Quella di Nick Nurse è una storia nascosta, in cui accade tutto ciò che non ti aspetti. Racconta di un allenatore geniale e di un viaggio infinito: dall’ignoto Iowa al Titolo NBA, passando per l’Inghilterra… e il mondo degli scacchi.

Non esiste una foto in cui Nick Nurse non sorrida. Anche quando è arrabbiato coi suoi ragazzi, oppure si lamenta con gli arbitri, lungo il suo volto si nota qualche tratto di gioia che lo fa amare da tutti. D’altronde Nick è un tipo particolare. Calmo, ma anche irrequieto. Riflessivo, ma anche istintivo. Ma, soprattutto è un grandissimo allenatore. Un formidabile giocatore di scacchi.

Siamo a Orlando, nella Bolla. È il secondo turno dei Playoffs 2020: i Boston Celtics affrontano i Toronto Raptors.


Nell’arena vige il silenzio. Si sente quella strana quiete che accompagna i momenti d’incredibile concentrazione. E tutto a un tratto pare che il parquet si restringa, fino a diventare un piccolo tavolo. Le righe che un tempo delimitavano il terreno di gioco intrecciandosi fra loro, vanno a formare dei quadrati di colore alterno. Alcuni bianchi, altri neri. Così i giocatori si schierano come fossero delle pedine.

Da un lato di questa fantastica scacchiera abbiamo Brad Stevens, dall’altro Nick Nurse.


Foto: news.cgtn.com

I due si affrontano. È una battaglia mentale. Muovono i pedoni e le torri per mettere nelle migliori condizioni la propria regina. Pungono con gli alfieri e scardinano i piani dell’avversario coi cavalli.

È una serie bellissima. Entrambi cambiano sistema continuamente. Nessuno vuole cedere dei punti di riferimento. E anche se dopo le 7 partite vince Brad, Nick ha mostrato ancora una volta di essere un tecnico incredibile.

La maggior parte dei coach ha un lato del campo preferito: lui no. Attacco o difesa, poco cambia.

Eppure, fino a pochi anni fa si trovava a muovere i suoi pezzi su qualche parquet in Inghilterra, non certo la Terra del basket.

Questa è una storia nascosta, in cui accade tutto ciò che non ti aspetti. Racconta agli inizi di un ragazzo nato in una piccola città altrettanto remota: Carroll, sperduta nel bel mezzo dell’Iowa.

Mamma Marcella fa l’insegnate, papà Maury lavora nelle poste, Nick è l’ultimo di nove figli e non è assolutamente dotato atleticamente. Anzi: è grassottello e non altissimo.

Non sembra assolutamente il miglior contesto per avere un futuro nello sport, ma nulla nella vita di Nurse è scontato.

E infatti alla Kuemper Catholic High School è uno dei migliori astisti della Nazione, quarterback della squadra di football, primo lanciatore in quella di baseball e point-guard di quella di pallacanestro. Non male, direi.

A tutto ciò che non può raggiungere con muscoli e centimetri, ci arriva grazie alla mente. Conosce ogni singolo movimento di qualsiasi sport alla perfezione. Quello che Madre Natura non gli ha dato nel corpo, gliel’ha dato nella testa.

Il suo sport preferito è il football, ma è troppo piccolo, quindi sceglie il baseball, che però lascia subito per il basket. È poco elegante, lento e non esplosivo, ma ha una meccanica di tiro impeccabile. Così, coach Jim Berry gli offre una borsa di studio alla University of Nothern Iowa.

La stagione inizia male. Mentre alterna i corsi di business con gli allenamenti, gli Iowa Hawkeyes sono 8-19. Coach Berry è ai saluti: arriva Eldon Miller.


Foto: The Athletic

Eldon è un uomo di basket, uno che dopo una carriera di 60 anni siede ancora oggi su una panchina collegiale. Ed è anche il primo a credere in Nurse.

«Nick non era veloce e non saltava abbastanza in alto, ma era un leader nato. E poi amava il Gioco. Non avevo dubbi: sapevo sarebbe diventato un grande allenatore», racconta il coach.

