Tra Trash Talking, triple e giocate decisive, riviviamo la straordinaria carriera di uno dei più grandi tiratori della storia del Gioco.

Signora Carrie, voglio essere molto diretto con lei. Non credo che suo figlio potrà avere una vita senza problemi fisici. Certo, possiamo fare molto per lui, ma dubito fortemente che potrà correre e giocare con i suoi coetanei quando crescerà”

La signora Carrie Miller ascolta attentamente il discorso che il medico le sta riservando a proposito della salute di suo figlio. Il piccolo è nato con una grave deformazione all’anca, che genera ovviamente problemi di deambulazione e risentimenti a ginocchia e piedi. La soluzione che il dottore le sta paventando prevede l’uso di un tutore (per capirci molto simile a quello utilizzato dal protagonista nel film Forrest Gump) per i primi quattro anni di vita del giovane e poi, chissà, forse altri aiuti per il resto della propria vita.

La donna però non si lascia scoraggiare da quanto appena ascoltato. Lei e suo marito Saul vivono a Riverside, California, e lì hanno posto le radici per una numerosa e atletica famiglia. Lo stesso Saul era un buon giocatore di basket, ma anche i figli Cheryl, Darrel, Tammy e Saul Jr. fin da piccoli dimostrano di avere propensione per lo sport. Per questo, andando contro ogni concreto parere medico, la famiglia Miller crede che il quarto dei cinque figli riuscirà a venire a capo dei congeniti problemi all’anca.


Ma nemmeno il più marcato ottimismo può portare i coniugi Miller a immaginare che il loro piccolo Reginald Wayne, non solo si lascerà alle spalle i problemi fisici, ma diventerà un Hall of Famer NBA oltre che une dei più forti tiratori della storia della Lega.


Fin dalla nascita, il 24/08/1965, Reggie deve dunque affrontare la prima sfida che la vita gli riserva. Già a cinque anni però il tutore è ormai un ricordo e il giovane può finalmente dedicarsi a giocare liberamente.

La sorella Cheryl da subito si dimostra notevolmente portata per il basket, imparando anche la durezza della competizione, scontrandosi costantemente contro i fratelli maggiori, che non le risparmiavano nulla in campo. Facendo tesoro del trattamento subito, la ragazza non ha remore nel far provare la stessa medicina anche a Reggie, non appena questi la sfida 1vs1. Il ragazzo, più giovane di 17 mesi della sorella, viene fin da subito massacrato fisicamente, tecnicamente e verbalmente.

Sono proprio questi duelli continui che pongono le fondamenta del giocatore dei Pacers. È costretto a sviluppare una tecnica di tiro con una parabola molto arcuata, caratteristica che rimarrà tale anche nei pro, per evitare la stoppata e apprende anche l’arte del trash talking continuo e la su lingua tagliente lo accompagnerà per tutta la carriera.

I due fratelli sono fortemente legati e, una volta cresciuti, decidono di sfruttare le proprie doti cestistiche per “fregare” i ragazzi del quartiere. Il copione è sempre lo stesso: Reggie, col suo poco temibile fisico pelle e ossa, si presenta al playground sfidando un paio di ragazzi a battere lui e la sorella, scommettendo una decina di Dollari. Fiutando soldi facili nel vedere un mingherlino e una femmina, i due malcapitati di turno vengono regolarmente massacrati da Reggie e Cheryl.

All’inizio del quadriennio alla Riverside Poly High School, Reginald è ancora 1,75 per soli 63 Kg. Un fuscello che però dedica ore nell’eseguire centinaia e centinaia di tiri dalla lunga distanza. Non è titolare nel suo anno da freshman e si dedica anche al baseball.

Nella stagione da sophmore la situazione cambia. Durante una trasferta uno dei titolari dimentica la maglia da gioco e Reggie lo sostituisce in quintetto. Segna 35 punti e si appropria definitivamente dello starting five.

Il 26 gennaio 1982, il futuro Pacers segna 39 punti in una partita. Torna felice a casa per raccontare della prestazione alla famiglia. Nota subito una certa freddezza domestica: “Sì bravo, bravo Reggie, ora vai a fare i complimenti a tua sorella”.

105! Centocinque punti la prestazione irreale che Cheryl aveva appena sciorinato nella vittoria di Riverside Poly contro Riverside Norte Vista. Non che Reggie si dispiacesse più di tanto, visto lo splendido rapporto con la sorella.

