre che non lo ha mai mollato. D’altronde crescere due ragazzini da sola non può essere semplice, ancora di più se vivi nella miseria più totale, proprio come la famiglia Wall.

John prima di andare all’high-school si trova davanti a una scelta importante: football americano o basket?

Da una parte i coach di football stravedono per lui e la sua velocità, dall’altra la mamma lo preferisce sul parquet: per una volta l’ascolta e sceglie la palla a spicchi.

FOTO: Washington Post

Frances Pulley, sua madre, è sempre stata iperprotettiva con suo figlio John, proprio come la madre di Pink, ossessionata da lui.

Ha sempre provato a difendere John, senza mai raccontargli il vero motivo per cui il padre è finito in prigione – Wall lo scoprirà solo nel 2010 durante un’intervista. Ha voluto proteggerlo a tutti i costi dal dolore che lei stessa ha subito, quando a 9 anni ha perso papà Hildred Keith.

Un “amico” di Hildred lo accusò di aver rubato $10 e promise che sarebbe tornato con un’arma. Il papà di Frances rimase là, lo aspettò. Non prese lui quei dieci dollari. Ma l’uomo tornò, gli sparò e Hildred morì. La verità? Li aveva rubati la fidanzata dell’amico.

All’inizio Johnatan Hildred Wall Jr. sceglie la Garner Magnet High School, ma poco dopo deve cambiare scuola a causa del trasferimento della famiglia, direzione Broughton High School, sempre NC. Ma anche a Broughton John continua ad essere Crazy J.

Nell’estate tra il secondo e il terzo anno si riscrive al Basketball Camp di Lavelle Moton – attuale coach della North Carolina Central University – dopo essere stato letteralmente cacciato via dallo stesso allenatore l’estate prima. È proprio sua madre Frances Pulley che riesce a convincere Moton, che non voleva più vedere Wall, a dare una seconda chance al figlio.

E se l’anno precedente Crazy J cominciava a urlare contro tutto e tutti dopo una chiamata sbagliata, quest’anno Moton fischia falli inesistenti apposta, ma John non reagisce. Rimane calmo. Che sia cambiato qualcosa dentro di lui?

Grazie a quel camp riesce a entrare alla Word of God Christian Academy di Raleigh – quindi cambia scuola per la terza volta – e incontrare Levi Beckwith.

C’è un momento chiave nella storia di Wall. Il momento in cui Crazy J comincia a morire e John a rinascere. In quel momento ci sono lui, mamma Frances e Beckwith, il nuovo coach.

«Secondo te – parla Levi – perché Duke e North Carolina non ti seguono?»

«Non so, coach»

«Perché sei una testa di cazzo»

«John – dice la madre -, finirai a essere proprio come tuo padre se non cominci a prendere il basket seriamente».

Crazy J viene “ucciso” da John Wall quando la madre, pochi giorni dopo quella discussione, decide di pagare 200 dollari per mandarlo a un torneo AAU – Amateur Athletic Union – e, per risparmiare, fa a meno dell’elettricità per due giorni.

«Se mia mamma era in grado di fare così tanto per me, io volevo assicurarmi che fosse soddisfatta per tutta la sua vita. L’avrei tirata fuori da tutti i suoi problemi».

In poco tempo il cattivo ragazzo pieno di rabbia si trasforma nel miglior giocatore liceale dell’intero pianeta.

Comfortably Numb

«Now I’ve got that feeling once again

I can’t explain you would not understand

This is not how I am

I have become comfortably numb»

Duke, Kansas, Georgia Tech, Florida, Baylor, North Carolina. Lo vogliono tutti, ma John ha in testa solo ed esclusivamente coach John “Cal” Calipari, dopo aver visto quello che ha fatto con Derrick Rose a Memphis. Calipari va a Kentucky e John lo segue.

Ma nella vita di Wall non tutto può andare bene. Poco prima del suo unico anno al College sembra ricascarci, proprio come suo padre nel settembre del 1990. Viene arrestato per violazione di domicilio nel maggio del 2009.

Per fortuna niente di grave, viene giudicato come un reato minore. Pare sia entrato con una ragazza in una casa abbandonata. Evita la prigione e deve fare 75 ore di servizi sociali.

Nel frattempo il “matrimonio” tra Calipari e Wall va alla grande. Quell’anno i Wildcats sono un super-team. DeMarcus Cousins, Patrick Patterson, Darius Miller ed Eric Bledsoe: assieme al nostro protagonista hanno il miglior record della NCCA (35-3) e John viaggia a 16.6 punti, 6.5 assist, 4.3 rimpalzi e 1.8 recuperi di media.

È per tutti la prima scelta al Draft 2010.