Tra l’’89 e il ‘90, Miller gli offre un ruolo come assistente nel suo staff.

«È intelligentissimo. Ne ho visti pochi così. E poi è altruista: pensa sempre prima alla squadra e ai compagni, poi al resto».

Nel 1990 Nick deve prendere una scelta: iniziare una (noiosa) carriera da contabile o continuare ad allenare.

Un’azienda giapponese è pronta ad assumerlo, ma a un certo punto riceve una chiamata da un uomo dall’accento britannico.

«What!?» esclama Nurse.

«Sì, vogliamo che tu venga qui ad allenare e giocare», gli risponde la voce dall’altra parte della cornetta.

Non ci pensa un attimo. Nick Nurse parte per la sua prima esperienza da coach, ma anche da giocatore. Vola oltreoceano, in Inghilterra, nella BBL, la British Basketball League, nei Derby Rams.

Pedone in C4: apertura inglese. Inizia la sua avventura.

Così, a 22 anni Nick si trova a circa 7 mila chilometri di distanza dalla sua piccola Carroll. Da solo. È allenatore e giocatore, ma anche scout e General Manager. Deve fare tutto lui, anche guidare il bus della squadra per le trasferte, però purtroppo non ha ancora la patente, quindi ci pensa Martin Ford, il centro.

«Era uno dei più giovani, sembrava avesse 18 anni, però si faceva rispettare comunque. Sapevamo tutti che conosceva il basket meglio di noi», racconta Ford.

La piccola squadra del Derbyshire, nel bel mezzo del Regno Unito, per la prima volta nella storia va ai Playoffs di BBL con 12 vittorie e 12 sconfitte, per poi uscire a un passo dalle semifinali contro la squadra di Leicester.

L’anno successivo, però, è di nuovo a casa, alla Grand View University, nell’Iowa. Diventa il coach più giovane ad allenare un college e lascia definitivamente la pallacanestro giocata.

Rimane per circa 5 anni in USA – facendo un salto anche all’University of South Dakota – per poi tornare in quella che è a tutti gli effetti la sua nuova casa. Torna in Inghilterra, questa volta a Birmingham.

Però l’inizio con i Birmingham Bullets è complicato.

«Eravamo 8-8 in stagione, e dopo una partita, mentre stavo andando in hotel, ho pensato di tornare a Carroll. Poi ho riflettuto sui possibili lavori una volta in America: nessuno. Allora mi sono detto: “Sono nella merda. Meglio rimanere qui”».

Così Nick sceglie di stare ancora sotto la Corona e, incredibilmente, la sua squadra cambia. Una vittoria dopo l’altra portano i Bullets a un record di 26-10. Quindi ai Playoffs, che poi vinceranno.

Ecco il grande Nick Nurse che conosciamo: lo scacchista che sa perfettamente muovere i suoi giocatori come pedine, che ribalta le partite in poche mosse. L’allenatore sensibile, amico dei giocatori, pronto a ridere con loro.

Rimane in Inghilterra fino al 2006, per 11 interminabili anni, passando per cinque squadre diverse, più uno a Ostenda, in Belgio, e tornando, qualche volta, da vice-allenatore negli States, agli Oklahoma Storm, dove, addirittura, una volta finisce a lavare le magliette della squadra.

In queste stagioni segna la storia del basket britannico.

Vince 2 campionati – uno a Birmingham, l’altro a Manchester con i Giants – due Coach of the Year Award – nel 2000 e 2004 – e allena addirittura per un una manciata di partite un certo Dennis Rodman.

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Foto: Brith Basketball League

Però questo è il mondo della pallacanestro di Sua Maestà, certamente non il palcoscenico migliore.

«Ho bisogno di migliorarmi, di fare altre esperienze, di lavorare a livelli più alti. Non m’interessa quanto vinco qui: è come se non contasse nulla per nessuno».

Back to USA. È il momento di tornare negli Stati Uniti.

Nel 2007 comincia ad andare a più partite possibili, partendo dalla Long Beach Summer Pro League – una precursore della Summer League – cercando di mettersi in mostra, con l’obiettivo di farsi conoscere da più persone.