Cheryl diventerà una giocatrice incredibile, probabilmente la più forte di sempre. La sua unica sfortuna è stata quella che negli anni della sua carriera senior ancora non esistesse la WNBA, anche se ha comunque dato spettacolo con la maglia della nazionale. D’altra parte lo sport è parte del DNA della famiglia Miller: Darrel diventerà un giocatore della MLB, mentre Tammy giocherà a pallavolo ad alto livello al college. Solo Saul Jr. seguirà la vena artistica paterna per dedicare anima e corpo al Jazz.

Reggie negli ultimi due anni di high school domina letteralmente. Ha raggiunto quella che sarà la sua altezza definitiva (2.01 mt.) ed è ormai uno dei migliori liceali della California. Il suo obiettivo è giocare per UCLA.

Il ragazzo non è tuttavia il numero uno sulla lista del leggendario John Wooden. Una campagna di reclutamento non andata secondo le previsioni lascia il coach senza alternative e Reggie diventa un Bruins. Nella sua stagione da freshman il n. 31 non vede molto il parquet. Il nuovo allenatore è Walt Hazzard, che non lo ha scelto per far parte del roster.

Già dal secondo anno Reggie inizia a far vedere le proprie qualità e guida il team per punti segnati. Le sue prestazioni portano la squadra alla conquista del NIT. Se nell’anno da junior le sue cifre esplodono, la stagione da senior lo consacra definitivamente.

Nell’annata 1986-87 la NCAA istituisce finalmente il tiro da tre punti. Dopo anni passati a tirare da lontano per evitare le stoppate di Cheryl, finalmente il nativo di Riverside vede valorizzarsi la propria arma principale. UCLA viene invitata al “gran ballo”, ma arriva un’eliminazione al secondo turno contro Wyoming.

Il n. 31 chiude la carriera collegiale come secondo realizzatore di sempre dell’ateneo, dietro a un certo Kareem Abdul-Jabbar. È tempo per lui di prepararsi al Draft NBA del 1987.

Nonostante le ottime performance con la maglia dei Bruins, molti scout della Lega nutrono seri dubbi sulla sua capacità di adattarsi al basket pro. Malgrado il tiro mortifero, non convincono l’attitudine difensiva e un fisico eccessivamente leggero che lo avrebbero messo in difficoltà contro i pari ruolo.

Snobbato nelle primissime posizioni, Miller viene selezionato dagli Indiana Pacers con la chiamata numero 11. La scelta suscita non poche critiche, dato che tutti i tifosi dello stato per eccellenza della pallacanestro si aspettavano l’arrivo dell’idolo locale Steve Alford. Il GM Donnie Walsh tuttavia preferisce la guardia californiana.

Nella sua stagione da rookie, l’ex UCLA parte dalla panchina come backup di John Lang. Gioca tutte le 82 partite e riesce a dare dimostrazione più volte delle proprie capacità offensive, realizzando ben 61 triple durante la Regular Season.

Sebbene il dato non sia troppo impressionante visto quanto segnerà in futuro dall’arco, si tratta lo stesso del record per un rookie, superando quello precedente di un certo Larry Bird.

Anche la sua lingua lunga si mette in mostra già nel primo anno della Lega. Nella prima partita contro i Bulls, Miller non si vuole far intimorire dalla sfida con Michael Jordan e segna 10 punti nel primo tempo, con MJ fermo a 4. La matricola commette però l’infausto errore di provocare il n. 23 col suo estenuante trash talking e il leader di Chicago non la prende bene. A fine gara Jordan ha un fatturato di 44 punti, mentre Miller di soli 12.

Inconvenienti verbali a parte, già nella seconda stagione in Indiana, Reggie diventa titolare della squadra, ripagando con una maggiore produzione offensiva e una discreta precisione al tiro. I risultati tuttavia tardano ad arrivare, coi Pacers che restano sempre lontani dalla zona Palyoffs.

La Regular Season 1989-90 si rivela essere un grosso step sia per Indiana che per il suo n. 31. Gli executives decidono di rinnovare il roster, acquisendo il tedesco Detlef Schrempf da Dallas e liberandosi del veterano Buck Williams, con lo scopo di lasciare spazio sotto canestro al promettente olandese Rick Smits.

