Il 2021 di James Harden è iniziato in una luce completamente nuova. Non solo per l’addio a Houston dopo 8 anni e l’arrivo a Brooklyn, ma anche per la rivoluzione nel suo “stile”.

Di gioco, innanzitutto: in campo, il Barba è apparso trasformato nelle ultime settimane, al fianco di Kevin Durant e Kyrie Irving; ma anche fuori dal campo, con il lancio della sua nuova signature shoe, la quinta della collezione adidas dedicata all’ex MVP.


La metamorfosi in maglia Nets

Il modo in cui Harden, dopo la trade, si è messo a disposizione di Steve Nash ha sorpreso molti “detrattori” del suo gioco. E soprattutto, è stato il miglior seguito che l’ex Rockets potesse dare a quel “vincere è l’unica cosa che conta” con cui si è presentato. Al di là del semplicistico “serviranno tre palloni”, non per tutti una simile e completa disponibilità da parte di Harden era cosa scontata.

In occasione della sfida di martedì tra Nets e Clippers (vinta dai primi 124-120) ho avuto l’opportunità di partecipare alle Zoom Calls del post-gara. Tra i temi affrontati, il più ricorrente è stato proprio la disponibilità di Harden a inserirsi nel nuovo contesto e a cambiare le proprie abitudini.

“Dopo anni in cui ho guidato l’NBA come scorer, qui a Brooklyn so chi ho intorno e so che segnare non è la cosa più importante. Sto provando ad avere un impatto positivo sulla squadra in modi diversi, coinvolgendo costantemente i tiratori, aprendo spazi nella difesa per Kevin e Ky, permettendo ai nostri lunghi di segnare canestri facili, difendendo. Il punto per me non è quanto segno, non sono le mie statistiche. Voglio vincere.”(James Harden)

Le parole di Harden fotografano la sua determinazione, ampiamente dimostrata in queste settimane, per cercare il modo più funzionale possibile di coesistere con due superstar come Durant e Irving. Una volontà che finora i numeri testimoniano – e premiano – abbondantemente.

“Sto provando ad avere un impatto positivo sulla squadra in modi diversi”. Ed ecco quindi un Harden che, dalla trade in avanti, viaggia a una media di poco superiore ai 24 punti e con “soli” 15.5 tiri dal campo a partita (entrambi dei minimi per lui dai tempi di OKC, cioè dal 2012); un Harden che gioca molto meno in isolamento (dal surreale 45% di frequency dell’anno scorso all’attuale 29%, che gli sta consentendo di essere più efficiente in questa situazione); un Harden che ha oltre 12 assist di media a sera (sarebbe un career-high), malgrado uno Usage intorno al 30% (negli scorsi 6 anni non era mai sceso sotto al 34%).

Il nuovo stile di gioco di Harden lo ha spinto a un livello di efficienza realizzativa mai toccato a Houston. E soprattutto, dal suo arrivo i Nets hanno vinto 8 partite su 11, incluse le due contro Bucks e Clippers: non c’è praticamente stato un periodo di “ambientamento”.

Non era scontato, ancora, che l’ex MVP portasse a Brooklyn un consistente miglioramento già dalle prime uscite. Con Harden, la squadra di Steve Nash ha un Offensive Rating di 121.3 (+7 circa rispetto al pre-trade), che non solo sarebbe il miglior dato dell’NBA in questa stagione, ma anche un record all-time per la lega; inoltre, ha aumentato la propria True Shooting Percentage e migliorato consistentemente il rapporto tra assist e palle perse (da 1.66 a 2.05).

Insomma, l’impatto di Harden sull’attacco di Brooklyn è stato immediato. E devastante. Merito del suo talento, delle sue doti da scorer, del suo IQ e soprattutto del suo desiderio di far disporre ai compagni della propria “gravity”. Tiratori come Joe Harris e Jeff Green hanno solo iniziato a ringraziare, e la second unit (work in progress) ha ora un leader da cui farsi trascinare, quando KD e Kyrie prendono fiato.

Sull’efficacia di Durant off-the-ball non c’erano dubbi. Su quella di Irving, forse, qualcuno in più, ma le prime settimane ci hanno svelato un “Uncle Drew” a proprio agio anche lontano dalla palla. I problemi, più che altro, nascono nella metà campo difensiva, come ci ricorda il 118.2 di Defensive Rating delle ultime tre settimane – tutt’altro che una sorpresa.