Nessuno sa chi sia. Nessuno ha mai sentito la stellina americana che ha impressionato l’Inghilterra. A Nick pare di aver buttato più di 10 anni della sua vita: la sua carriera sembra già finita. Pensa, di nuovo, al lavoro da contabile.

Poi una chiamata lo salva. Ancora.

La voce dall’altra parte, però, stavolta, parla da casa: sono gli Iowa Energy, alla loro prima stagione in D-League.

4 anni, 124 vittorie, 76 sconfitte, Titolo 2010/11 sulla panchina Energy.

«Allenare gli Iowa Energy per me è stata la scelta più importante. Ero lontano chilometri dall’NBA, ma grazie a questa esperienza mi ci sono avvicinato sempre di più. Ho incontrato dirigenti e giocatori, con cui ho legato e mi sono fatto notare. E soprattutto ho cominciato, in qualche modo, ad annusare aria di NBA»

Nel frattempo non può far a meno della Gran Bretagna e vola in Inghilterra a fare anche il vice della Nazionale.

Nick Nurse comincia ad avere la fama di essere un genio offensivo, tant’è che Daryl Morey, al tempo ancora a Houston, vuole che alleni i Rio Grande Valley Vipers, l’affigliata dei Rockets in D-League.


Foto: nba.com

Nel 2011 lascia l’Iowa per andare in Texas. Morey gli ha detto che è completamente libero di mettere all’opera le sue idee di gioco, senza limiti.

Le squadre di Nurse sono bellissime. I giocatori in campo si muovono in modo armonico tra loro, con automatismi perfetti. Cambiano difesa a uomo, zona 3-2 o 2-3 come nulla fosse. Hanno un bagaglio offensivo infinito.

Gioca bene, vince un Titolo e infrange record: è il secondo per vittorie in Regular season e primo per quelle ai Playoffs in D-League.

Per questo una volta tornato nel basket americano il salto ai piani superiori è quasi immediato. Lo chiamano i Raptors, lo vuole coach Dwane Casey nel proprio staff, lo desidera il nuovo GM: Masai Ujiri, una vecchia conoscenza. Nel 1995, Ujiri gioca per i Derby Rams e sfida i Birmingham Bullets, allenati proprio da Nick Nurse: s’incontrano così, in Inghilterra, in campo.

«Tutti parlavano dei Bullets come una squadra differente – racconta oggi Masai – Erano sulla bocca di tutti. Io ho notato l’allenatore, Nick, e ho capito che pensava il Gioco in un’altra maniera».

Alle spalle di coach Casey cresce, migliora e impara tantissimo. È il responsabile della parte offensiva e non a caso dal 2014 in poi i Raptors saranno sempre tra le prime in Offensive Raiting.

Toronto è una buona squadra, tra le migliori a Est, eppure una volta ai Playoffs tutto crolla. Le due stelle, Lowry e DeRozan, non fanno più la differenza. La squadra non sta più in piedi.

Così nel 2018, dopo anni senza mai vincere, uscendo sempre sul più bello, il GM Ujiri sceglie di cambiare. Sceglie di capovolgere la squadra.

Scambia Jakub Poeltl e DeMar DeRozan, per Danny Green e Kawhi Leonard.

Decide anche di mandare via l’allenatore: Dwane Casey out, Nick Nurse in.

È il nuovo coach dei Toronto Raptors. Ce l’ha fatta.

Dalla Gran Bretagna all’NBA in 28 infiniti anni. Dalla prima stagione ai Derby Rams, nel 1990, al 14 giugno 2018, il giorno della firma a Toronto.


Foto: nba.com

Le critiche non mancano.

«Masai Ujiri è impazzito» dicono.

«Leonard è fuori da una stagione intera. Come può essere meglio di DeRozan?»

«Come fa uno che ha allenato quasi solo in Inghilterra a stare in NBA?»

«I Raptors? Eterni perdenti».

Inizia la stagione tra le perplessità, ma lo sappiamo: Nick è abituato. D’altronde è lo stesso che è riuscito a farsi rispettare oltreoceano a 22 anni.