Dal canto suo Miller cresce consistentemente, scavalcando Chuck Person nel ruolo di primo violino in attacco e chiudendo l’anno con 24.6 punti a gara (career-high). Il suo tiro è sempre più preciso e costante, inoltre sta iniziando a sviluppare una naturale predisposizione nel subire fallo, cosa che lo manda spesso in lunetta per capitalizzare i liberi con chirurgica precisione (86.8%).

Svilupperà fino all’estremo questa attitudine nel subire un contatto durante l’atto di tiro, aprendo le gambe durante l’esecuzione del gesto, nel tentativo di impattare contro il corpo del difensore, tanto da costringere la NBA a introdurre una regola ad hoc.

Tali performance gli fanno guadagnare la sua prima chiamata per l’All Star Game. Inoltre la squadra inizia a girare e riesce a conquistare l’ultimo spot della Eastern Conference per i Playoffs. Il primo turno si rivela proibitivo contro i futuri campioni Detroit Pistons, che attuano la loro difesa fisica per arginare i giovani avversari, ma intanto il battesimo con la post season è stato celebrato.

Le tre stagioni successive purtroppo portano un brusco arresto nello sviluppo della squadra. I Pacers riescono sempre a qualificarsi per i Playoffs, ma il primo turno si rivela uno scoglio insormontabile sul quale Miller e compagni finiscono sempre per infrangersi.

Reggie continua il proprio processo di crescita, come giocatore e come leader del team. Pur essendo una guardia da oltre 20 punti a sera e il miglior tiratore di tutta la Lega, viene ignorato per la partita delle stelle.

Questo nonostante esplosioni balistiche come quella del 28-11-1992 contro i Charlotte Hornets: 57 punti con 16/29 dal campo, conditi da 4 triple e 21/23 ai tiri liberi.

Prima della stagione 1993-94 i Pacers decidono di cambiare decisamente rotta. Se già la precedente annata aveva visto la partenza di Chuck Person, stavolta Donnie Walsh decide di colpire a monte e fa sedere sulla panchina il coach Larry Brown.

Viene firmato Haywood Workman mentre Schrempf viene spedito a Seattle in cambio di Derrick McKey. Brown spinge per un gioco maggiormente corale e riduce il minutaggio della propria stella, anche per averlo più fresco più avanti in stagione. La partenza dei nuovi Pacers lascia molto a desiderare, con 11 sconfitte nelle prime 20 gare.

La situazione si ribalta col passare dei mesi e Indiana conquista il quinto seed a est. Miller è diventato il miglior realizzatore di sempre della squadra, è ancora altamente efficiente in attacco (56.2% dal campo, 42.1% da 3pt e 90.8% ai liberi) ed è più riposato in vista dei Playoffs 1994.

Indiana elimina prima Orlando, poi Atlanta e si appresta a sfidare New York nella finale della Eastern Conference.

I quotati Knicks vincono le prime due sfide nella Grande Mela, ma i Pacers pareggiano la serie tra le mura amiche. Si torna quindi al Manattham per la fondamentale Gara 5 e Miller prende il proscenio del Madison Square Garden come solo i grandi fanno.

Ispirato anche dai continui battibecchi con Spike Lee, regolarmente seduto in prima fila, Reggie esplode nel quarto periodo, da ora in poi ribattezzato “Miller time”. 25 punti dei suoi 39 segnati nell’ultima frazione, con dedica speciale al futuro regista di “He got game” ad ogni canestro.

New York riesce a rimontare e vincere la serie 4-3, volando in finale, ma la straordinaria performance del n. 31 lo ha finalmente “put on the map”. Viene quindi scelto per la prima versione di Team USA post “Dream Team”, che partecipa ai Campionati del Mondo del 1994 a Toronto.

Sbrigata la pratica medaglia d’oro, si rituffa in pieno nella nuova stagione coi suoi Pacers, che hanno aggiunto in cabina di regia Mark Jackson. Con lui, Miller, McKey, Dale Davis e Smits in quintetto (più Antonio Davis, Byron Scott, Workman dalla panchina) Indiana vuole essere protagonista. L’ex UCLA torna finalmente all’All Star Game a furor di popolo e produce l’ennesima grande stagione, pur con una ulteriore diminuzione di minutaggio.