«With the first pick in 2010 NBA Draft the Washington Wizards select…»

Tra gli spalti c’è quel ragazzo che pochi anni prima aveva perso il padre, era finito nei peggiori giri di tutto il North Carolina e che ora, miracolosamente, ha messo la testa a posto. Il suo sogno è aiutare la famiglia, farla risorgere dalle ceneri. Regalare una nuova casa e vita alla sorellina Cierra e alla mamma Frances, a cui deve molto. Sa che fra poco sentirà il suo nome. È visibilmente emozionato.

«…John Wall»

Il ragazzo mette il cappello dei Wizards, un abbraccio alla mamma, saluti, congratulazioni dagli amici e poi è lì, sul palco del Madison Square Garden, a fianco a David Stern.

Ce l’ha fatta.

In NBA John ha fin da subito una pesantissima responsabilità: sostituire Gilbert Arenas, scambiato al suo arrivo, e caricarsi sulle spalle l’intera franchigia della capitale.

Il suo impatto, a parte per l’esordio, è devastante. Già alla terza presenza, la prima alla Capital One Arena, sigla 25 punti, 13 assist e ben 9 palle rubate e il 10 novembre 2010 realizza la sua prima tripla doppia, il più giovane di sempre dopo Lebron James e Lamar Odom. John Wall è un giocatore totale.

Non è troppo alto ma è un rim protector più che temibile. In transizione è una vera e propria locomotiva irrefrenabile. Se vuole andare a canestro va a canestro, meglio se posterizzando qualcuno. È uno dei migliori passatori della lega.

No look e bullet pass – il passaggio a una mano dal palleggio tagliando il campo – sono i suoi assist preferiti. Per non parlare della sua innata capacità nel rubare palloni, frutto di istinto, occhio e tempismo da maschio alfa.

Può giocare in isolamento e spesso riesce a tenere in piedi letteralmente da solo la sua squadra. Infine è un re del trash talking. Wall non gioca solo per vincere, ma per massacrare. Dopo una schiacciata in testa a un avversario, non perde mai l’occasione di dirgli qualcosa di poco carino.

Risultato: i primi due anni in NBA sono a livelli altissimi. John è sulla bocca di tutti, anche se non ha ancora vinto nessun premio personale. Pare che il futuro di Washington, pur non avendo mai superato le 23 vittorie in queste due stagioni, sia più che roseo.

Eppure non sarà così. Andando avanti negli anni i Washington Wizards non faranno mai bene. John segnerà diversi punti, riscriverà moltissimi record della franchigia, parteciperà a 5 All-Star Game, alzerà il premio della gara delle schiacciate nel 2014, ma ai Playoffs non andrà mai oltre le semifinali di conference.

Ma, purtroppo per lui, in NBA conta vincere.

Dopo le prime stagioni a ritmi degni delle migliori point guard di sempre – solo Chris Paul, Magic Johnson, Tim Hardaway, Kevin Johnson e Isiah Thomas hanno tenuto con Wall la media di almeno 18 punti, 9 assist, 1.5 rubate nei primi 7 anni -, comincia a crollargli tutto il mondo addosso.

Così, come da piccolo gli urlavano che era come suo padre, ora gli urlano che se Washington perde è colpa sua. È colpa del super contratto da 170 milioni in 4 anni di John Wall. È colpa di John Wall che pensa solo alle statistiche. È colpa di John Wall che litiga con i compagni.

FOTO: NBA.com

Tra il 2017/18 e il 2018/19 gioca a malapena 73 partite, nell’ultima stagione non sfiora nemmeno una volta il campo. Una successione di infortuni, operazioni e riabilitazioni lo bloccano.

Wall non è più né il John che eravamo abituati a vedere correre, schiacciare e passare come nessuno sui parquet americani, né il Crazy J che ruba e spacca le auto a Raleigh. Si è perso e forse non si riconosce. Proprio come Pink in Comfortably Numb:This is not how I am”.

Il protagonista dei Pink Floyd non riesce a sopportare la vita da rockstar. E crolla. Ha un malore prima di un concerto. Così urla, un dottore lo soccorre e gli fa un’iniezione per dargli la forza d’esibirsi.

A Pink vengono in mente tutti i ricordi. Gli viene in mente la voce del suo maestro, la ragazza, le risate e tutta l’infanzia. Non prova dolore. L’iniezione non la sente, è “Comfortably Numb”, piacevolmente insensibile.

Così anche John sta avendo un malore. Troppi infortuni e troppe critiche. Ma Wall sa come uscire dai problemi; dalle crisi, dagli abissi della vita. Anche a lui verranno in mente tutte quelle volte che ha stretto i denti, quelle domeniche passate alla prigione della Wake County, la barella che ha portato via suo padre, le sparatorie e la cattiveria che lo hanno accompagnato per gran parte della sua vita.

Magari non trasformerà la rabbia e l’odio in giocate spettacolari, ormai è troppo tardi, lo abbiamo visto con le ultime esperienze a Rockets e Clippers, forse le ultime per lui in NBA. Ma se c’è qualcuno che sa come risorgere dalle proprie ceneri, quello è John Wall.