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Questo contenuto è tratto da un articolo di Marc J. Spears per Andscape, tradotto in italiano da Niccolò Scquizzato per Around the Game.


C’era una celebrità seduta in tribuna di Gara 4 delle scorse NBA Finals che urlava consigli a Jayson Tatum e compagni. Di certo ha attirato l’attenzione degli Warriors, a conoscenza dell’amicizia che lega Beal e il suo amico d’infanzia da St. Louis.


Nonostante la stella dei Wizards, Bradley Beal, ha amato la competizione e l’atmosfera da spettatore, non ha potuto fare a meno di sentirsi affranto per non essere mai riuscito nemmeno ad avvicinarsi ad una partita delle Finals in 10 anni passati a Washington.

“Stavo seduto con mia moglie, ed urlavo a Tatum cose tipo, ‘No, marca lui, vai su di lui,’ come se facessi parte della squadra,” ha raccontato Beal ad Andscape. “Dovevo darmi una calmata. Ma l’atmosfera era qualcosa di unico. Ero tipo ‘Hey, voglio farne parte. Voglio giocare su questo palcoscenico.’ Non c’è niente di meglio. Sarei diventato pazzo, fossi andato a vedere un’altra partita del genere. (…) Ma ho parlato con Jayson dopo la partita, visto la sua famiglia, incontrato qualche giocatore di entrambe le squadre. È assurdo vedere come sono concentrati. A loro fa piacere il nostro supporto. Ma vederli competere a quel livello, specialmente Golden State, che sta mantenendo una qualità di gioco elevatissima da parecchi anni ormai, mi ha fatto venire voglia di farne parte. Voglio arrivarci.”

Beal è un tre volte All-Star, un eccellente scorer che quest’anno ha una media di 23.1 punti a gara, e che nel 2020 e nel 2021 ha chiuso addirittura oltre quota 30. Da quando è stato scelto con la terza pick nel Draft 2012 dai Washington Wizards, la franchigia ha partecipato ai Playoffs cinque volte, ma non è mai riuscita a raggiungere le Conference Finals, che mancano nella Capitale dal 1979, anno in cui i Bullets hanno perso con i Seattle Supersonics alle Finals.

Per Beal e compagni non esiste alcuna reale possibilità di Finals quest’anno, le loro speranze si limitano ad un accesso ai Playoffs (tramite Play-In, essendo attualmente decimi a Est). “Dobbiamo ancora instaurare una chimica perfetta, ma sentiamo di poter riuscire a prendere il volo,” ha detto Beal lo scorso 16 febbraio.

Beal occupa attualmente il secondo posto nella classifica all-time dei marcatori della franchigia (15.333 punti), ma il primato è dietro l’angolo, considerando la vicinanza al recordman Elvin Hayes (15.551).

Bradley, poi, è conosciuto dentro e fuori la lega anche per il suo impegno extra-basketo, a Washington e St. Louis, grazie al suo contributo nella lotta per la giustizia sociale. “Bradley è stato un giocatore modello dentro e fuori dal campo, nella sua carriera a Washington,” ha affermato recentemente il GM Tommy Sheppard. “È fedele alla franchigia, ha a cuore i risultati ed è disponibile a tutto pur di aiutare la squadra, in termini di scoring, assist, difesa… Beal, Kuzma e Porzingis hanno formato un bel trio questa stagione.”

Il seguente è un Q&A proprio con Beal, nel quale ci ha raccontato la sua esperienza alle NBA Finals, la sua eredità a Washington, il non aver partecipato alle Olimpiadi di Tokyo a causa della positività al Covid, l’aver guardato il suo amico, il grande tennista Francis Tiafoe all’US Open nel 2022, il suo impegno nel sociale per i giocatori NBA e molto altro ancora.

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Quanto ti ha ispirato aver guardato dal vivo una gara delle NBA Finals?

Molto. È parecchio motivante giocare a quel livello. Tutti sogniamo di competere per l’anello, ma alla fine vince solo una squadra. Ciò nonostante, giocare su quel palcoscenico, dire di averne fatto parte… non te lo porterà via nessuno. È qualcosa che desidero da sempre, quindi arrivarci è un mio obiettivo.

Ti sei sentito allo stesso modo quando hai visto giocare Francis Tiafoe all’US Open?

Nutro grande rispetto verso gli sport individuali, perchè tutto gravita su concentrazione e forza mentale, specialmente in questi grandi stadi dove c’è silenzio durante la partita. Sei solamente tu e il tuo avversario, a giocare ad oltranza per, potenzialmente, anche cinque ore. Ciò tira fuori il tuo spirito competitivo e ti spinge a lavorare sempre più duramente.

Quando ti potrebbe rendere felice un’eventuale partecipazione ad una partita delle Finals, con così tanti spettatori? Diresti che è l’unica cosa che ti manca?

Credo di aver ottenuto diversi buoni risultati nella mia carriera: sono stato un All-Star, un All-NBA, ho tenuto una media di 30 punti a partita. Ma, ‘Ok, cosa posso fare ancora? Cosa voglio fare?’ Vincere, vincere e ancora vincere al livello più alto, giocare partite importanti, vincere serie Playoff, arrivare alle Finals… vincere le Finals. Ecco ciò che voglio, questo è il mio obiettivo.

Come ti senti ora fisicamente?

Bene. Finalmente, direi.

Hai avuto l’opportunità di vincere l’oro Olimpico a Tokyo, ma non sei riuscito a raggiungere la squadra in Giappone dopo essere entrato nel protocollo di sicurezza a causa del Covid. Come ti sei sentito?