Nei Playoffs 1995, il secondo turno vede la rivincita coi rivali Knicks. In Gara 1 il n.31 sciorina una manciata di secondi di onnipotenza cestistica. Coi suoi sotto di 6 e solo 18.7 secondi sul cronometro Miller segna addirittura 8 punti in soli 8.9 secondi e conduce i suoi alla vittoria, meritando il soprannome di “The Knick killer”.

La serie si rivela comunque una nuova battaglia, si arriva ancora a Gara 7 al Garden. Il nativo di Riverside è implacabile con 29 punti e 3/5 dall’arco e finalmente i Pacers hanno la meglio sui rivali.

Si torna in finale a Est dove attendono gli arrembanti Magic. È un’altra sfida fratricida, con Gara 4 spettacolosa, con le squadre che si alternano in vantaggio per ben 4 volte negli ultimi 13 secondi.

Prima Brian Shaw mette la tripla del +1 Orlando.

Si cerca Reggie e siamo in Miller time: ovviamente tripla del +2.

Replica subito “Penny” Hardaway con la bomba del nuovo vantaggio Magic.

5.2 secondi al termine, tutti sul pericolo pubblico col n. 31. Smits riceve libero sul gomito, manda al bar il difensore con una finta e segna il tiro della vittoria.

Ma ancora una volta è Gara 7 a spedire a casa i ragazzi di coach Brown. Troppo la potenza fisica di Shaquille O’Neal in mezzo all’area e Finals che si spostano in Florida.

Anche dopo la sconfitta, regna l’ottimismo in zona Marquet Square Arena. Si pensa che la squadra sia pronta per il grande salto. Invece arrivano due brutte stagioni, con addirittura la mancata qualificazione ai Playoffs del 1997. Miller continua a giocare una grande pallacanestro, venendo convocato anche per far parte di Team USA alle Olimpiadi di Atlanta 1996.

Donnie Walsh è convinto che il ciclo di Larry Brown sulla panchina giallo-blu sia terminato e opta per una soluzione suggestiva e motivante: Larry Bird. Il grande ex Celtics è alla prima esperienza come head coach, ma la sua profonda conoscenza del gioco e la sua grande leadership potrebbero dare quella spinta che manca alla squadra per il decisivo salto di qualità.

Ai senatori del roster vengono aggiunti pedine importanti come Chirs Mullin, Travis Best e Jalen Rose.

È un successo. Il record in Regular Season è 58-24.

Il secondo turno della post-season riaccende l’ennesima sfida con la Grande Mela. 2-1 Indiana, Gara 4 al Garden, 102-99 per i padroni di casa, mancano 5 secondi alla fine, it’s Miller Time.

Il n. 31 riceve in posizione di ala a sinistra e scocca la tripla il cui esito è indubbio. Canestro del pareggio, supplementari in arrivo e i Pacers vittoriosi a New York, con la serie che volgerà al termine nella successiva Gara 6.

I ragazzi di Larry Bird tornano alle finali della Eastern Conference, stavolta contro un avversario estremamente ostico. I Chicago Bulls campioni NBA. I giallo-blu tuttavia hanno la consapevolezza di essere in grande forma e di avere le qualità per tenere testa a Jordan e compagni.

Le prime due partite sono ad appannaggio della squadra dell’Illinois ma, tornati in Indiana, la musica cambia. I Pacers accorciano il distacco in Gara 3 e nella partita successiva è ancora Miller time. Sotto 93-94, a 2.9 secondi, McKie rimette la palla da metà campo che finisce in mano all’ex UCLA che tira da 3…

Jordan potrebbe replicare, ma il suo tiro rimbalza sul ferro ed esce. 2-2.

Ancora una beffarda Gara 7 spegne gli arrembanti Pacers, coi Bulls che fanno valere la propria esperienza sotto pressione.

Reggie sa che la squadra ha perso una grande occasione e che la conquista del titolo inizia a diventare sempre più una chimera. Deve attendere però due stagioni per trovarsi davanti una nuova opportunità.

La stagione 1999-2000 vede i Pacers dominare la Eastern Conference e tentare una nuova scalata al Larry O’Brien Trophy. Nei Playoffs a turno vengono rispediti a casa Bucks, 76ers e gli odiati Knicks e finalmente Indiana accede alle Finals.

I rivali dell’ovest non sembrano essere dei più abbordabili: i Lakers di Shaq e Kobe.