Steve Nash ha voluto sottolineare, dopo le recenti uscite, il miglioramento della squadra da questo punto di vista. “È qualcosa di cui abbiamo parlato in spogliatoio, e in campo c’è stata chiaramente una risposta”. In attesa (speranza) di un rinforzo che possa portare versatilità difensiva, il coach ha sottolineato che tutto parte dall’applicazione e della mentalità della squadra. Brooklyn deve riuscire a dimostrare quel minimo di solidità e continuità che potrebbe bastare a una squadra con un talento offensivo molto raro, se non unico, nella storia dell’NBA.

Anche in questo discorso Harden è chiamato a un cambiamento rispetto alle abitudini degli ultimi anni. Il suo compagno nel backcourt ora è Irving, che inevitabilmente sarà un “bersaglio” difensivo durante i Playoffs; e al momento, al Barclays Center non c’è neanche l’ombra di un difensore affidabile sui portatori di palla avversari. Cosa ci possiamo aspettare da Harden, dunque? Forse più di quanto si pensi.

Così come per il coinvolgimento dei compagni in attacco, anche la sua difesa ha avuto più detrattori di quanto meritasse, in passato. Ne ha parlato Kevin Durant nel post-gara di martedì:

“Nel suo anno da rookie a OKC, gli chiedevamo di marcare i migliori giocatori della second unit avversaria. E lui sapeva benissimo cosa fare. A Houston invece ha avuto così tanti possessi da gestire in attacco che è stato compromettente per il tipo di difesa che poteva giocare, ma comunque ha sempre fatto bene nelle palle rubate e in post-up. È forte fisicamente, è un difensore all-around. Credo che questa sia la parte più sottovalutata del suo gioco.”

Insomma, se in questo nuovo contesto abbiamo già avuto modo di apprezzare un James Harden più completo e un suo contributo più eterogeneo, la sfida, ora, è diventare davvero “all-around” difensivamente.

Con una condizione fisica (per forza di cose) in crescita e un gioco offensivo meno dispendioso che in passato, il Barba riuscirà a garantire un contributo difensivo più costante, soprattutto nei Playoffs?

La “rivoluzionaria” Harden Vol. 5

La nuova dimensione di James Harden va davvero dalla testa… ai piedi. Per The Beard l’altra grande novità del momento, infatti, è rappresentata dalla sua ultima signature shoe, lanciata da adidas proprio in questi giorni.

Ho chiesto a Luca Quattrone – autentico “guru” del mondo sneakers e frontman di Double Clutch (QUI potete trovare la sezione dedicata alle scarpe da basket) – di raccontare la “rivoluzione” della Harden Vol. 5 e perché questo modello sembri, ancora, un “tentativo di elevare il gioco con mosse disruptive – il che è abbastanza fuori dalla norma rispetto alle altre signature shoe presenti sul mercato, che mantengono tendenzialmente un determinato filo conduttore.”

Partiamo dal colpo d’occhio: lo stile, completamente rinnovato. Mi viene da dire che cattura lo sguardo come uno step back del Barba, cosa ne pensi? Ti piace il nuovo look della Harden Vol 5?

Direi di sì, senza dubbio è una silhouette molto diversa dal solito, con dei dettagli unici e particolari. Devo dire che in termini di design adidas si è superata.

Qual è la tua variante cromatica preferita?

Ad oggi a noi è arrivata solo la bianca, ma non vedo l’ora di vedere dal vivo anche le altre. La prossima, in marzo, sarà a base nera, mentre se non sbaglio verso aprile ne arriverà una gialla. Penso che quest’ultima si prenderà il mio primo posto.

adidas ha usato l’espressione “rivoluzionaria” per presentare questa signature shoe. Secondo te, che sei un punto di riferimento in Italia nel mondo sneakers, è davvero un modello unico nel suo genere? Insomma: è un “game changer”, come Harden?

Faccio sempre fatica a sbilanciarmi così tanto da dire “game changer”, perché nel mondo delle scarpe da basket ogni anno i brand si evolvono a ritmi folli. Per questa Harden Vol. 5 però, sì, adidas ha spaccato!

La tomaia è fusa con la suola (tecnologia Futurenatural) ed è completamente priva di cuciture strutturali, mentre l’intersuola è costituita da un mix molto equilibrato tra le mescole migliori del marchio delle tre strisce: Boost e Lightstrike. Protezione e reattività ai massimi livelli.