È qualcosa che non puoi controllare. Ovviamente, dentro di me, avrei voluto essere vaccinato a quel tempo, perchè avrei evitato tutto ciò. Ma tutto accade per una ragione. Sono orgoglioso dell’opportunità, ma posso riprovarci fra un anno, non è fuori portata. Sono decisamente eccitato per questa occasione. Sono contento di essere stato parte di quel gruppo. Coach Kerr, Coach Pop… sono stati tutti grandiosi. Avere ancora oggi quel rapporto con loro è stupendo.

È stata dura per te guardarli da casa?

Diamine, sì. Faccio parte di Team USA da quando avevo 14, 15 anni. E a quell’età, ti dicono sempre che un giorno potrai rappresentare la Nazionale ad alti livelli. Ho avuto quell’opportunità, e spero di averla ancora. Ma è stata decisamente dura.

Quindi vorrai giocare per Team USA alla prossima occasione?

Al 100%.

I Wizards possono competere in NBA ad alti livelli?

Possiamo competere, sicuramente. Alzeremo il Larry O’Brien? Stiamo facendo un passo alla volta, tutte le sere. Shepp (Tommy Sheppard) si sta muovendo per rinforzare la squadra. Perciò, tutto quello che posso fare adesso è affidarmi a lui e lavorare con ciò che abbiamo. Non è facile. Capisco che se ti arrendi… se dovessi andarmene… abbandonerei ciò che ho costruito. Quindi ci sono molti fattori in gioco. Ovviamente cerchi di metterti nella migliore situazione possibile per te e la tua famiglia. Cerchiamo di costruire qualcosa, e stiamo provando a farlo qui.

Che effetto ti fa poter diventare il miglior realizzatore della storia della franchigia?

È alla portata. Potrei riuscirci persino questa stagione, se voglio, ma non ci ho mai davvero pensato, non era qualcosa per cui dicevo ‘Devo riuscirci’. Ma ora che ci sono vicino, penso che sarebbe sicuramente un grande traguardo.

Hai mai pensato che un giorno la tua maglia potrà essere ritirata da Washington, come successo in passato con Earl Monroe, Elvin Hayes, Gus Johnson, Wes Unseld e Phil Chenier?

Sì, a volte, ma quei ragazzi hanno vinto. Hanno vinto un titolo nel 1978. Lo hanno consegnato alla città, ed è qualcosa che voglio fare anch’io. Ovviamente, ho fatto tanto in questa organizzazione, ma allo stesso tempo non c’è niente di più grande che vincere un titolo. Perciò, se dovessi riuscirci, sarebbe il traguardo più importante di tutti.

Quanto sarai paziente a Washington?

Sono paziente, ma arriva un momento in cui bisogna essere un po’ egoisti e valutare le opzioni. Per adesso, mantengo la concentrazione e l’impegno con ciò che abbiamo e facciamo, senza farmi distrarre da altro. Un passo alla volta.

Hai mai parlato con giocatori tipo Lillard e Curry, che come te hanno giocato con solo una squadra, riguardo la possibilità di rimanere in una città per tutta la carriera?

La pensiamo tutti allo stesso modo. Ci impegnamo a vincere dove ci troviamo ora, e non c’è nulla di sbagliato in questo. Semplicemente ci fidiamo della franchigia che ci ha draftati. Come loro si sono fidati di noi all’inizio, e continuano a farlo investendo sulla squadra, noi cerchiamo di ripagarla mettendoci tutto l’impegno possibile. E non credo affatto sia sbagliato. Anzi, sono orgoglioso di questo.

Cosa pensi della tua legacy a Washington?

Non mi faccio suggestionare troppo, onestamente. Cerco solo di migliorare il più possibile. La mia legacy è l’impatto che ho sulle persone. Il mio gioco parla da solo, ma voglio che la mia legacy sia rappresentata da ciò che lascio alle persone, ai tifosi, ai compagni di squadra, agli allenatori… tutti quanti. ‘Come sono stato da giocatore? Sono stato un bravo compagno di squadra? Ero competitivo? Ho aiutato e invogliato i compagni?’ Questo è ciò su cui baso la mia legacy.

L’attivismo per la giustizia sociale ha raggiunto l’apice in NBA dopo l’omidicio di George Floyd, nel 2020, quando tu hai pacificamente protestato a Washington. Pensi che dalla bubble i giocatori siano rimasti attivi in tal senso?

Siamo ancora impegnati in questa battaglia, ma credo che bisogna capire quale sia il prossimo passo. Perchè c’è sempre qualcosa di nuovo che accade. Ed è triste, il nostro pianeta ha un sacco di problemi. Non puoi pensare di puntare il dito ad una cosa credendo di risolvere tutto, o pensare di avere tutte le risposte. Ed è frustrante, perchè continuiamo ad assistere alla brutalità da parte di poliziotti. E vederlo dal punto di vista di un nero lo è ancora di più. E ciò porta con sè uno spettro più ampio riguardo la storia delle forze di polizia. Indipendentemente da razza o colore, questo è quello che fanno. Non è giusto nei nostri confronti e non è giusto nei confronti di tutti coloro che devono sopportarlo. Ci sono davvero troppi problemi. Ci sono già state più di 200 sparatorie di massa, ed è appena iniziato il 2023. Viviamo in un mondo malato. Ci stiamo lavorando tutti insieme, ma richiederà ancora del tempo.