Gara 1 è un monologo giallo-viola e Reggie è disastroso (1/16 dal campo). Anche la seconda partita è vinta da Los Angeles, ma i Pacers danno cenni di presenza.

Si vola alla Conseco Fieldhouse per Game 3 e le mura domestiche riscaldano i cuori giallo-blu con un super Miller da 33 punti, ben coadiuvato da Jalen Rose e dall’uomo esploso in finale, Austin Croshere.

Un Kobe in formato monstre spegne un Reggie da 35 punti e porta LA avanti 3-1. Anche se Indiana vince l’ultima gara in casa, i Lakers chiudono i conti una volta rimesso piede in California, col titolo che sfugge ancora al n. 31.

Larry Bird e Rick Smits decidono di ritirarsi e il loro posto viene rispettivamente preso da Isiah Thomas e Jermaine O’Neal. Proprio il n. 7 eredita lo scettro di leader offensivo, visto che Miller è ormai in fase calante a 35 anni. L’età tuttavia non ne impedisce grandi exploit, come nella serie di Playoffs 2001, al primo turno contro i Sixers. Segna ben 31.3 punti di media nelle 5 gare, con l’ennesimo colpo in Miller time.

Tre eliminazioni al primo turno in tre anni consecutivi pongono fine all’esperienza Thomas sulla panchina giallo-blu. Arriva Rick Carlise, che cambia gli equilibri del team. Se la palla passa molto per le mani di O’Neal, Metta World Peace e Al Harrington, Reggie beneficia di minor pressione sul perimetro e rimane leader dello spogliatoio.

Il risultato è una nuova finale di Conference che ancora una volta vede i Pacers sconfitti, stavolta contro i Pistons futuri campioni.

L’ex UCLA ha sempre detto di non voler giocare oltre i 40 anni, è chiaro quindi che la Regular Season 2004-05 sia la sua ultima.

Il farewell tour non inizia nel migliore dei modi, col n. 31 che si frattura la mano in pre-stagione e salta numerose gare. A compromettere la stagione dei Pacers ci pensa la famosa rissa del Palace di Detroit, in uno dei momenti più bui della storia della Lega, con tafferugli tra giocatori e pubblico.

Il risultato è una maxi squalifica per Artest, O’Neal e Stephen Jackson, con ovvie conseguenze sul proseguo della stagione della franchigia. Una volta in campo, Reggie torna a indossare ancora il ruolo di leader dell’attacco, per compensare le assenze dei compagni.

Riesce per 10 volte a scollinare oltre quota 20 e per 6 volte oltre 30, ma i 39 anni si fanno sentire.

L’ultima partita della Regular Season è un omaggio da parte di numerosi ex avversari come Jordan, Magic, Barkley, Bird o Shaq, che lo salutano con un video. Ma ci sono ancora i Playoffs 2005 da giocare prima della pensione.

Eliminati i Celtics al primo turno, i Pacers trovano ancora Detroit sul proprio cammino. Troppo forti i Pistons per i ragazzi Carlise. Il n. 31 è l’ultimo a mollare, segnando 27 punti con 4/8 da 3.

Quando mancano 15.7 secondi alla fine della decisiva Gara 6, con la squadra del Michigan prossima alla vittoria, è il momento per Reggie Miller di uscire per l’ultima volta dal campo.

L’allenatore avversario, il suo ex coach Larry Brown, chiama un time out solo per permettere al giocatore di godersi la standig ovation che Indianapolis riserva al proprio beniamino.

L’ultimo saluto arriva con l’intervista finale da parte dell’ABC, che trasmette la partita. La giornalista incaricata, apprezzata reporter dell’emittente, è proprio la sorella Cheryl.

Chiude l’incredibile carriera con ben 2.560 triple messe a segno in 18 anni di servizio. Nel 2012 viene giustamente indotto nella Hall of Fame e una delle tre persone che ne sponsorizzano la candidatura è ancora una volta l’amata sorella.

Anche se non riesce a vincere il titolo, la sua carriera rimane negli annali, per tutto quello che ha fatto vedere sul parquet. Tiratore, agonista, trash talker e glaciale clutch player. In fondo, se la vostra vita dipendesse da un tiro, a chi lo affidereste?

Jordan?! Troppo facile… No, it’s Miller time.