Cosa vuole raccontare questa scarpa di James Harden e del brand delle tre strisce?

Mi duole dirlo, ma sicuramente non si vuole raccontare Brooklyn o il preciso momento attuale della carriera del Barba, perché questa scarpa è stata pensata e creata almeno un anno fa. Effettivamente però calza a pennello con Brooklyn, sembra fatta da un artista. In molti mi hanno chiesto se l’avesse disegnata il nostro amico Will Bryant, l’artista con cui nel 2019 abbiamo fatto una capsule collection dal sapore molto simile alla grafica delle nuove Harden.

In generale, comunque, questa signature cerca sicuramente di esprimere il massimo dello stile e della performance di adidas hoops attraverso il volto del miglior giocatore che ha nel suo roster.

Guardando alle tecnologie utilizzate e alle performance, sembra che questo modello sia stato pensato a immagine e somiglianza dello stile di gioco dell’ex MVP.

Questo sicuramente sì. adidas come tutti i top brand crea le signature shoe sulla base delle caratteristiche dell’atleta. Il processo di creazione coinvolge sempre l’endorser, che può dare feedback e spunti sul design e soprattutto prova la scarpa in fase di sviluppo.

Nel gioco di Harden ci sono delle qualità evidenti, sotto gli occhi di tutti; ma anche doti spesso sottovalutate, che si apprezzano a uno sguardo più attento. Lo stesso discorso può valere anche per la Harden Vol. 5?

In realtà a mio avviso la Vol. 5, a differenza delle precedenti, è davvero minimal. E quindi tutti i contenuti tecnologici e gli elementi distintivi sono chiari e visibili anche a un primo sguardo, o più che altro ad una prima calzata.

Da OKC a Houston, e infine Brooklyn: dal suo arrivo in NBA, nel 2009, abbiamo visto enormi cambiamenti nel ruolo di James Harden in campo. Ci racconti come si inserisce la nuova Harden Vol. 5 nel “percorso evolutivo” della sua collezione, che in passato hai già avuto occasione di presentare presso Double Clutch?

Con questa domanda mi riporti al 2016, al primo evento che abbiamo fatto nell’attuale location fisica di Double Clutch in collaborazione con adidas, proprio per il lancio della Harden Vol. 1. Che spettacolo! Da lì in poi ogni anno abbiamo fatto un party sempre diverso e sempre incredibile per lanciare le successive signature (QUI la sezione di Double Clutch dedicata alle scarpe adidas) fino ad arrivare a questa Vol. 5, per la quale il Covid ci ha interrotto la streak.

Tornando a noi, il percorso evolutivo della linea di Harden a mio parere è stato abbastanza strano, perché i modelli sono sempre stati molto diversi tra loro – il che è abbastanza fuori dalla norma rispetto alle altre signature shoe presenti sul mercato, che mantengono tendenzialmente un determinato filo conduttore. La linea di Harden sembra sempre una sorta di tentativo di “elevare il gioco” con mosse “disruptive” (come dicono sempre in adidas), che sicuramente alzano l’asticella e fanno sempre parlare della signature shoe di quello che è ad oggi uno dei giocatori più forti dell’NBA.

FOTO: NBA.com

Insomma, un nuovo total look per il Barba. A proposito, ti piace la nuova maglia City Edition di Brooklyn?

Assolutamente sì, e questo ci riporta al discorso di prima sul “mood” della Harden Vol. 5, che come stile si avvicina al mondo di Brooklyn e quindi anche alla City Edition di quest’anno dei Nets, che richiama Basquiat. Lasciami dire che è tanta roba, soprattutto quella a base nera! Secondo me è sicuramente la City Edition più riuscita, e non lo dico solo io ma anche i numeri: ad oggi, è la più richiesta.

Più in generale, quali sono le tue City Edition preferite di quest’anno?

Sono d’accordo con la maggior parte del pubblico: quella di Brooklyn è la più bella. Dopo, direi San Antonio, che è la più “tranquilla” ma mi piace molto; Miami, che da anni con questo mood “Miami Vice” rapisce davvero l’occhio; poi direi Phoenix, che non è per niente male, e infine New York, che magari non è incredibile a livello di design ma trae grande forza dalla collaborazione con Ronnie Fieg, designer di KITH e da sempre tifoso dei Knicks.