Così, partita dopo partita, vittoria dopo vittoria, le opinioni cambiano.

Il suo attacco fluido e dinamico si mette in mostra. La sua difesa ben organizzata ed efficace è impenetrabile.

Lowry brilla come mai in carriera, Leonard è solido e imprescindibile, Ibaka e Gasol – arrivato durante la Trade Deadline in cambio di Valanciunas – giganteggiano, Danny Green è un perfetto 3&D, Powell esce bene dalla panchina, ma soprattutto Nick scopre Pascal Siakam e Fred Vanvleet, che cambieranno le sorti di quella stagione.

Il primo, arrivato nel 2016 in NBA, non era mai stato utilizzato più di tanto: con Nurse gioca quasi 30 minuti a partita e segna 17 punti di media. Il secondo, undrafted, diventa un giocatore fondamentale nella second-unit, ribaltando le gare a suon di triple.

58-24 in stagione. Secondi a Est: si va ai Playoffs.

Il primo turno, a parte la paura con la sconfitta in Gara 1, è facile: 4-1 contro i Magic.

Poi ci sono i Philadelphia 76ers. La serie si prolunga fino a Gara 7, per poi finire con The Shot di Kawhi Leonard. Quello dei quattro infiniti rimbalzi sul ferro. Quello in cui il cuore di ogni tifoso Raptors si è fermato, per poi ricominciare a battere più veloce che mai.

In Finale di Conference ci sono i Bucks di Antetokounmpo. L’inizio non è dei migliori: due sconfitte a Milwaukee, con 30 punti di Lowry nella prima. Poi a Toronto si va sul 2-2 e si chiude in Gara 6 con un’enorme prestazione di Kyle. Sono Finals NBA contro i Golden State Warriors.

E dopo anni d’infinite delusioni la franchigia canadese arriva fino in fondo. Dopo interminabili stagioni Nurse può prendersi la sua vendetta su tutti quelli che non hanno creduto in lui.

Perché Nick Nurse è avanti: quando allena non pensa al presente, all’immediato, ma al futuro, alle 5 o 6 azioni successive, proprio come fanno i migliori giocatori di scacchi, che meditano sulle 5 o 6 mosse che verranno.

I Warriors sono la squadra da battere, sono i più forti, hanno uno dei roster migliori della storia e vanno alla ricerca del three-peat, del terzo anello consecutivo. Dal canto loro, i Raptors sono la Cenerentola, la bella sorpresa che nessuno si aspettava.

Si mette di mezzo il destino, il fato: Durant non recupera dall’infortunio al tendine, Thompson ha problemi fisici e Curry non è al meglio. E anche se le prime partite sono complicate, dure, il sistema perfetto di Nurse va sul 3-1: è solo questione di tempo.

Game 5 va a Golden State. Dopo, Gara 6 è bellissima.

Leonard domina in lungo e in largo, Siakam dentro l’area non perdona, VanVleet dall’arco è decisivo, Ibaka e Gasol fondamentali sia lontano che vicino a canestro, ma il leader assoluto del gruppo e della squadra è Kyle Lowry, che insieme a Nurse guida i Toronto Raptors al primo Titolo NBA.

Scacco matto.


Foto: the Committed Generation

29 anni, 15 squadre diverse in 5 Stati differenti, ma sempre con la stessa filosofia di gioco, il solito sorriso stampato in faccia, l’umiltà che lo accompagna ancora oggi e quell’istinto unico, che hanno portato Nick in capo al mondo.

E se pensiamo a quella Serie nella Bolla d’Orlando, dopo un’infinita stagione ancora ad altissimi livelli anche senza Leonard, a quella battaglia mentale contro Brad Stevens, ci viene in mente un allenatore che ha nuovamente dimostrato di non essere un intruso in questo mondo. Che se oggi siede su una panchina NBA e ha vinto un anello non è stata solo fortuna.

Ora i Raptors vivono un momento di grande difficoltà, dopo aver perso in offseason Ibaka e Gasol.

Ma noi, Nick, ti aspettiamo.

Magari per un altro scacco matto.